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Il concetto di sportività sta cambiando. Partendo da questo assunto, la Ducati ha ampliato la sua gamma di modelli che, come ci è stato fatto notare a questo test della Diavel, non è mai stata così ricca e soprattutto giovane considerando che la più anziana è la Monster 696 che è nata nel 2008.
La sportività è in evoluzione e questa evoluzione ha fatto nascere il desiderio di accettare, o meglio di lanciare un’altra sfida. La Ducati non è nuova a queste provocazioni, basti pensare alla prima Monster (col senno di poi son tutti bravi a dire che era logico un suo successo) oppure la Hypermotard, se non addirittura la Multistrada.
Una sfida nuova e interessante in un settore che è difficile definire, come lo è stato per la Multistrada d'altronde, ma che apre nuovi orizzonti al costruttore italiano, anche quelli sconfinati del nord America.
Inutile negare che sin dalla sua presentazione pochi mesi fa, la Diavel ha diviso il pubblico. Piace o non piace. Una cosa è certa, come dice Nico nel video qui sopra, è sicuramente una moto dalla spiccata personalità, e con uno studio del design approfondito. Alla Ducati dicono che le linee della Diavel hanno un “profilo muscolare”, con un anteriore che suggerisce la potenza di un atleta pronto a scattare ai blocchi di partenza.
E’ una moto che colpisce e impressiona per la grande cura riservata ad ogni singolo particolare. Ad un occhio attento non possono sfuggire le piastre di sterzo dall’inusuale taglio orizzontale (qui le hanno definite a fetta di salame), gli indicatori di direzione a led, così come la luce di posizione e quella della targa. Anche le pedane completamente retrattili e il maniglione passeggero a scomparsa sono particolari che denotano una cura notevole verso ogni singolo componente.
La sportività è in evoluzione e questa evoluzione ha fatto nascere il desiderio di accettare, o meglio di lanciare un’altra sfida
Cura estrema anche nelle finiture, accoppiamenti perfetti, verniciature ben eseguite e trattamento delle superfici metalliche da prendere come esempio (basta dare un rapido sguardo ai cerchi oppure ai serbatoietti dei liquidi frizione-freni per capire di cosa si parla).
Esagerata in tutto a partire dal nome. La leggenda vuole che qualcuno, osservando il posteriore della moto, abbia esclamato “ignurànt comm’ al diavel” – cattiva come il diavolo! Da qui il nome Diavel, che direi le si addice perfettamente.
Questo aneddoto ricorda quello che accade quando alcune persone videro la nuova (per allora) Lamborghini. Qualcuno esclamò “cuntàcc”, che poi tradotto dal dialetto piemontese sarebbe come dire accidenti o in ogni caso è un’espressione di stupore, e si trovò un nome alla arcinota Lamborghini Countach. Chissà che l’analogia non porti bene.
Con un nome così, le colorazioni della muscolosa bolognese non potevano che essere altrettanto intimidatorie. Rosso Ducati (telaio rosso – ruote nere) e Diamond Black (telaio e cerchi neri) per la versione base, che costa 16.900 euro, rendono bene il concetto della sport-cruiser italiana.
Per i feticisti del carbonio è disponibile la versione Carbon (19.990 euro), protagonista del nostro test, che come si può facilmente intuire dal nome è allestita con grande profusione di particolari realizzati con il pregiato tessuto. Inoltre si caratterizza anche per i cerchi Marchesini forgiati in alluminio (che fanno risparmiare 2,5 kg sulla bilancia) e per il particolare trattamento antiattrito DLC (Diamond Like Carbon) degli steli forcella.
Una Ducati in tutto e per tutto, almeno meccanicamente. Impensabile un motore diverso dal bicilindrico, qui nella versione 1200 Testatstretta 11°, lo stesso della Multistrada tanto per capirci.
11° rappresenta l’angolo di incrocio delle valvole (che sulla 1198 arriva a 41°). Tale scelta unita ad un diagramma della distribuzione rivisto, garantisce una migliore regolarità di funzionamento oltre a migliorare i consumi e di conseguenza ad abbassare le emissioni allo scarico.
Aspetti importanti, ma il Pompone cala sull’asfalto l’Asso di Picche, 162 CV (119 kW) a 9.500 giri, con un coppione di ben 13 kgm (127,5 NM) a 8.000 giri, roba da leccarsi i baffi, soprattutto tenendo conto di un peso a secco che varia a seconda delle versioni da 210 a 207 kg.
Naturalmente cotanta cavalleria è tenuta a bada, da una serie di congegni elettronici che oramai sono diventati di uso comune sulle top di gamma Ducati. Nulla impedisce, però, la loro totale esclusione.
Iniziamo dalle tre mappature disponibili per il motore: Sport; Touring; Urban.
Con la prima avremo a che fare con tutti e 162 i cavalli, con il controllo di trazione DTC (Ducati Traction Control) regolato su 1 (la scala delle regolazioni va da 1 fino a 8). Selezionando la mappatura Touring, invece, il motore pur erogando la potenza completa, differisce per la curva di coppia (spalancando il gas però l’erogazione è paragonabile a quella della mappa Sport) mentre il DTC passa a 3. Taglio deciso della potenza in Urban, 100 CV e DTC su 5, a prova di asfalto bagnato.
Sempre per rimanere in ambito “elettronico”, non sono da dimenticare il Ride-by-Wire (il cavo dell’acceleratore non comanda direttamente i corpi farfallati, ma dialoga con la centralina che regola la potenza erogata) e soprattutto l’accensione Hand Free, che come sulla Multistrada 1200 permette di accendere la moto senza dover utilizzare la chiave. È sufficiente tenerla in tasca per essere riconosciuti (rimanendo nel raggio di due metri) e poter quindi accendere la moto. Rimane la “classica funzione” della chiave per quanto riguarda l’apertura del tappo serbatoio e per l’accesso al sottosella).
Caratteristica meccanica, già vista su altre moto, ma mai su una Ducati, è il posizionamento laterale dei radiatori. La minore capacità di dissipare il calore, causata dal fatto che minore è la quantità di aria che investe la superficie radiante, è compensata da una pompa dell’acqua, che grazie alla girante dal diametro maggiorato (64 mm) garantisce un miglioramento della portata soprattutto agli alti regimi (+ 35%).
E' interessante segnalare che l’intervallo per la manutenzione e il controllo del gioco valvole, particolare ben noto ai ducatisti doc, è stato prolungato fino ad arrivare a 24.000 (magra consolazione per il portafoglio).
Il telaio è un ducatissimo traliccio in tubi di acciaio, con piastre laterali fuse in alluminio, alle quali è ancorata la struttura che funge da telaietto sottosella in tecnopolimero. Anche il lunghissimo forcellone monobraccio è in lega di alluminio.
Ben piantata a terra, e ci mancherebbe, viste le sospensioni, ma soprattutto le dimensioni del pneumatico posteriore.
Le prime sono caratterizzate da una forcella Marzocchi da 50 mm di diametro con foderi anodizzati, totalmente regolabile, e da un mono Sachs con registro remoto del precarico.
Il gommone da 240/45-17, merita un discorso a parte. L’enorme Pirelli Diablo Rosso II a doppia mescola (il nome sembra fatto apposta) è stato espressamente sviluppato per questa moto, e per ora rimane anche l’unico sul mercato con queste misure. (La nostra intervista a Norberto Merati, Racing Manager Italia - Pirelli Moto).
Preso in prestito dalla 1198 l’impianto frenante è davvero ben dimensionato. Doppio disco da 320 mm con pinze monoblocco Brembo, davanti, disco da 265 con pinza a doppio pistoncino al retrotreno. A sovrintendere ci pensa un ABS Bosch-Brembo-Ducati con una centralina 9M di ultima generazione.
A guardarla si intuisce che la Diavel riserva una accoglienza più che dignitosa per il guidatore. L'ergonomia una volta montati in sella è ottima, con il manubrio largo, la sella ampia e le pedane posizionate in maniera ottimale, una via di mezzo tra una cruiser e una naked. La distanza da terra della sella, permette di poggiare entrambi i piedi a terra senza alcuna difficoltà, un bel vantaggio per i meno alti.
Chiave in tasca, armeggio con il blocchetto dell'accensione, e il motore inizia ad agitarsi. Curioso ma di grande effetto, il cursore che come un laser disegna il profilo del Diavel sul display TFT quando si accende il quadro. Seleziono la mappa Touring con il DTC su 3...e via.
Pesante di tutti i preconcetti che mi portavo sulle spalle, percorro i primi km. Con quel cannotto di sterzo così sdraiato (28° non sono pochi), con quel gommone da custom e con un interasse da gran turismo (1.590 mm), dove vuoi che vada e soprattutto "come" vuoi che ci vada? Ecco pigliamo lo zainetto colmo di pensieri ed elucubrazioni sbagliate e scarichiamolo nel primo cassonetto della monnezza.
La Diavel si guida meglio del previsto, anzi molto meglio; direi di più, volendo esagerare, è la Ducati più convincente degli ultimi anni almeno per l’equilibrio che sa trasmettere al pilota sin dai primi metri. I miei preconcetti, che la vedevano come una via di mezzo tra una V-Max ed una Street Rod non sono mai stati più sbagliati.
La Diavel è sì una cruiser, ma con un temperamento da naked di grossa cilindrata. Il peso, che può essere paragonato a quello di una nuda di media cilindrata, unito ad una distribuzione dei pesi ottimale e con un baricentro favorevolmente basso, la rendono svelta tra le curve oltre ogni previsione.
Il feeling tra il pneumatico anteriore e la “bestia” montata sul canale da 8 pollici posteriore, è perfetto. Ci avreste mai creduto? Io no, ma adesso mi devo ricredere.
Solo nei tornanti più stretti si sente l’interasse lungo, ma siamo ben lungi dal definirla impacciata o lenta, anzi. Forte di una luce a terra più che buona e di un settaggio delle sospensioni più da sportiva che da macina chilometri, la Diavel affronta le strade ricche di curve con un piglio aggressivo, senza mai mettere in difficoltà chi ci sta sopra. Assetto ben frenato, scevro da qualunque incertezza o scompenso, anche quando si spinge davvero forte. Certo bisogna fare attenzione, perché la cavalleria è esuberante, e anche se dotata di vari filtri elettronici, in pochi metri ci si trova a velocità imbarazzanti. Pensate che in una ipotetica sfida 0-100 km/h 100-0 km/h, anche la sportivissima 1198 prenderebbe la paga dal Diavel.
La Diavel si guida meglio del previsto, anzi molto meglio; direi di più, volendo esagerare, è la Ducati più convincente degli ultimi anni almeno per l’equilibrio che sa trasmettere al pilota sin dai primi metri
Alternando tratti veloci a sequenze di curve strette, il giudizio sul comportamento di questa Ducati rimane sempre positivo. Certo l’appoggio offerto dal 240 posteriore si apprezza maggiormente percorrendo curve a medio raggio, dove garantisce un’aderenza ed una trazione fuori dal comune (ho provato più volte a cercare l’intervento del DTC chiudendo e aprendo il gas in maniera suicida mentre la pedana toccava l’asfalto ma la gomma non ha mai perso aderenza).
Le prestazioni garantite dal Testastretta sono impressionanti, sempre pronto a strapparti le braccia, dai medi agli alti regimi, il bicilindrico è capace di riprese poderose sin dai 2.000 giri. Cattivo ma sempre rapido e preciso nell’esaudire i desideri del pilota in mappatura Sport, più lineare e progressivo con la mappa Touring; la Urban la lasciamo per le giornate in cui ci si sente tristi!
La frenata, sempre monitorata dal sistema ABS (disinseribile) è potente e modulabile, anche se il freno posteriore soffre di una corsa eccessivamente lunga del pedale e di un intervento iniziale poco incisivo. Con una distribuzione dei pesi così bilanciata tra anteriore e posteriore, ma soprattutto con un’impronta a terra esagerata garantita dal 240 posteriore, si potrebbe dargli maggior vigore.
Non ci vuole un genio per capire che la protezione dall’aria garantita dal Diavel è poco sopra lo 0. Bisogna però dire che la particolare forma del faro assicura che almeno il flusso d’aria che investe il busto sia privo di turbolenze, e poi se proprio non potete farne a meno c’è un plexiglass nel listino degli optional (insieme a una miriade di altri accessori per personalizzare o rendere più pratica questa Ducati). In compenso durante i trasferimenti veloci, a gas fisso tanto per intenderci, il bicilindrico vibra poco (il manubrio giusto per saperlo è montato elasticamente) e solo spalancando il gas, magari durante un sorpasso, si fa sentire ma sempre in maniera poco fastidiosa.
Dove invece si fa sentire, è nel suono che esce dagli scarichi! Esaltante e prepotente, il motore istiga il pilota alla sgasata, così tanto per ascoltarne la voce (chissà che roba con il terminale in carbonio ed il filtro aperto disponibili nel catalogo degli accessori).
Se ci si sente in vena e lo scopo è quello di fare qualche numero, non c’è niente di meglio che giocare con i settaggi del DTC fino a far comparire un bel “OFF” sul display, che sta a significare che lo spettacolo può avere inizio. L’avantreno, sino ad ora ben piantato a terra, decolla con facilità, mentre quando non lo fa è solo perché state arricchendo la segnaletica a terra con emblematiche strisce nere.
Dr Jekyll and Mr Hyde, da cruise sportiva in salsa bolognese ad attrezzo per stunt! Davvero un’altra moto, decisamente più divertente (anche se molto più impegnativa) e soprattutto molto Ducati.
Adesso l’ho guidata, ma fatico ancora a capirla, o meglio fatico a contestualizzarla, a posizionarla nella mia categoria mentale di due ruote. In compenso mi sono divertito a guidarla e seppur sia ancora dell'idea che sia stata pensata per il mercato d’oltreoceano, che è distante anni luce dal nostro, devo ammettere che ha tutte le carte in regola per ben figurare anche in quello continentale.
Ducati
Via C. Ducati, 3
40132 Bologna
(BO) - Italia
051 6413111
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