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Chi ama, e ha amato, la Superbike non può non ammetterlo. Il Mondiale riservato alle derivate di serie, dopo la fine della stagione 2002, non è stato più lo stesso. Immediatamente dopo quella gara leggendaria in cui Colin Edwards ha conquistato il suo secondo iride davanti a Troy Bayliss in sella alla Honda VTR-SP, il ritiro in massa delle Case giapponesi - seguendo l’esempio di Honda, che da allora non ha più schierato un team interno - ha segnato un punto di svolta nel Mondiale Superbike.
Non vogliamo arrivare a dire che un Mondiale senza Honda ufficiali non abbia senso, ma è inevitabile correlare l’assenza delle varie RC30, RC45 ed RC51 a una Superbike che ha perso qualcosa in termini di piccantezza. Non è bastato l’iride conquistato da James Toseland con la Fireblade 2007 per ridare lustro all’avventura Honda in SBK: troppo pesante l’assenza dell’HRC nella definizione di una base di partenza che, per specifica mission, è sempre rimasta fedele a quei concetti di Total Control immaginati dal suo creatore, Tadao Baba.
Dev’essere per questo che, quando è arrivata la notizia che Honda stava lavorando alla supersportiva della riscossa, in molti hanno (abbiamo) pensato a una V4. Impensabile che a Tokyo mutassero il DNA della Fireblade per estremizzarla. E invece, a EICMA 2019, la sorpresa: è arrivata la nuova CBR 1000RR-R, con il suo bel quattro cilindri in linea.
Una scelta che - ci tengono a sottolinearlo, in quel di Tokyo - non ha nulla a che vedere con il contenimento dei costi, ma è semplicemente quella migliore in termini di prestazioni per una Superbike. Prova ne sia il fatto che i vertici Honda ammettono candidamente come la configurazione V4, a cui Honda è sempre stata legata, sia stata provata e scartata per l’impiego specifico. E che invece il quattro in linea, così sviluppato, mantenga il concetto base di facilità di guida della Fireblade, soltanto… applicato alla pista.
D’altra parte, tornando al discorso iniziale, c’è un motivo per cui tendiamo a credergli. Il fatto che, da cinque anni a questa parte, il Presidente dell’HRC sia Yoshishige Nomura, già all’HRC come Engine Project Leader dei motori RVF ed RVT (ovvero RC45 ed RC51/VTR SP) sembra qualcosa più di una coincidenza nella genesi della CBR 1000RR-R, che se pure non possiede un codice RC ma solo un più prosaico SC82, è comunque la prima Fireblade in cui equilibrio e sfruttabilità sembrano essere state si e no un retropensiero nella mente dei tecnici che l’hanno definita, guidati dal capo progetto Yuzuru Ishikawa, uno che ha lavorato su moto come la leggendaria CBR 1100XX, la prima RC 211V, la RC213V-S stradale (che per inciso è stata il riferimento, il benchmark per la definizione di questa RR-R) tutte le Fireblade dal 2008 a oggi e l’ultima CBR 600RR. Tutto chiaro?
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Ed è per questo che stiamo volando verso il Qatar con un forte senso di aspettativa. Perché questa si preannuncia davvero una moto epocale. E non è affatto un caso se nei test precampionato, tutti abbiano puntato gli occhi sulla nuova CBR 1000RR-R, che torna ad essere schierata e gestita da un team ufficiale. Perché, appunto, quando Honda si arrabbia fa sempre veramente paura.
Ve ne abbiamo già parlato ai tempi della prima presentazione, ma la nuova CBR è talmente nuova che vale la pena di ridescriverla. Per la prima volta da tantissimi anni, infatti, abbiamo davanti una Fireblade che con la precedente non ha davvero niente in comune, né nell’apparenza né nella sostanza.
Molto più affilata e tagliente, e proposta nelle sole livree tricolore e nera opaca per la SP, la CBR-RR-R (è farraginoso anche scriverlo…) si fa notare per l’estrema raffinatezza di tutte le lavorazioni e delle finiture, con materiali pregiati un po’ ovunque. Il design è infatti stato sviluppato congiuntamente da HRC e Honda R&D, bocciando tutte le scelte che non avessero alcun riscontro prestazionale.
Ma andiamo con ordine: il design (firmato da Daisuke Kuriki, già autore delle ultime Africa Twin e Gold Wing, ma con un tocco di italianità visto il contributo di Paolo Cuccagna) è stato completamente ripensato con focus assoluto verso la penetrazione aerodinamica, curando anche dettagli apparentemente minuscoli come i parafanghi. Il risultato è il Cx in configurazione pista (ovvero senza specchietti, indicatori di direzione e appendici portatarga) più favorevole della categoria con un valore di 0,270.
Il tutto ha portato anche una serie di benefici collaterali, a partire da un maggior spazio e quindi protettività per il pilota quando si racchiude in carenatura (storico punto debole della precedente Fireblade) grazie a una cover serbatoio ribassata di 45 mm, ma anche una maggior… resilienza all’impennata, e migliori doti di stabilità in staccata.
Queste doti vanno almeno in parte ascritte al pacchetto aerodinamico derivato dalla MotoGP RC213V del 2018 (a giudizio di chi scrive molto più discreto e gradevole di quello delle attuali Honda MotoGP) capace di generare deportanza, e quindi una maggior stabilità e aderenza, senza penalizzare il pilota in fase di inserimento. Da notare come, analogamente a quanto è avvenuto a suo tempo con la prima, storica CBR 900RR dal cupolino traforato, sotto il plexiglass e nella cover del serbatoio sono state realizzate feritoie per il passaggio dell'aria, per rendere più agile la Fireblade in inserimento di curva.
Se non bastassero le nostre parole, ci pensano i fatti - sotto forma delle misure specifiche - a dimostrare quanto sia cambiata la CBR. Iniziando dal propulsore che, con il precedente, ha di fatto in comune solo lo schema quadricilindrico in linea a sedici valvole. In alternativa, le prestazioni (217,5 cavalli a 14.500 giri) dovrebbero essere sufficienti a convincere anche i più scettici.
Le teste sono tutte nuove. L’alesaggio passa a 81 mm (guarda caso la stessa misura massima regolamentare per le MotoGP, e il valore più elevato sul mercato per una quadricilindrica in linea) dai 76 a cui era ancorato dal 2008, la corsa diminuisce a 48,5 mm e la cilindrata si attesta quindi a 999,8 cc, evitando di cedere alla tentazione di… andare oltre la cifra tonda, e dover quindi allestire un modello separato per correre in Superbike.
Il rapporto di compressione rimane al valore di 13:1, anche se tutto il resto cambia. I pistoni sono ricavati per forgiatura in lega d’alluminio A2618, alleggerendosi del 5% nonostante l’aumento dell’alesaggio. Il mantello è caratterizzato da un trattamento in Teflon/Molibdeno (denominato Ober) per aumentare la resistenza della zona, e la parte inferiore dei pistoni è raffreddata da getti d’olio appositamente studiati per ridurre le perdite per attrito attivandosi solo agli alti regimi.
In zona distribuzione va segnalato il comando misto catena/ingranaggi con bilancieri a dito al posto dei precedenti bicchierini, definendo un sistema più leggero e prestante ai regimi più elevati. Le valvole, il cui angolo compreso è cambiato con quella d'aspirazione inclinata di soli 9 invece che 11°, hanno diametro rispettivamente di 32,5 e 28,5 mm per aspirazione e scarico, e sono azionate da un asse a camme che - come sulla RC213V-S - è dotato di lobi trattati DLC (Diamond-Like-Carbon) per aumentarne la scorrevolezza.
Le bielle in titanio TI-64A (lega sviluppata da Honda) sono realizzate per forgiatura. Lega proprietaria (HB 149) anche per i bulloni in acciaio al Cr-Mo-V che serrano i piedi di biella, e un brevetto c'è anche sulle bronzine degli spinotti, realizzate in una lega in rame-berillio.
Va anche segnalato il nuovo impianto d’aspirazione studiato per aumentare la turbolenza dell’aria introdotta attraverso una presa frontale (delle stesse dimensioni di quelle della MotoGP, anche se di diversa configurazione) che veicola il flusso all’interno del cannotto di sterzo fino alla cassa dell’airbox, soluzione resa possibile dall’adozione dell’avviamento keyless, che ha eliminato il blocchetto della chiave. L'efficienza del condotto è stata valutata in un +25%.
I corpi farfallati assumono sezione ovale e aumentano di diametro passando da 48 a 52 mm. Ovale anche la sezione per i collettori di scarico, che sfociano nel terminale sviluppato in collaborazione con Akrapovič il quale, grazie a un inedito sistema sulla valvola di scarico riduce la rumorosità e consente di realizzare un’unità nettamente più compatta (-38%) rispetto a quella del modello precedente.
Completamente nuova l’elettronica, che ora fa affidamento su una piattaforma inerziale a sei assi. Tre riding mode permettono di configurare legge d’apertura dell’acceleratore (cinque livelli), controllo di trazione (nove livelli, reso più fluido e meno intrusivo grazie a nuovi algoritmi), gestione del freno motore (tre livelli) e anti-impennata (tre livelli).
Il pacchetto viene completato dal controllo della derapata (slide control, su tre livelli), quickshifter di serie sulla SP (tre livelli di… cattiveria dell’innesto), ABS (configurabile nelle modalità sport o track), launch control (quattro livelli) e naturalmente - sulla Fireblade SP - la taratura delle sospensioni Öhlins Smart EC ad interfaccia OBTi (Objective Based Tuning interface). Il sistema permette di lavorare in maniera simile a quella di una sospensione meccanica - impostazioni da M1 a M3, regolando direttamente i “click” virtuali dell’idraulica, a step del 5% - oppure, appunto, a obiettivo, chiedendo al sistema di ottenere un determinato comportamento della moto: più sostegno in frenata, più feeling a centro curva e via discorrendo.
Tutto viene gestito attraverso il nuovo blocchetto manubrio sinistro, che comanda le varie impostazioni attraverso il nuovo display TFT da 5” in cui è integrato il sistema della smart key. Il cruscotto può essere configurato in cinque layout: tradizionale, che simula la visualizzazione di un sistema analogico, due stili lineari (uno con contagiri curvo, uno con contagiri dritto racing, che parte da 5.000 giri), il semplificato, che elimina del tutto il contagiri, e lo spettacolare qualifica, che mostra forza G e angolo di piega. Da non consultare mentre si guida, magari proprio a ritmi elevati in pista…
Le modifiche non si fermano naturalmente al motore: essendo quest’ultimo cambiato radicalmente, è stato necessario riprogettare da zero il telaio, nettamente più compatto, privo di traversini e quindi completamente diverso dall’unità precedente. L’unità della CBR1000RR-R, naturalmente un doppio trave perimetrale in lega d’alluminio viene realizzato per saldatura di quattro pezzi separati. Come però avviene sulle moto da corsa che escono direttamente dall’HRC, i sei attacchi motore vengono montati sul propulsore e saldati al telaio solo in un secondo momento, con un processo ad hoc che accoppia ogni singolo motore ad ogni singolo telaio, garantendo così la massima precisione.
Le rigidità sono state completamente rimodulate - aumentate quelle verticale e torsionale, ridotta quella laterale - per migliorare tanto la stabilità quanto il feedback al pilota nelle varie situazioni. L’interasse ora misura 1.455 mm (+ 50 mm), definito da un cannotto aperto a 24° (+1°), un’avancorsa di 102 mm (+6 mm) e un forcellone (di fatto la stessa unità montata sulla RC213V-S, composta da 18 parti in alluminio pressate e saldate) allungato rispetto al precedente di 30,5 mm per un totale di 622,7. Diversa la distribuzione dei pesi, con un baricentro spostato verso l’alto e una distribuzione più neutra per migliorare l’agilità della moto e aumentare la luce a terra.
Il telaietto reggisella (capace di portare il passeggero su entrambe le versioni) è in tubi tondi in alluminio, attaccato al telaio superiormente invece che lateralmente per stringere il… girovita della CBR. Completamente diversa, naturalmente, la posizione di guida, con pedane più alte e arretrate e manubri più avanzati.
Le due versioni Fireblade e Fireblade SP si allontanano quando si esaminano sospensioni e freni. La versione standard è dotata di sospensioni Showa, con una forcella BPF a steli rovesciati da 43 mm e monoammortizzatore BFRC-L, entrambi naturalmente completamente regolabili, e impianto frenante Nissin.
La Fireblade SP va invece oltre, con le già citate unità Öhlins Smart EC con interfaccia OBTi: all’avantreno troviamo una forcella NPX pressurizzata (con piedini realizzati appositamente per la Fireblade) al retrotreno un monoammortizzatore TTX 36. Anche il comparto frenante è oggetto di un upgrade, con l’arrivo delle pinze Brembo Stylema. La SP è anche dotata di batteria al litio, che permette di recuperare l'aggravio di peso rispetto alla standard dovuto alle sospensioni semiattive.
Dove entrambe tornano a confluire è nell’ammortizzatore di sterzo Showa elettronico HESD e nel diametro dei dischi anteriori: 330 mm invece dei 320 mm, con spessore cresciuto a 5 mm per disperdere meglio il calore. Da notare l'architettura che prevede il monoammortizzatore fissato direttamente alla parte posteriore del motore e non sul telaio, per disaccoppiarne le reazioni da quest'ultimo. E per entrambe le versioni, la forcella ha escursione maggiorata di 5 mm, per mantenere una maggior direzionalità in accelerazione.
Finalmente rivisto anche l’ABS, che mantiene la funzionalità cornering ma è regolabile sulle due impostazioni già citate: la Sport, per l’uso stradale, e la Track per la pista. Il cerchio posteriore ora è da 6” e monta un pneumatico in sezione 200/55, mentre all’avantreno c’è il consueto 120/70, naturalmente entrambi con diametro di 17”. Orgoglio nazionale per gli pneumatici: entrambe le versioni della CBR 1000RR-R calzano infatti la versione più recente dei Pirelli Diablo Supercorsa SP.
Le Honda CBR 1000RR-R arrivano in concessionaria a fine febbraio, sia nella versione standard che in quella SP. La prima viene proposta a un prezzo di 22.990 euro; la Fireblade SP costa invece 4.000 euro in più, attestandosi a 26.990 euro - circa 3.000 più della precedente SP. Entrambe sono disponibili nelle colorazioni nera opaca e tricolore.
Il primo contatto con la “Tripla R” è quello che ci si aspetta da una Honda: tutto è al suo posto, dove vi aspettate di trovarlo. La posizione di guida è sportivissima, più di quanto non sia mai stata quella di una Fireblade, anche se probabilmente, con pedane così alte, le vorremmo un pelo più arretrate. Il colpo d’occhio sul cruscotto è bello e gratificante: un po’ fitto di informazioni, ma la CBR è una moto molto complicata, e… la roba da mostrare è quindi tanta di conseguenza.
Carichi sui semimanubri, ci si muove molto bene con il corpo lateralmente; in accelerazione però la sella trattiene poco sotto la spinta agli alti del quattro cilindri, e si tende a scivolare verso il cuscino posteriore. Nessun problema invece in staccata, dove il serbatoio offre il giusto appiglio alle ginocchia risparmiando un po’ di fatica alle braccia.
La prova inizia sotto i migliori auspici. Gomme slick (Pirelli Diablo Superbike SC1), apripista Freddie Spencer e poi Leon Haslam a farci vedere le traiettorie. Si parte con il riding mode predefinito Sport, e la CBR si dimostra facile, da brava Honda. Prima buona notizia della giornata: l’on-off della precedente Fireblade è completamente sparito. Completamente. Nessuna traccia. La seconda è che il comando dell’acceleratore finalmente ha un gran feeling: pastoso, quasi analogico nella risposta, è perfettamente progressivo nella risposta. E poi, ragazzi, il sound è semplicemente pazzesco. Lo scarico ringhia e urla come su una moto da corsa, tanto che viene da chiedersi come abbiano fatto in Honda a omologarlo.
Leviamoci subito il dente e parliamo dell’unico vero difetto della CBR. La risposta, purtroppo, è molto semplice: dotando la Fireblade di una rapportatura spropositatamente lunga. In quarta, sul rettilineo di Losail (avete presente? un aeroporto…) si vedono i 299 km/h, e la quinta volendo la si appoggia per onor di firma. Certo, sostituire una corona e/o un pignone è semplice (ma se esagerate con la variazione del rapporto attenzione, perché il quickshifter va in confusione mentre il resto dell’elettronica continua a funzionare correttamente) ma fa un po’ specie pensare che anche su una pista come quella del Qatar si usino solo quattro marce.
Il problema si amplifica perché agli alti, sopra i 9.000, il quattro cilindri Honda spinge come un dannato mangiandosi i rettilinei, ma sotto la spinta non è esaltante. Considerando che però la differenza con il modello precedente, sulla carta (ovvero sui grafici ufficiali) non dovrebbe essere così marcata, l’impressione è che basti aggiustare la rapportatura finale per rimettere a posto le cose. Anche perché, appunto, agli alti il motore della CBR fa veramente paura: avendo scelto la cilindrata regolamentare, e rinunciando a fasature variabili, la Honda paga un po' pegno - la coperta, per capirci, è un po' corta.
Utilizzando il riding mode track, che con la legge di apertura acceleratore più aggressiva “lascia libere” le farfalle anche un po’ più sotto si guadagna qualcosa in termini di spinta ai medi, ma la differenza, in pista, è soprattutto in termini di feeling sull’acceleratore. Al passo dell’amatore, solo lodi per l’elettronica, che interviene solo quando state per mettervi davvero nei guai, con tagli dolci e poco intrusivi. Differenza epocale rispetto al pacchetto della precedente Fireblade.
Quello che invece fa una differenza abissale è la taratura delle sospensioni. Con i riding mode di default, al Track si abbina la taratura A1, ovvero quella più rigida fra le semiattive, e le slick iniziano ad avere senso. Il feeling si alza sensibilmente, la Fireblade si muove molto di meno e diventa una vera… lama, scusate il gioco di parole.
La forcella Öhlins NPX 30 la conoscevamo già, e anche sulla Fireblade si dimostra spettacolare quanto a feedback e scorrevolezza. Ma l’aspetto forse più impressionante, parlando di sospensioni, è la sensibilità alle variazioni. Sia utilizzando la modalità semiattiva che con quella meccanica, ad ogni variazione della taratura corrisponde una sensibile, corrispondente variazione del comportamento - qualche anno fa, per capirci, avremmo detto che “sente i click”.
Dopo una serie di soste ai box, esperimenti e test, guidati dai tecnici Öhlins presenti ad assisterci, la modalità semiattiva si dimostra in grado di tenere la moto in assetto anche sulle piccole ondulazioni del circuito, compensando istantaneamente con azioni sull’idraulica.
Decido di aumentare il sostegno in accelerazione, e scopro una Fireblade nettamente più composta nel lungo sinistra da fare a gas spalancato, più precisa nel chiudere la traiettoria nelle percorrenze a gas puntato e più agile nei cambi di direzione in accelerazione. Il tutto semplicemente aumentando il valore corrispondente sul cruscotto TFT.
Capitolo alette: trattandosi di una moto completamente nuova è difficile quantificarne l’efficacia; certo è che in percorrenza l’avantreno è davvero molto preciso e stabile, e la confidenza praticamente assoluta. Il tutto senza che si avvertano sforzi particolari (anzi…) nei cambi di direzione o in inserimento. Anzi, come nota a margine, possiamo anche dire che la Fireblade RR-R si rivela relativamente poco faticosa, per quanto lo possa essere una moto da 217 cavalli…
I freni, nonostante i tubi in gomma, si sono dimostrati ampiamente all’altezza della situazione. Si percepisce ogni tanto l’intervento dell’ABS nelle staccate più decise - bisogna davvero forzare - ma non in maniera così invasiva come sulla Fireblade precedente, e soprattutto senza la totale imprevedibilità che l’aveva penalizzata nelle nostre comparative. Non abbiamo riscontrato affaticamenti dell’impianto, solo un po’ di carenza di feeling sotto forma di spugnosità del comando per l’assenza dei tubi in treccia. Ma stante che il resto dell’impianto è di sana e robusta costituzione, è il male di sostituire solo questi ultimi. Poca roba.
Come al solito, parlando di una supersportiva, la risposta almeno in parte è scontata. È per chi apprezza la guida sportiva, a ritmi molto elevati, soprattutto - mai come prima, su una Fireblade - in pista. Quella guida che solo due semimanubri e pedane da ginocchia in bocca sanno regalare.
Perché scegliere la CBR 1000RR-R e non un’europea? Questa è una domanda un po’ più difficile. Intanto, e ci ricolleghiamo al discorso iniziale, perché il fascino delle Honda RC è ancora vivo e intramontabile, e questa nuova RR-R è la prima della stirpe Fireblade ad essere una moto da pista prima che da strada, come RC30, RC45 e (fino a un certo punto) RC51 prima di lei.
La raffinatezza costruttiva è tale da fare invidia o quantomeno suscitare rispetto da praticamente tutte le rivali; materiali, finiture e scelte tecniche la rendono un oggetto paragonabile a un cronografo meccanico di lusso tanto quanto le concorrenti di prezzo pari o superiore.
Dinamicamente, la Honda paga la scelta di restare fedele al vincolo di cilindrata dei regolamenti agonistici, e di non ricorrere a soluzioni come la fasatura variabile per non complicare inutilmente una moto che poi, nell’uso in gara, probabilmente l’avrebbe eliminata perché inutile. Il problema della rapportatura si risolve cambiando pignone o corona…
Per contro, proprio questa sua natura di dura e pura la rende ancora più affascinante, perché se è vero che ai medi regimi non spinge come la concorrenza, è altrettanto vero che quando il quattro cilindri di Tokyo entra in coppia, sopra i 10.000, è efficacissimo e regala sensazioni esaltanti. E dal punto di vista ciclistico bisogna essere piloti veri per chiederle qualcosa di più: durante il nostro test sia Leon Haslam che Freddie Foray avevano gli occhi che ridevano tutte le volte che si parlava della nuova Fireblade.
Per una volta, infine, la derivazione dalla MotoGP è davvero qualcosa più di una dichiarazione di marketing. Tante scelte, dalle misure caratteristiche a tante componenti ciclistiche, l’avvicinano se non alla moto di Márquez, perlomeno a quella RC213V-S che rappresenta l’oggetto più vicino a una MotoGP mai creato.
Chi l’avrebbe mai detto, solo qualche stagione fa, che un giorno ci sarebbe stata una Fireblade così? Chapeau, Honda.
Moto: Honda CBR 1000RR-R Fireblade SP
Luogo: Losail Circuit - Qatar
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