Comparativa Hypernaked: Tuono V4 vs Streetfighter V4S vs Z-H2 vs SuperDuke 1290R vs Brutale 1000RR

  • Voto di Moto.it / 10
Le novità più interessanti del 2020 sono tutte in questo segmento. Senza carenatura, con potenze, ciclistiche e dotazioni elettroniche fino a ieri appannaggio delle sole supersportive. Il nostro test su strada e in pista
7 agosto 2020

Lo ripetiamo da qualche tempo: le moto del 2020 sono le supernaked. Da ormai diverso tempo quello delle nude sportive è il settore in cui si registra il maggior segmento, con la crescita più marcata su praticamente tutti i mercati in Europa. Ormai diventate alternativa un po’ più umana alle supersportive di punta delle case, rinunciano alla carenatura in favore dello stile ma anche di un manubrio largo (con qualche eccezione…) e di posizioni di guida leggermente più accoglienti.

Diversamente dalle supersportive attuali sanno divertire anche a velocità e ritmi che non portino a rischiare ossa e patente ad ogni uscita, ma non sono fuori luogo né sui passi alpini e appenninici, né in pista.

Un segmento la cui… biodiversità è semplicemente incredibile. Fra le nostre scelte - ci sono tutte le novità 2020, più il riferimento per la guida sportiva, l’Aprilia Tuono Factory - troviamo praticamente tutte le configurazioni possibili sia per i motori, dal bicilindrico a V al V4 passando per il quattro in linea, aspirato o sovralimentato, che per le ciclistiche. Doppi travi in alluminio, tralicci in acciaio, soluzioni miste e il monoscocca Front Frame Ducati.

 

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Un confronto da cui ci aspettavamo che emergessero personalità diversissime, e che ovviamente non ci ha deluso. Un confronto, come nostra tradizione, senza vincitrici, ma con cinque moto che avranno sicuramente ciascuna i suoi fan. Ma anche un confronto rigoroso e approfondito dal punto di vista strumentale, per darvi tutti, ma proprio tutti, i dati e i riferimenti per decidere quale sia quella che fa per voi.

Le abbiamo messe a parità di gomme, appoggiandoci come al solito a Pirelli. Diablo Rosso Corsa II per l’uso stradale e la prima presa di contatto in pista, e poi Diablo Superbike SC3 quando si è trattato di tirargli il collo sulla pista di Pergusa. Un tracciato sicuramente diverso da quello su cui vale la pena di godersi queste naked, ma anche uno dei pochi dove, con tali cavallerie, era possibile far… stendere le gambe a queste belve. Leggete oltre per sapere com’è andata.

Come sono fatte

Aprilia Tuono V4 Factory

Non è semplicemente una RSV spogliata ma una Hypernaked che si è costantemente evoluta dal 2011 (anno del suo esordio) fino ad arrivare al livello di eccellenza di oggi: la Tuono V4 1100 Factory è stata presentata ad EICMA 2019 ma è sostanzialmente identica, se non per qualche particolare in fibra di carbonio e per la livrea, alla versione 2019 già evolutissima grazie all'introduzione delle raffinate sospensioni elettroniche semiattive Öhlins Smart EC 2.0.

Il quadricilindrico a V di 65° di 1077 cc è condiviso con la sorella carenata ma viene addomesticato per l'uso meno pistaiolo: la potenza viene fissata in 175 CV con 121 Nm di coppia a 9000 giri, grazie anche ai 4 corpi farfallati Weber-Marelli da 48 mm con 4 iniettori gestiti dal ride by wire. Il cambio a sei rapporti vanta il quick-shifter bidirezionale Aprilia Quick Shift (AQS). L'esemplare della nostra comparativa è dotato dello scarico Akrapovic opzionale che, oltre a contribuire all'esaltante sound di scarico, permette un risparmio di 2,5 kg.

Il pacchetto elettronico è completo ed efficace: oltre alla tre mappe motore personalizzabili e selezionabili in marcia A1 Track – A2 Sport – A3 Road, è presente la piattaforma APRC di quarta generazione con IMU a sei assi che sovrintende a controllo di trazione (ATC), controllo di impennata (AWC), controllo di partenza (ALC), cruise control (ACC), e limitatore di velocità (APL), ma la ciliegina sulla torta è l'App V4 MP, la piattaforma multimediale di Aprilia, con cui è possibile connettere lo smartphone o il pc alla strumentazione per ottenere tutti i dati della telemetria e rende possibile la taratura corner by corner dei settaggi elettronici.

A livello ciclistico troviamo il noto telaio a doppio trave in alluminio e l’impianto frenante, controllato da ABS cornering 9.1 MP di Bosh a 3 livelli, conta su una coppia di dischi da 330 mm lavorati da pinze Brembo monoblocco M50.  Le sospensioni, come già accennato, sono adesso le semiattive Öhlins Smart EC 2.0, con possibilità di gestione di ammortizzatore di sterzo, forcella e mono sia in modalità semiattiva che manuale, mentre sul precarico si agisce con i tradizionali registri meccanici. Se le 3 modalità manuali consentono di regolare le unità esattamente come si farebbe con una sospensione convenzionale, le 3 modalità semiattive sono invece regolabili con un’interfaccia OBTi (Objective Based Tuning Interface) settabili attraverso il cruscotto TFT a colori di 4.3 pollici, e lavorano per obiettivi: invece di click per compressione ed estensione si modificano i valori relativi a sostegno in frenata, sostegno in curva e così via. Se volete approfondire le modalità di funzionamento delle Öhlins Smart EC 2.0 sulla Tuono 1100 Factory, vi rimandiamo alla nostra prova su strada e in pista.

Per la Tuono 1100 Factory, Aprilia dichiara un peso a secco di 184 e un prezzo di 19.300 euro.

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La carta d'identità di Aprilia Tuono V4 1100 Factory (dati dichiarati)

Cilindrata 1.077 cc
Potenza massima 175 cv
Coppia massima 121 Nm
Peso a secco 184 Kg

 

Ducati Streetfighter V4S

Se qualcuno pensava che Ducati avrebbe sfornato una Streetfighter 4 cilindri buona soltanto per andare a gas spalancato, è stato smentito dalla nostra prova di qualche mese fa: la Streetfighter 1100 V4S è una Hypernaked raffinata, trattabile se si vuole ma adrenalinica quando incontra la pista e costituisce una vera rivoluzione epocale a Borgo Panigale fin dalla sua presentazione, dove ha stupito anche per le sue appendici aerodinamiche per caricare l'avantreno alle alte velocità.

Il cuore della Streetfighter V4S è il Desmosedici Stradale da 1.103 cc con 208 cavalli a 12.500 giri e 12,5 kgm a 11.500; anche per merito dell'accorciamento del rapporto finale, rispetto alla Panigale V4 dalla quale deriva, si ha un 14% di coppia alla ruota in più ai medi regimi. Il motore ad albero controrotante raccoglie tutti gli addolcimenti della Panigale 2020 ma, se non ne avete abbastanza, sappiate che con il kit pista si raggiungono i 220 cavalli, perdendo addirittura 6 Kg grazie allo scarico Akrapovic (non omologato) in titanio.

Sul piano dell'elettronica di supporto a tanta potenza, non poteva mancare il pacchetto Safe Performance, con piattaforma inerziale a 6 assi, ABS Cornering EVO, Ducati Traction Control (DTC) EVO 2, Ducati Slide Control (DSC), Ducati Wheelie Control (DWC) EVO, Ducati Power Launch (DPL), Ducati Quick Shift up/down (DQS) EVO 2, Engine Brake Control (EBC) EVO. I parametri di funzionamento di ciascun controllo sono associati di default ai tre Riding Mode di base, ma ovviamente è possibile personalizzare ogni parametro in base al proprio stile di guida: una delle funzioni tra DTC, DWC, DSC o EBC può essere modificata anche in marcia e rapidamente, pensiamo all'uso in pista, tramite i tasti di accesso diretto sul blocchetto sinistro.

Peculiarità della versione S sono le sospensioni NIX30/TTX 36 Öhlins Smart EC2.0 con interfaccia di regolazione OBTi (Objective Based Tuning Interface) e configurabili, unitamente all'ammortizzatore di sterzo, attraverso un’interfaccia intuitiva sul dashboard: un'unità full-TFT da 5" molto simile a quella impiegata sulla Panigale V4.

Il telaio dal peso di soli 4 Kg riprende il concetto “Front Frame” derivato dall’esperienza maturata in MotoGP che sfrutta il motore Desmosedici Stradale con funzione portante e strutturale. Completano una dotazione sopraffina i cerchi Marchesini a 3 razze forgiati in lega di alluminio (peculiarità della S, mentre quelli fusi in alluminio sono appannaggio della versione normale), pinze frenanti monoblocco Brembo Stylema su dischi da 330 mm gestititi dal sistema ABS Cornering EVO, che sfrutta la centralina 9.1MP.

La Ducati Streetfighter 1100 V4S pesa 178 Kg e costa 22.990 euro.

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La carta d'identità di Ducati Streetfighter V4S

Cilindrata 1.103 cc
Potenza massima 208 cv
Coppia massima 123 Nm
Peso a secco 178 Kg

 

Kawasaki Z-H2

200 cavalli, 137 Nm e 239 kg in ordine di marcia per la Hypernaked di Akashi presentata ad EICMA 2019 , numeri che, combinati tra loro, inquadrano la Kawasaki Z H2 1000 in una nicchia meno estrema e decisamente a sé stante rispetto ad altre proposte dello stesso segmento, come del resto era già emerso dalla prova del nostro Francesco Paolillo.

Peculiarità della Z H2 - e plus tecnico - è il motore quadricilindrico in linea DOHC a 16 valvole di 998 cc sovralimentato tramite compressore centrifugo, pronto per l'Euro5 ma al momento omologato Euro4, capace di 200 cavalli (147 kW) a 11.000 giri e ben 137 Nm a 8.500 che, rispetto alle sorelle carenate dotate della stessa unità, vanta diversi profili per gli alberi a camme e un terminale di scarico inedito, oltre ad una trasmissione finale accorciata.

La gestione elettronica prevede un'IMU a sei assi che sovrintende sul funzionamento del controllo di trazione (KTRC a 3 livelli) e del KCMF (Kawasaki Cornering Management Function) che monitora i parametri della moto durante la percorrenza di curva, regolandone la forza frenante e la potenza del motore. Non mancano i riding mode (Sport|Road|Rain|Rider personalizzabile), il KIBS (ABS cornering), il cruise control, il quickshifter bidirezionale e il Launch Control. Tutta la gestione elettronica della Z H2 è configurabile tramite l'App Rideology che via bluetooh interfaccia smartphone e strumentazione, quest’ultima costituita da un dashboard TFT.

Il telaio rompe con la tradizione delle altre sovralimentate di Akashi e perde il forcellone monobraccio, ed è costituito da una struttura tubolare in acciaio che usa il motore come elemento stressato, il comparto freni vanta pinze Brembo monoblocco M4.32 con doppio disco da 290 mm ed è supportato dal già citato KIBS. Passando alle sospensioni, Il pacchetto prevede una forcella Showa SFF-BP a funzioni separate; al posteriore c'è un monoammortizzatore sempre Showa con leveraggi inediti per il sistema Uni-Trak.

La Kawasaki Z H2 pesa 239 kg in ordine di marcia e costa 17.790 euro

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La carta d'identità di Kawasaki Z-H2 (Dati dichiarati)

Cilindrata 998 cc
Potenza massima 200 cv
Coppia massima 137 Nm
Peso in ordine di marcia 239 Kg

 

KTM SuperDuke 1290R

La nuova KTM 1290 SuperDuke R ha debuttato ad EICMA 2019 in veste totalmente rinnovata: nuovo telaio, nuova estetica, motore più potente ed elettronica ancora più raffinata per la terza generazione della "The Beast" di Mattighofen.

Se a prima vista potrebbe sembrare simile al modello precedente sappiate che il bicilindrico LC8 a V di 75 gradi di 1.301 cc adesso arriva a 180 cavalli a 9.500 giri ma soprattutto a 140 Nm a 8.000 giri grazie ai nuovi doppi iniettori - uno sopra e uno sottofarfalla - all’airbox maggiorato e alla riprogettazione di aspirazione e scarico. Ma sono nuovi anche i carter motore alleggeriti (0,8 kg risparmio sul peso grazie anche ai supporti dei radiatori di acqua e olio), la doppia accensione con mappature separate per ogni coppia di candele, i corpi farfallati da 56 mm, le valvole di aspirazione in titanio e la presa d'aria frontale.

 

Ancora più raffinata rispetto alla versione precedente è la completissima dotazione elettronica che passa attraverso la piattaforma inerziale a 6 assi, e ai tre Riding Mode Rain | Street | Sport, ai quali si aggiunge il Track, optional al pari del Quick Shifter bidirezionale e lo scarico Akrapovic che vedete nell'esemplare in prova, tutto ovviamente configurabile attraverso la nuova strumentazione TFT da 5 pollici regolabile nell'inclinazione. Novità della versione 2020 è il "Performance Mode" opzionale che riprende le funzionalità del Track Mode e le ripropone per l'uso stradale, senza quindi perdere il cruise control o la possibiltà di connettere la Superduke R alla app dedicata My Ride.

Se le sovrastrutture sono state disegnate anche con funzione aerodinamica e alleggerite, il telaio della KTM SuperDuke 1290R è un traliccio in acciaio ma è completamente nuovo e sfrutta il motore come elemento stressato ottenendo una rigidità torsionale tre volte superiore rispetto al passato. Il telaietto reggisella è un’unità mista con fusione in lega d’alluminio a supporto di una struttura in tecnopolimero. Dotazione top anche per l'impianto frenante che vede un doppio disco da 320 mm e pinze radiali Brembo Stylema con ABS cornering Bosch AG 9.1 MP 2.0, mentre le sospensioni sono quanto di più evoluto possa esserci in casa WP, trattandosi delle APEX totalmente regolabili.

Tutto il lavoro di alleggerimento su telaio, sovrastture e motore ha portato un dimagrimento di 6 Kg che porta il peso dichiarato della SuperDuke a 189 chili a secco, mentre il prezzo è fissato in 18.720 euro.

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La carta d'identità di KTM SuperDuke 1290R

Cilindrata 1.301 cc
Potenza massima 180 cv
Coppia massima 141 Nm
Peso a secco 189 Kg

 

MV Agusta Brutale 1000RR

Al Salone di Milano EICMA 2019 è arrivata, preceduta dall'esclusiva versione Oro, la MV Agusta Brutale 1000RR: la raffinata naked varesina si prefigge l'obiettivo di unire prestazioni da Superbike Replica e velocità fino ad oltre i 300 Km/h alla massima sfruttabilità da parte del pilota.

Le prestazioni del - totalmente rinnovato - quattro cilindri in linea di 1000 cc sono derivate da soluzioni sia da F1 che da MotoGp (è l'unico quattro cilindri in linea supersportivo ad affiancare valvole radiali e catena di distribuzione centrale): il biglietto da visita sono 208 CV a 13.450 giri e 116,5 Nm, ma vanno ricordate le bielle in titanio, la lubrificazione con sistema che separa l’olio dagli organi meccanici in movimento e il carter semisecco per garantire adeguata lubrificazione anche in forte piega e in impennata. Nuovi gli ingranaggi che oltre all'attrito riducono la rumorosità complessiva, risultato cui tendono pure i coperchi della ruota fonica e della frizione, parzialmente fonoassorbenti. L'aspirazione vede due coppie di iniettori, quattro inferiori Mikuni e quattro superiori Magneti Marelli a doccia, che lavorano abbinati a cornetti di lunghezza differente tra loro per ottenere il massimo rendimento, il tutto poi confluisce in un impianto di scarico Arrow 4-1-4 servito da valvola parzializzatrice.

La gestione elettronica è basata su una centralina Eldor EM2.0, che gestisce il ride by wire con quattro riding mode (Sport, Race, Rain, Custom) sulla base dei dati forniti dalla piattaforma inerziale, controllo di trazione su otto livelli (disinseribile), gestione anti-impennata, launch control e quickshifter attivo sia in innesto che in scalata.

Il telaio è a struttura mista con traliccio in acciaio e piastre laterali in lega di alluminio, forcellone anch'esso in alluminio, e non mancano le appendici aerodinamiche deportanti che MV Agusta dichiara efficaci per la stabilità con un effetto apprezzabile oltre i 200 km/h, senza sottovalutare che anche il codino è stato disegnato per garantire la massima penetrazione e stabilità ad una moto che le cui prestazioni velocistiche superano i 300 km/h dichiarati.

A tenere attaccata all'asfalto la Brutale 1000RR provvede un comparto sospensioni con una forcella Öhlins NIX 30 EC con trattamento superficiale TIN regolabile elettronicamente nel freno idraulico in estensione e in compressione, così come il mono posteriore fissato al monobraccio in alluminio. Regolazione elettronica semiattiva anche per l'ammortizzatore di sterzo Öhlins EC, mentre i freni sono gli stessi della versione Oro, ovvero pinze radiali Brembo Stylema e dischi flottanti da 320 mm di diametro, completati da ABS gestito da un'unità Bosch 9 Plus con Race Mode.

La MV Agusta Brutale 1000 pesa 184 Kg a secco e costa 31.500 euro.

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La carta d'identità di MV Agusta Brutale 1000RR

Cilindrata 998 cc
Potenza massima 208 cv
Coppia massima 116 Nm
Peso a secco 184 Kg

Le gomme utilizzate

Per livellare il terreno dello scontro, come da tradizione delle nostre comparative, abbiamo scelto di mettere tutte e cinque le protagoniste a parità di gommatura, appoggiandoci a Pirelli per fornitura e assistenza. Per l’uso stradale abbiamo scelto le Diablo Rosso Corsa II, copertura che ha debuttato due anni fa andando a colmare il vuoto lasciato dalle precedenti Rosso Corsa (nate nel 2010 e ormai obsolete) a metà fra la Rosso III e le nuove Supercorsa.

La struttura è molto sofisticata, con un bimescola per l’anteriore e addirittura un trimescola al posteriore, per ottimizzare grip, usura, stabilità, maneggevolezza. Il profilo presenta una marca fascia slick sulla spalla, e nei nostri precedenti test abbiamo riscontrato un comportamento davvero eccellente, confermato anche in questa occasione.

 

Su strada le Corsa II hanno mostrato una velocità di riscaldamento davvero elevata (anche se le temperature del periodo hanno sicuramente facilitato il compito…) e l’ormai consueto equilibrio fra anteriore e posteriore su tutte le accoppiate - 120/70 all’anteriore contro 190/55, 200/55 e 200/60 al posteriore - e ciclistiche diversissime per schema, distribuzione dei pesi e destinazione d’uso. Ottimo il grip mostrato anche sulle superfici meno regolari e abrasive, così come il sostegno e la comunicativa.

In pista - dove abbiamo girato con pressioni stradali, per prendere confidenza con le moto e il tracciato - abbiamo riscontrato prestazioni eccellenti, vicinissime a quelle delle Supercorsa, in termini di grip puro e sostegno alla guida sportiva.

Per esplorare i limiti delle moto ed effettuare i rilevamenti siamo passati alle slick Diablo Superbike in mescola SC3. Nate prima come soluzione “ultradura” per la gamma racing, ed evoluta poi tre anni fa sulla base dell’esperienza nell’Endurance, le Diablo Superbike SC3 sono la proposta che “apre” agli amatori, a chi fa un uso meno professionale della moto da pista.

L’idea è quella di offrire un prodotto più versatile e accessibile in termini di sensibilità a temperatura e abrasività degli asfalti a chi non necessità del massimo in termini di grip o semplicemente non vuole o non può affrontare la complicazione della scelta delle mescole ad ogni giornata di prove libere.

 

Il beneficio aggiunto è anche quello di una maggior durata, grazie a una mescola dal più lento degrado, e una resistenza intrinseca più elevata ai vari cicli termici (si può anche pensare di utilizzarle senza termocoperte, anche se Pirelli in questo caso ne consiglia l’uso, a differenza di quanto avviene con i Metzeler Racetec TD).

La nostra esperienza, anche in questo caso, si è rivelata estremamente positiva. Appoggio e maneggevolezza sono quelli che ci si aspetta da una slick, e il grip viene sacrificato solo marginalmente rispetto a mescole più performanti. Certo, su una supersportiva preparata pista, con un amatore molto veloce in sella, la differenza rispetto a una SC1 o SC2 probabilmente emergerebbe, ma per contro le SC3 hanno mostrato una resistenza e una regolarità di consumo invidiabile: a fine giornata - dopo gli abusi di cinque tester e del collaudatore Pirelli Alfio Tricomi, a cui ci siamo rivolti come sempre per “normalizzare” i rilevamenti - gli indicatori di usura “davano” ancora una buona metà di vita utile.

Come vanno

Aprilia Tuono V4 Factory

Una certezza. Alta di sella, carica sui polsi nonostante il manubrio largo, è quella che fin da subito ti comunica precisione, equilibrio e… ti invita a tirarle il collo. Lunga di rapporti, come si addice alla sua derivazione sportiva, è quella che offre più confidenza quando si vuole alzare il ritmo senza costringere a un impegno eccessivo, anche grazie a una connessione fra acceleratore e motore senza confronti nella categoria. E poi, la voce del suo V4 con il terminale Akrapovic di serie è qualcosa di quasi sensuale.

Per contro, è quella meno comoda (tranne per la rivale dotata di semimanubri…) nella sistemazione in sella, con pedane alte, sella al piano di sopra e un telaio che trasmette tantissimo calore al pilota. Ma la Tuono non si compra per andare piano, e quando si vuole guidare sportivi è quasi sicuramente la più equilibrata e adatta a ogni scenario, grazie a una ciclistica arrivata alla perfezione con le sospensioni semiattive guadagnate nel 2019 e a una definizione azzeccata fin dalla sua prima versione. E poi, vi abbiamo già parlato della voce del suo motore V4?

 

 

In pista, se possibile, la Tuono va ancora meglio. Lì la sua precisione sale al livello superiore, e il comportamento globale diventa assolutamente sublime. Come la sorella carenata RSV4, la Tuono V4 è quella su cui salite in sella e vi sentite in grado di fare cose che il vostro grado di abilità normalmente non prevedrebbe: ci si trova a strappare il filo del gas, a piegare ad angoli pazzeschi e a ritardare le staccate all’apparire delle visioni celestiali di Schwantziana memoria.

Quella posizione di guida che su strada la penalizza un po’ la esalta invece in pista: è quella più corretta e azzeccata fra i cordoli, asseconda gli spostamenti del corpo e consente di non aggrapparsi al manubrio, a tutto favore della scorrevolezza a centro curva e della… possibilità di tirarle il collo in uscita. E poi, la solidità della ciclistica e l’efficacia delle sospensioni Ohlins semiattive con interfaccia OBTi fanno sì che si riesca a sfruttare il maggior grip offerto dalle slick Pirelli: basta sostenere un po’ l’idraulica nei tre frangenti e la Tuono diventa ancora più precisa, stabile e veloce in percorrenza, smorzando anche quei minimi ondeggiamenti nei cambi di direzione innescati dalla decisione degli input unita al maggior grip delle coperture.

 

 

Il suo V4, pur con una voce favolosa (scusate, non riusciamo a farne a meno…) subisce però un po’ di deficit di cavalleria rispetto alle proposte più recenti. Deficit in buona parte compensato da percorrenza, trazione, agilità e stabilità - insomma, dall’equilibrio fra motore e ciclistica - ma che su un tracciato come Pergusa presenta il conto in termini di tempo sul giro. Su un’altra pista, ne siamo sicuri, i valori si compenserebbero, e pensiamo che ben pochi clienti della Tuono girino abitualmente su piste tanto veloci.

Insomma, come ormai ci siamo stancati di ripetere, la Tuono ha dieci anni ma non li sente, e se la provocate vende carissima la pelle. E non riusciamo a non pensare che a Noale hanno un V4 più potente già pronto. Con cui la Tuono potrebbe vivere di rendita per chissà quanto ancora…

 

Ducati Streetfighter V4S

Il nostro test conferma le impressioni maturate all’epoca del primo contatto: la Streetfighter V4S su strada impressiona per accoglienza e dolcezza. Il suo quadricilindrico gira tondo e pulito fin dai minimi regimi, scevro da vibrazioni e con una tonalità inconfondibilmente Ducati, unendo pastosità e trattabilità ai bassi e medi a una spinta aerospaziale agli alti. La ciclistica è perfettamente accordata al motore: sintetizza agilità, stabilità e precisione come poche altre moto di questo livello prestazionale senza esagerare con il tono idraulico delle sospensioni, che copiano bene anche le asperità degli asfalti più disastrati.

Dovendo enunciare al volo la miglior caratteristica della Streetfighter dopo un test stradale verrebbe da dire la versatilità. È anche comoda, con la sella piacevolmente bassa e una posizione delle gambe distesa e accogliente anche per i più alti. Anche il comando del freno, che talvolta in passato ha reso alcune Ducati “spigolose” e troppo aggressive, si dimostra potentissimo ma piacevolmente modulabile soprattutto sul primo attacco. Il calore trasmesso al pilota è elevato anche in questo caso, ma lo spegnimento della bancata posteriore nelle soste aiuta.

 

 

Quello che invece piace meno, soprattutto scendendo dall’Aprilia, è la risposta del motore all’acceleratore: niente di grave, intendiamoci, ma la connessione fra la manopola destra e il Desmosedici Stradale sembra un po’ troppo filtrata dall’elettronica. Probabilmente è il prezzo da pagare per ottenere la sfruttabilità di cui sopra su un motore dotato di tale e tanta cavalleria, e il difetto si attenua nei riding mode più spinti, che per contro ovviamente sono decisamente meno “amichevoli”.

In pista, la Streetfighter V4S mette in mostra una superiorità prestazionale quasi imbarazzante. Su un tracciato come quello di Pergusa, con forti accelerazioni da piegati e lunghi rettilinei su cui scaricare i cavalli, la Ducati sbalordisce sia per come riesca a scaricare a terra la sua potenza, ma anche per stabilità e precisione. Sarà merito delle alette aerodinamiche, sarà l’albero controrotante, fatto sta che con la Streetfighter si tengono traiettorie più strette che con le rivali e si arriva al riferimento della staccata con un vantaggio velocistico non banale. Nonostante ciò, quando ci si attacca ai freni si finisce per arrivare corti alla curva successiva, tale è la potenza dell’impianto unita a leggerezza della moto e stabilità in staccata - anche in questo caso, le alette aerodinamiche potrebbero avere qualcosa a che vedere.

 

 

Stesso discorso dell’Aprilia per le sospensioni: montate le slick, la richiesta di un maggior supporto dalle sospensioni si ottiene con due tocchi sul blocchetto sinistro grazie all’efficacia dell’interfaccia OBTi, e a differenza di altre moto la Ducati si rivela più che felice di avere un maggior grip da gestire e sfruttare.

Il feeling, però, è un po’ diluito dalla particolarità dello schema ciclistico della Streetfighter (motore portante e Front Frame anteriore) di cui bisogna imparare un po’ a fidarsi, ma anche da una posizione di guida un po’ stradale. Insomma, è necessaria un po’ di abitudine, un po’ come avviene sulla Panigale V4 dalla quale, del resto, la Streetfighter deriva, lasciando che la ciclistica faccia il suo mestiere perché, vale la pena di sottolinearlo, si tratta di una struttura sana ed efficace.

La situazione migliorerebbe, con ogni probabilità, sfruttando le possibilità di regolazione del manubrio con una rotazione verso il pilota, e magari montando pedane arretrate e rialzate, in maniera da facilitare la guida di corpo e caricare un po’ l’avantreno, ma lo ripetiamo: stiamo parlando solo di accedere a un livello prestazionale pazzesco con un po’ più di confidenza nell’uso in circuito. Mettiamola così: quando abbiamo visto il risultato dei tempi non siamo rimasti sorpresi.

 

Kawasaki Z-H2

La Z-H2 è sicuramente la proposta più atipica in questo gruppo. Prettamente stradale nelle ambizioni, è sicuramente quella che coccola di più il pilota quando si siede in sella, con l’assetto più morbido e la posizione di guida meno aggressiva delle cinque. La giunonicità delle sue proporzioni la rendono accogliente anche per i più alti, e pur con i semimanubri ci si trova seduti comodi e rilassati.

La fluidità del suo propulsore ha del soprannaturale: è capace di scendere a regimi bassissimi e riprendere senza incertezze, per esprimere poi una spinta che si fatica a descrivere senza ricorrere a una stucchevole teoria di superlativi. La dolcezza ma allo stesso tempo il vigore con cui la Z-H2 vi proietta nell’iperspazio a ogni rotazione dell’acceleratore vanno provati per essere creduti - alle aperture parziali si rischia di venire presi in contropiede perché stabilità e pulizia dell’erogazione mascherano le velocità da fucilazione immediata che si raggiungono in spazi e tempi insospettabili.

 

 

Quando si chiude il gas, poi, il motore sovralimentato risponde con una sorta di cinguettio a dir poco gasante, e ci si ritrova ad aprire e chiudere per il solo piacere di gustarsi la spinta e il fischio. Infantile? Fin che volete. Ma divertente da matti.

Pur ammettendo come sia il motore l’attore principale nello spettacolo Kawasaki, sarebbe però molto riduttivo limitarsi a quello: la Z-H2 è una moto dall’equilibrio invidiabile, armonica nel comportamento su strada e - tra l’altro - piacevolmente fresca nel… soprasella. Pur con una definizione ciclistica improntata alla stabilità, la naked supercharged di Akashi curva con piacere, non è impacciata sullo stretto e va fortissimo sul misto scorrevole senza richiedere particolare impegno fisico.

 

 

In pista, naturalmente, la Z-H2 paga la scarsa luce a terra e la sua indole stradale, ma si rivela comunque più efficace e rigorosa di quanto non sia lecito attendersi. Certo, non appena si alza il ritmo, il monoammortizzatore tende a perdere frenatura idraulica, e non è certo quella che ha saputo sfruttare meglio delle altre il grip delle gomme slick, ma un tracciato tanto veloce è l’unico posto dove si possa godere delle prestazioni della Z-H2 in sicurezza.

Allo stesso tempo, pur con queste limitazioni, le reazioni della ciclistica sono sempre composte e prevedibili, e il motore è capace di recuperare con gli interessi quello che la sua natura stradale le fa prendere nell’uso estremo: le velocità che si vedono sul cruscotto in fondo ai rettilinei di Pergusa sono esilaranti, e anche i freni - che pur richiedono un po’ di respiro dopo qualche giro tirato - si dimostrano all’altezza della situazione.

Se c’è una morale che emerge da questa comparativa è come sia impossibile valutare la Z-H2 secondo gli stessi criteri delle altre quattro, perché non ha le stesse ambizioni né la stessa destinazione d’uso. Ma è così con tutte le moto davvero uniche, e date retta, la Kawasaki naked sovralimentata lo è. Forse anche più delle sorelle carenate.

 

KTM SuperDuke 1290R

Come avvenuto al momento della nostra prima presa di contatto, la KTM SuperDuke 1290R ci ha sorpreso per l’entità del cambiamento della sua personalità avvenuto con questo modello 2020. Sempre più vicina a una supernaked convenzionale e meno fuoristradistica delle versioni precedenti, la KTM stupisce per l’immediatezza con cui si concede fin dai primi metri. Certo, le sue prestazioni richiedono esperienza e capacità all’altezza, ma nel segmento è forse quella più intuitiva.

Agilissima, con una posizione rialzata - questa sì continua a dimostrare la derivazione fuoristradistica - la SuperDuke R si rivela trattabile ed equilibrata, nei limiti della personalità del suo bicilindrico. Regolare anche ai bassi, preferisce la fascia centrale del contagiri dove la sua coppia strabordante le permette, a scelta, di schizzare fuori dalle curve (con gustosissimi alleggerimenti dell’avantreno, a buon intenditor…) o semplicemente di navigare percorsi a curve dimenticandosi del cambio. Certo, le quattro cilindri, soprattutto le V4, sono più raffinate nell’erogazione, ma siamo abbastanza sicuri che non esista un V-twin di questa cubatura e livello prestazionale altrettanto dolce e pulito nella risposta.

 

 

Sullo stretto non c’è concorrente più rapida e precisa di lei: il suo soprannome sarà anche The Beast, ma la sensazione è che anche quello della sorellina minore 790, The Scalpel, il bisturi, le si adatti alla perfezione. Si entra in curva senza sforzo, e si tengono traiettorie più strette delle concorrenti senza impegno, fisico o psicologico, con invece tanto feedback dalla ciclistica. Qualche limite lo si riscontra sul veloce, dove l’agilità presenta il conto sotto forma di un avantreno un po’ leggero, ma niente di realmente preoccupante.

E sull’accidentato, anche quell’eccesso di rigidità che avevamo riscontrato ai tempi della comparativa ci sembra sparito, a testimonianza del livello qualitativo delle sospensioni, che “sentono” tantissimo le regolazioni. Una valutazione che trova conferma nell’uso in pista, dove con la taratura di serie la Super Duke R traduce i trasferimenti di carico e la grinta degli input del pilota in qualche ondeggiamento e una sensazione di generale vaghezza. Basta alzare la sella, prendere nota della taratura raccomandata per la pista e adeguare la taratura, per poi eventualmente lavorare di fino se si vuole qualcosa di più.

 

 

Dopo l’intervento sui registri, la Super Duke R cambia faccia, e anche in pista si rivela efficace in appoggio, veloce e composta - il telaio deriva dall’esperienza fatta a suo tempo con la supersportiva RC8 e si vede, perché anche con le slick la KTM lavora bene, senza torsioni o reazioni inconsulte. Rimane però una certa leggerezza d’avantreno sul veloce; niente di realmente preoccupante, ma alla lunga la vaghezza dello sterzo stanca il pilota - sia psicologicamente che fisicamente, perché le braccia si trovano a contrastare i leggeri ondeggiamenti nelle forti accelerazioni - e toglie un po’ di quella meravigliosa confidenza che la “K” sa esprimere nelle altre condizioni.

Dopotutto stiamo comunque parlando di una naked, che invece si esprimerà sicuramente molto meglio su tracciati più tormentati, anche perché la grinta del motore ai medi compensa la (relativa) carenza di cavalleria rispetto alle proposte più recenti, e in staccata la KTM è forse l’unica che sappia tenere testa alla Ducati. E continuiamo a credere che - nonostante l’elevatissima qualità delle WP Apex di cui è dotata la SuperDuke R - con sospensioni semiattive la belva di Mattighofen sarebbe ancora più completa ed efficace…

 

MV Agusta Brutale 1000RR

È quella più estrema e intimidatoria del gruppo. Rigidissima, alta di sella, con una posizione di guida più da supersportiva che da naked e con un motore che trasuda cattiveria (e calore…) fin dall’avviamento, la MV Agusta non fa nulla per arruffianarsi il pilota. D’altra parte, aspettarsi altro da una moto che si chiama Brutale sarebbe quantomeno da ingenui, e se amate le moto varesine difficilmente vi piacerebbe se così non fosse.

La preoccupazione si allenta un po’ dopo qualche chilometro. Certo, la Brutale non è di quelle moto che conceda confidenza in pochi metri, tutt’altro, ma una volta prese le misure alla ciclistica si scopre che il motore, ai bassi, gira regolare e senza impegnare il pilota. Un po’ vuoto sotto, si lascia però sfruttare quando si vuole andare a spasso senza dover gestire una spinta prepotente.

 

 

Con le tarature di serie, però, la 1000RR rasenta l’inutilizzabilità: rigidissima, praticamente inchiodata di sospensioni, non riesce a gestire superfici men che perfette. Fortunatamente basta utilizzare il riding mode Custom, personalizzabile, e “mollare” le sospensioni semiattive. Cosa che però, a ben vedere, ci si aspetterebbe facesse appunto da sola la centralina deputata alla gestione delle sospensioni.

Quando si sale con i giri, la Brutale accende i postbruciatori e la spinta si fa pazzesca, fin eccessiva su strada. In questo caso, i semimanubri sono una benedizione, perché si riesce a caricare bene l’avantreno, e a guidare di corpo come, del resto, la 1000RR praticamente impone. La stabilità sul veloce è impeccabile, e c’è anche una certa agilità, a patto naturalmente di aver voglia di “lavorare”.

 

 

Quello che piace meno è la risposta del motore all’acceleratore: la connessione fra comando e propulsore è vaga, poco precisa, ma è praticamente l’unico frangente in cui il quadricilindrico MV Agusta mostra il peso degli anni. In pista, dove si può finalmente far urlare le quattro canne d’organo degli scarichi, si gode una spinta e una voce da pelle d’oca.

Essendo quella con la posizione più vicina a una sportiva, è quella che meglio si presta all’uso in circuito (dove si riesce a sfruttare la taratura “bestiale” delle sospensioni) dove la stabilità in piega è assoluta, e la spinta in uscita di curva è davvero mostruosa.

Piacciono meno la risposta dell’ABS, molto intrusivo nelle staccate più violente, e l’impegno richiesto per andare forte; sia fisicamente che psicologicamente, la Brutale richiede tantissimo al suo pilota. Ma come dicevamo in apertura, se amate le MV Agusta, difficilmente vi piacerebbe se così non fosse…

I rilevamenti strumentali

Fast Lap a Pergusa

Per giudicare peculiarità e... inclinazioni delle cinque regine di questa comparativa, partiamo dai rilevamenti strumentali che abbiamo potuto raccogliere grazie allo staff di Pirelli, con particolare riferimento all'ingegner Giuseppe Vitale, specialista dell'acquisizione dati in forza al Reparto Sperimentazione della Casa della P Lunga. Dati che non vogliono assolutamente stilare una classifica assoluta ma soltanto mostrare le peculiarità e marcare le differenze di comportamento e di filosofia tra le motociclette: la pista è - sì - l'unico luogo dove queste belve possono sfogarsi al 100% ma rappresenta probabilmente solo una parte minoritaria dell'utilizzo che ne faranno i loro proprietari.

Due parole su Pergusa per meglio inquadrare i freddi numeri che vedete anche nelle immagini qui sotto: il tracciato ennese è un nastro d'asfalto velocissimo dal grip notevole e segue con andamento destrorso l'omonimo lago. Presenta alcune varianti e almeno due staccate violente da alta velocità ma è privo di variazioni altimetriche (dove la maggiore cavalleria può rappresentare un vantaggio sensibile) e di lunghe curve in appoggio da terza o seconda marcia. Tanta potenza e la capacità di metterla a terra anche nelle ripartenze sono doti essenziali per staccare un buon tempo, unite ad un assetto che non combini disastri in frenata, ma non sarebbero sufficienti se non affidate ad un pilota che di Pergusa conosce ogni singolo centimetro, ed è per questo che per mettere le cinque maxi naked in condizioni di esprimere tutto il loro potenziale le abbiamo affidare ad Alfio Tricomi velocissimo tester di Pirelli/Metzeler.

Tutto questo premesso, partiamo in ordine di tempi: la Ducati Streetfigher V4S ferma il crono in un notevolissimo 1'48"52, arrivando in fondo al rettilineo a 261,6 Km/h. Impressionanti, per una naked, gli angoli di piega, 53,3° a destra e 53,8° a sinistra (in teoria il lato più "freddo" delle gomme, a Pergusa), e ancora di più l'accelerazione in sesta marcia tra 60 e 180 Km/h di 4",93!

Segue l'Aprilia Tuono V4 1100 Factory che ha staccato un ottimo 1'49"36 con una velocità massima rilevata di 252,7 Km/h, dati assoluti che dimostrano quanto la moto di Noale sia a proprio agio tra i cordoli. La Tuono, nonostante paghi un sostanzioso gap di potenza alla Ducati Streetfighter (178,41 cv contro 159,46 secondo i dati rilevati alla ruota) riesce a contenere il distacco grazie ad una rapportatura perfetta e un equilibrio tra elettronica e ciclistica veramente sopraffino.

Terzo tempo per la MV Brutale 1000RR: 1'49"90 con una top speed di 257,1 Km/h. Nonostante il motore di "soli" 1000 cc il distacco dalla Ducati è minimo (1"38): il suo assetto rigido, la posizione di guida molto sportiva, la potenza di punta di 177,9 cv (meno di un cavallo la differenza con la V4S) e il feeling con l'avantreno, hanno creato le premesse per questo brillante risultato tra i cordoli.

Segue la KTM SuperDuke 1290 R con 1'51"04 e una velocità massima di 248,8 Km/h. Con una potenza di 165,56 cv "The Beast" ottiene anche un 5"60 per passare da 60 a 180 Km/h. È un risultato di accelerazione praticamente pari a quello di Aprilia, mentre gli angoli di piega rilevati sono inferiori soltanto a quelli della Ducati: 52,5° a destra e 47,3° a sinistra, anche in questo caso non lontani dalle SBK.

Ultima nei tempi sul giro, ma le sue pretese in pista non sono - dichiaratamente - pari a quelle di altre Hypernaked, la Kawasaki Z H2. Pesano l'assetto, i freni e l'elettronica più stradali del lotto, oltre ad una massa più avvertibile rispetto alle concorrenti: la Z H2 non vuole essere la regina dei cordoli quanto una naked stradale dalle prestazioni elevatissime e così stacca un 1'56"56 con una velocità massima di 245,7 Km/h che contrastano però con una capacità di portare da 60 a 180 Km/h la moto in soli 5"33, il secondo risultato assoluto della comparativa nonostante il peso più elevato! Anche gli angoli di rollio confermano un'attitudine meno pistaiola: con 46,9° e 45,2° sono i meno... inclinati tra quelli rilevati.

Potenza e Coppia massime: la prova al banco

L'analisi della tabella delle prove al banco dei propulsori delle cinque maxi naked, svolte grazie al prezioso supporto del centro di sperimentazione Pirelli di Giarre e soprattutto a quello dell'officina Power Bike di Marco Minin, giustifica in larga misura i distacchi in pista, oltre a darci un'idea più precisa di quanto avevamo sospettato su strada. È anche vero che i valori massimi di Cv e Kgm non raccontano tutto delle prestazioni pure delle moto, e forse questo è ancora più vero con l'avvento dei controlli elettronici, mappature diverse per ogni singolo rapporto e gestione dinamica della potenza, ma resta comunque un benchmark significativo per capire il carattere di ogni singolo motore.

 

Moto

Potenza Massima

Coppia Massima

Aprilia Tuono V4 1100 Factory

159,4 Cv a 11406 g/min

11,32 Kgm a 9175 g/min

Ducati Streetfighter V4S 1100

178,4 Cv a 12569 g/min

11,23 Kgm a 9666 g/min

Kawasaki Z H2 1000

163,2 Cv a 10405 g/min

11,79 Kgm a 8557 g/min

KTM SuperDuke 1290 R

165,5 Cv a 9266 g/min

13,42 Kgm a 8006 g/min

MV Agusta Brutale 1000RR

177,9 Cv a 12676 g/min

10,75 Kgm a 10880 g/min

 

Premesso che le condizioni di rilevamento sono state pressoché costanti per tutte le prove al banco (la pressione dello pneumatico posteriore è stata fissata a 2.9 bar per tutte le motociclette testate) e che i valori sono da riferirsi alla ruota, vediamo com'è andata.

Ducati (178,4 Cv) e MV Agusta (177,9 Cv) si giocano il primato sul filo del singolo cavallo ma il motore della Brutale è decisamente più tirato e con una curva di coppia che predilige gli alti regimi e la pista, come confermato dal valore di coppia massimo a ben 10880 giri, ma del resto paga 100 cc al 1100 Ducati che, tra l'altro, esprime la coppia massima quasi 3000 giri più in basso del regime di potenza massima: insomma, la grandissima fluidità unita ad una potenza record del Desmosedici Stradale viene totalmente rispecchiata anche da questi rilevamenti.

KTM, unico bicilindrico del lotto e primatista di cilindrata con 1301 cc, fa spavento: ben 13,42 Kgm a 8006 g/min è un valore devastante che unito alla potenza di 165,5 Cv a 9266 giri ci spiega perché la SuperDuke su strada è emozionante e in circuito fa tanta strada mangiando un rapporto dopo l'altro.

La Kawasaki Z H2 non batte, nonostante il compressore, alcun record di potenza ma se ad un motore che sfoggia 163,2 Cv a 10405 g/min unite 11,79 Kgm quasi duemila giri più in basso, capite presto che tenere la ruota anteriore a terra diventa un affare complicato, ma sopratutto su strada la curva di coppia sostenuta regala un piacere di guida difficile da trovare in altre moto più sportive.

Il V4 Aprilia resta il fanalino di coda ma il suo valore di 159,4 Cv impressiona per la "qualità" della potenza che vede un valore di coppia vicino a quello della Ducati e giustifica le impeccabili prestazioni globali della Tuono.

 

Insomma, per chi sono?

Lo diciamo ancora una volta: non c’è una vera e propria vincitrice. Le naked, per loro natura, si scelgono per tanti motivi e tanti impieghi diversi, e per questo motivo, diversamente da quanto può avvenire con le supersportive, non c’è un criterio unico secondo cui valutarle - peraltro, se già con quelle ripetiamo tutte le volte come non abbia senso ridurre il confronto al tempo sul giro, figuriamoci con le naked, che la pista la vedranno sicuramente molto meno delle carenate.

Sicuramente, l’Aprilia Tuono V4 Factory non dimostra gli anni che ha. La sua voce manda ancora tutti in pelle d’oca, la qualità dell’erogazione e della risposta all’acceleratore compensa ampiamente il deficit di potenza (se anche solo un anno fa avessimo pensato di dover scrivere che la Tuono paga pegno in cavalleria…) rispetto alle proposte più recenti e la ciclistica rimane il riferimento per feeling e rigore in pista e su strada. Il tutto si traduce in un’efficacia pazzesca e un gusto di guida che ben conosce chiunque l’abbia provata - se ha un limite, forse sta nella trattabilità nell’uso disimpegnato: il V4 di Noale scalda tantissimo, la posizione di guida è la più sportiva del gruppo e il consumo è da cacciabombardiere. Ma ragazzi, quando la si guida forte, che gusto…

 

 

La Ducati Streetfighter V4S, la novità più attesa dell’anno, brilla invece per la sua poliedricità. È capace di trotterellare senza impegno come non ci si aspetta da una Ducati, è fin quasi comoda nella sua sportività, ma cambia faccia non appena la si spreme. Il motore è roba da fantascienza: quando credi di stare andando già forte cambia passo e inizia a spingere come non credi possibile, e devi essere pronto a innestare un’altra marcia prima di prendere il limitatore. E se ti attacchi ai freni è come sbattere contro un muro. Nella guida estrema richiede un po’ di apprendistato, perché la ciclistica non comunica in maniera convenzionale, e la risposta all’acceleratore potrebbe essere più diretta - anche nei riding mode più estremi è un po’ “filtrata” - ma non ne esiste una che sintetizzi allo stesso modo versatilità, accessibilità e cattiveria. E le finiture sono una spanna sopra tutto il resto.

 

 

La Kawasaki Z-H2 è quella più diversa da tutte le altre. Stabile, quasi paciosa da un punto di vista ciclistico, è sicuramente la più comoda (e la più fresca anche d’estate) e accogliente. Raffinatissima nell’erogazione, gira al minimo senza la minima incertezza o rifiuto con una fluidità semplicemente perfetta. Ma la spinta del suo quattro cilindri sovralimentato è qualcosa che va provata almeno una volta nella vita: ingannevole per dolcezza, vi fa passare da velocità pedonali ad andature da decapitazione aerodinamica in spazi e tempi probabilmente incompatibili con la sopravvivenza nel traffico moderno. E quando chiudete l’acceleratore di colpo, il cinguettio che viene dal suo motore è  davvero gasante. In pista è un pesce fuor d’acqua: luce a terra, sospensioni e impostazione generale non sono pensati per le pieghe estreme. In compenso, pur voltando più lenta delle altre, in fondo ai rettilinei arriva con velocità vicinissime alla prima della classe. Il che la dice lunga sulla spinta che il suo quadricilindrico supercharged è in grado di esprimere…

 

 

La KTM Super Duke 1290R è una certezza. Una lama sullo stretto, prontissima tanto nella ciclistica che nel motore, nella sua terza evoluzione ha raggiunto un’efficacia micidiale. Sul misto di montagna mostra una reattività quasi telepatica in inserimento, e nessuna delle concorrenti è in grado di tenerne il passo in uscita dalle curve lente, dove la strabordante coppia del suo bicilindrico a V la fionda fuori come sparata da un cannone. Il suo limite sta nella stabilità sul veloce, dove la posizione di guida e le quote ciclistiche incentrate appunto sulla sveltezza la rendono un pelo più delicata. Ma ragazzi, che gusto quando la strada è liscia e tormentata.

 

 

La MV Agusta Brutale 1000RR è brutale come il suo nome. Rigida, estrema nella posizione di guida, è scomoda e impegnativa fisicamente oltre che psicologicamente. Però, appena ci salite in sella e avviate il motore, vi ripaga con un ruggito che può uscire solo da una MV Agusta, su strada (previo ammorbidimento dell’assetto) si rivela insospettabilmente agile e in pista è quella che - naturalmente - asseconda meglio la guida di corpo perché gli stessi semimanubri che strappano qualche imprecazione su strada, in circuito diventano un bonus. Il motore è quasi bipolare; in basso non brilla per spinta ma gira pulito con un filo di gas, in alto spinge come un caccia a postbruciatori accesi, ma è quella con il peggior feeling sull’acceleratore, e le vibrazioni agli alti non sono trascurabili. D’altra parte si chiama Brutale, no?

 

 

Insomma, come dicevamo all’epoca del nostro primo scontro fra le novità 2020, ognuna avrà i propri fan che avranno tutte le ragioni per amarla e preferirla alle altre. Da parte nostra, siamo concordi nel dire che le vorremmo tutte nel nostro garage dei sogni, o che come minimo… una non ci basterebbe. Anche in questo caso, potete comunque scegliere serenamente, perché qualunque vi mettiate in casa, immaginarvi insoddisfatti è praticamente impossibile.

 

Maggiori info

Moto: Aprilia Tuono V4 Factory, Ducati Streetfighter V4S, Kawasaki Z-H2, KTM SuperDuke 2020, MV Agusta Brutale 1000RR

Tester: Edoardo Licciardello, Andrea Perfetti, Francesco Paolillo, Antonio Privitera

Testi: Edoardo Licciardello, Antonio Privitera

Data: 20 luglio 2020

Meteo: Sole, 30°

Luogo: Sicilia, circuito di Pergusa (EN)

Terreno: Extraurbano, pista

Video: Daniele Onorato

Foto: Fabio Grasso

Cambia moto
Aprilia Tuono 1100 V4 Factory (2019 - 20)
Aprilia

Aprilia
Via G. Galilei 1
30033 Noale (VE) - Italia
041 5829111
https://www.aprilia.com/it_IT/

  • Prezzo 19.300 €
  • Cilindrata 1.077 cc
  • Potenza 175 cv
  • Peso 184 kg
  • Sella 825 mm
  • Serbatoio 19 lt
Aprilia

Aprilia
Via G. Galilei 1
30033 Noale (VE) - Italia
041 5829111
https://www.aprilia.com/it_IT/

Scheda tecnica Aprilia Tuono 1100 V4 Factory (2019 - 20)

Cilindrata
1.077 cc
Cilindri
4 a V
Categoria
Naked
Potenza
175 cv 129 kw 11.000 rpm
Peso
184 kg
Sella
825 mm
Pneumatico anteriore
120/70 ZR 17"
Pneumatico posteriore
200/55 ZR 17"
Inizio Fine produzione
2018 2020
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