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Ormai è diventata quasi una tradizione, un appuntamento irrinunciabile, quello che BMW Motorrad organizza con cadenza annuale e che prevede la possibilità di guidare le moto protagoniste del Mondiale Superbike e nella Coppa del Mondo Fim Superstock 1000. Dopo gli appuntamenti degli anni scorsi sui circuiti di Monza e Misano, quest'anno è stata la volta dell'Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola. Due giorni dopo le gare che hanno portato oltre 50.000 appassionati sugli spalti del circuito, ci ritroviamo a guidare le moto protagoniste di entrambi i campionati con piloti del calibro di Marco Melandri e Chaz Davies, per quanto riguarda il primo, Sylvain Barrier e Greg Gildenhuys, per il secondo. La formula dei test dinamici prevede quattro giri in sella a una BMW S1000 RR di serie, giusto per prendere confidenza con l’impegnativo tracciato ubicato sulle rive del fiume Santerno, poi altri quattro giri con una HP4, per cominciare a entrare nel mondo delle moto racing-replica, dopodiché “toccherà” montare in sella alle moto di Barrier e Melandri.
Il Circuito Enzo e Dino Ferrari è certamente uno dei tracciati più belli e impegnativi non solo d’ Italia, ma del panorama mondiale. Questa sua caratteristica non facilita il compito di chi viene catapultato in sella a moto da oltre 200 cv, per di più con il fiato sul collo da parte degli uomini dei Team GoldBet SBK e STK che faticano a mascherare la sofferenza, ogni volta che percorriamo la corsia dei box per entrare in pista. In compenso mostrano dei gran sorrisi quando vi facciamo ritorno con la moto completa di tutte le sue parti. Con non poca responsabilità sulle spalle, e una leggerissima tensione - il gufo sulla spalla l’ho sentito per tutti gli otto giri in sella alle moto ufficiali -, iniziamo la nostra avventura a cavallo di una S1000 RR standard con la quale ci riscaldiamo per i quattro giri previsti e prendiamo confidenza con le traiettorie, ma soprattutto con il cambio rovesciato.
Il motore della moto di serie non si discosta tanto quanto si potrebbe pensare, sia dalla HP4, ma anche dalla Superstock, mentre a fare la differenza ci pensano ciclistica e freni. L’assetto fin troppo sfrenato della nostra S1000 RR, che rende la sportiva tedesca troppo nervosa nei cambi di traiettoria, passa in secondo piano una volta preso possesso della HP4, che appare decisamente più a suo agio sui saliscendi del tracciato e molto più reattiva nei cambi di direzione che su questa pista sono particolarmente impegnativi. L’avantreno più comunicativo e le sospensioni a gestione elettronica, aiutano a sentirsi cucita addosso la moto, mentre l’elettronica più evoluta dei sistemi di controllo della trazione permettono una maggiore confidenza con il comando del gas.
Ma adesso è arrivato il momento di salire sulla S1000RR Stock di Barrier con il numero 1 sul cupolino, e il gufo si aggrappa per benino alla spalla. La prima sorpresa una volta salito sulla moto del pilota francese è rappresentata dalla posizione di guida caratterizzata da una sella molto alta, con una conseguente posizione poco angolata delle ginocchia. Questo, oltre a consentire un assetto di guida piuttosto confortevole, permette di poter spingere senza difficoltà sulle pedane. Per il resto le differenze con la HP4 sono minime, d'altronde il regolamento della categoria Superstock permette solo affinamenti e nessun stravolgimento di quelle che sono le caratteristiche tecniche della moto da cui deriva la versione da corsa. Bastano poche curve in sella a questa moto per entrarci in sintonia, anche se si capisce immediatamente che farci i tempi è tutt'altro mestiere. Il motore risponde in maniera più pronta rispetto alla HP4, e l'erogazione in uscita di curva impressiona. Velocissimo a prendere tutti i giri a disposizione, il quattro cilindri spinge sin dai medi regimi con una cattiveria che tende a far decollare l'anteriore nelle prime tre marce, comportamento che sulla carta non permette di spalancare il gas completamente, ma che grazie all'elettronica di controllo, permette di fare strada. Solo in quarta marcia la S1000 RR Superstock si stabilizza, ma è la conformazione del tracciato con i suoi saliscendi a fare di tutto per scomporre moto e pilota. Meno male che l'assetto delle sospensioni permette un controllo ottimale della moto, con ingressi in curva dalle traiettorie millimetriche e una stabilità in percorrenza di altissimo livello, che non viene meno anche quando il cambio elettronico spara letteralmente le marce una dietro l'altra a moto inclinata. Il sorriso soddisfatto e al tempo stesso tirato dei meccanici, ci accoglie nella corsia box: è giunto il momento di lasciare questa splendida Superstock per montare in sella alla Superbike numero 33. Il gufo sulla spalla adesso si fa decisamente opprimente...
Passiamo quindi da una moto strettamente derivata dal modello di serie, a un semi-prototipo - ma si potrebbe anche togliere il semi - che disputa il mondiale Fim superbike, guidata da un fuoriclasse che di nome fa Marco Melandri. Se a prima vista la moto assomiglia alla S1000 RR di serie, basta un'occhiata più attenta per notare che le sospensioni Öhlins sono di ben altra fattura, mentre anche l'impianto frenante è profondamente modificato. Il telaio può essere rinforzato, mentre anche il forcellone può essere modificato, e quello della moto del Macio pare che lo sia stato ampiamente. Il motore, per quanto possiamo intuire, è stato elaborato sotto molti punti di vista, sia nell'elettronica di gestione ma anche nel manovellismo. Bielle, pistoni e alberi a camme sono specifici, così come sono specifiche le lavorazioni delle teste, mentre i carter motore e il cambio devono rimanere quelli di serie (possono cambiare solamente i rapporti).
Detto questo saliamo sulla moto e memore del test dello scorso anno, effettuato sempre in sella alla moto di Melandri, non mi faccio impressionare più di tanto dall'assetto raccolto di questa moto. Semi manubri chiusi e pedane alte, costringono ad una postura di guida sacrificata che limita le possibilità di movimento in sella, ma tempo e voglia di modificare la posizione non ce ne sono, per cui mi ritrovo catapultato in pista in posizione fetale. Intimorito dal motore della Superstock, devo ricredermi su quello della Superbike, che almeno nelle prime tre marce viene abbondantemente addomesticato dall'elettronica. Il taglio di potenza si manifesta con un rumore che esce dallo scarico più simile a quello di un bicilindrico, e lontano anni luce da quello emesso dalla moto di Barrier. Questo genere di erogazione controllata, però, ci permette di poter agire sul comando del gas senza troppi patemi, mentre ci accorgiamo che la moto fa strada, e ne fa tanta, senza che il comportamento e le reazioni della ciclistica, mettano in difficoltà il pilota. Solo con l'inserimento della quarta, e con il motore che libera i 220/230 cv di cui dovrebbe disporre, la S1000 RR Superbike inizia realmente a intimorire. Questa linearità di erogazione permette di concentrarsi maggiormente sulla guida, che appare incredibilmente precisa, con l'avantreno che apre e chiude le traiettorie con grande facilità, e un assetto, in percorrenza di curva e inserimento, decisamente neutro con trasferimenti di carico minimi. In un tracciato così tortuoso e con staccate impegnative in discesa, l'assistenza elettronica del cambio in scalata è una vera manna, l'unico pensiero del pilota è relativo alla frenata e a dove far passare le ruote, al resto pensa “lui”, doppietta compresa.
Per la seconda volta entriamo nella corsia box e veniamo accolti da sorrisi di circostanza a trentadue denti, mentre i fazzoletti asciugano il sudore sulla fronte. Il gufo intanto è sparito.
Terminato questo breve ma sempre emozionante test non possiamo che rimanere colpiti dalle gesta di questi campioni che riescono a spremere fino all'ultimo cavallo, e che stillano fino all'ultima goccia le prestazioni di queste moto, che noi umani possiamo tranquillamente guidare, ma che per essere pilotate e portate al massimo, necessitano di ben altro mestiere!
Bmw
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200097 San Donato Milanese
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