Honda CBR Fireblade e Pirelli Diablo: alla (ri)scoperta di due dinastie

Una retrospettiva di 25 anni, in collaborazione con Pirelli, per riscoprire moto e gomme che hanno scritto la storia del motociclismo sportivo
16 marzo 2017

25 anni sono un tempo piuttosto lungo. Fa ancora più impressione se lo si declina in frazioni come quarto di secolo. Se poi si pensa a com’era il mondo allora c’è da restarci male. Internet come lo conosciamo oggi non esisteva ancora, sushi e kebab facevano parte dei racconti delle vacanze e le moto giapponesi oltre i 750 centimetri cubici erano grosse, pesanti e potentissime. Bombardoni buoni per bastonare tutti sul dritto, ma snobbate dai puristi sportivi che preferivano le superbike replica – allora limitate ai tre quarti di litro per le quadricilindriche – oppure le agilissime 600.

Poi è arrivata la Honda CBR 900RR Fireblade, ed anche il mondo delle maxi sportive è cambiato per sempre. E pensare che è nata quasi per caso, perché la CBR avrebbe dovuto essere proprio una 750, erede più semplice ed economica di quella RC30 che aveva regalato alla Casa di Tokyo i primi due Mondiali Superbike della storia. Poi i vertici Honda decisero di proseguire sulla strada del V4, mandando avanti il progetto della RC45, ma invece di uccidere la nuova CBR diedero carta bianca all’ingegner Tadao Baba che – libero da vincoli regolamentari sportivi – decise di creare una moto che fino a quel momento non esisteva. Una sportiva potente (e dotata di coppia) quasi come una mille, ma agile come una sette-e-mezzo, creando un capolavoro che ha conquistato i cuori di sportivi di tutto il mondo.

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E’ passato meno tempo da quando Pirelli ha creato il primo Diablo, che ha visto la luce nel 2002, e la portata del suo arrivo non sarà stata forse così epocale quanto quella della Fireblade – perché il Dragon precedente non era certo male – ma è difficile non notare nella dinastia Diablo lo stesso spirito di evoluzione ed innovazione, con il trasferimento di tecnologie dalle corse alla strada, che ha caratterizzato la supersportiva Honda. E abbiamo approfittato dell'occasione per parlarne con Alessandro Abate, Testing Department Pirelli, per farci raccontare un po' di storia e caratteristiche delle Diablo che la Casa Milanese ha scelto di montare sotto ciascuna delle Fireblade che ci ha portato in circuito.

Già, Pirelli ha pensato bene di festeggiare l’anniversario della Fireblade con un doppio viaggio nella macchina del tempo, portandoci sul circuito di Alcarràs, in Spagna, con quattro dei modelli più significativi della storia della Honda CBR gommati con altrettanti esemplari di Diablo – lo diciamo subito, mancano diversi modelli molto importanti, ma dovendo compiere una scelta i ragazzi di Pirelli hanno pensato di prendere il primo e l’ultimo di ogni ciclo. Quindi la prima e l’ultima 900, e la prima e l’ultima (finora) 1000, per apprezzare appieno due percorsi evolutivi durati più di dieci anni. Perché è vero che la famiglia Fireblade, concettualmente, è rimasta sempre la stessa, ma è evidente che il passaggio da supersportiva svincolata dalle competizioni a modello che deve costituire la base per l’impegno in Superbike porta con sé più di una conseguenza.

Un’esperienza interessantissima, che ci ha permesso di apprezzare l’evoluzione della tecnica motociclistica ma anche quella delle gomme, che in quindici anni hanno fatto passi da gigante per supportare moto sempre più estreme e performanti. Un test che ci ha riservato più di una sorpresa, come potrete leggere qui sotto.

CBR 900RR Fireblade 1992 – Pirelli Diablo 2002

Quanto sia stata importante la prima Fireblade ve lo abbiamo già detto in apertura – vediamo meglio come e perché. Pur non battendo alcun record di potenza o velocità, la scheda tecnica era davvero impressionante. I suoi 893cc riuscivano a tirare fuori 124 cavalli a 10.500 giri; una potenza non troppo lontana dalle 750, che sfioravano i 120. Ma era la coppia a fare la differenza, perché rispetto alle sette-e-mezzo la schiena ai medi regimi era tutt’un altro mondo. E quando gli occhi scendevano al peso, c’era da restare sbalorditi, perché 185kg era un valore che anche le 750 faticavano a raggiungere.

Non poteva correre, almeno in Europa, ma tutto sulla CBR 900RR evocava le gare. La carenatura forata su cupolino e pance come sulle NSR 250 ufficiali per ridurre la resistenza aerodinamica nei cambi di direzione, la forcella convenzionale ma con i parasteli a mimare le upside-down che allora andavano per la maggiore, la strumentazione a tre elementi con tachimetro staccabile, il forcellone con capriata di rinforzo e un telaio muscoloso come nessun altro fanno la loro figura ancora oggi.

Solo l’anteriore da 16” faceva alzare qualche sopracciglio, perché la tendenza ormai tirava univocamente verso il 17 pollici. E la scelta definì inequivocabilmente la personalità della Fireblade, che fece innamorare praticamente tutti ma venne anche criticata per un certo nervosismo dell’avantreno che richiedeva guanti di velluto…

Il Pirelli Diablo è nato nel 2002, raccogliendo l’eredità di quel Dragon che a metà anni 90 aveva rivoluzionato il mondo delle gomme sportive introducendo la cintura d’acciaio a 0°. Con Diablo la storia si ripete, perché pur non altrettanto rivoluzionario in termini strutturali, il nuovo Pirelli segna di nuovo diversi riferimenti in termini di aderenza e regolarità di usura. I bimescola sono ancora da venire in Casa Pirelli – una scelta precisa proprio per mantenere un profilo corretto della gomma nella guida sportiva ed evitare usure male integrate fra i due tipi di mescola.

In questo caso la Diablo è stata utilizzata per calzare la prima Fireblade; un po’ perché era giusto da un punto di vista filologico utilizzare insieme i due capostipiti, un po’ perché è stata l’ultima ad offrire la misura da 16 pollici a sezione 130 per l’anteriore della CBR, dato che Pirelli non dispone più degli stampi per la prima Diablo Rosso. E poi perché con quel profilo bello rotondo – svelto per l’epoca, ma comunque lontano da certi estremismi racing della concorrenza – valorizza la guida della prima 900 mitigandone il nervosismo dell’avantreno senza penalizzarla troppo in termini di maneggevolezza.

A distanza di tanti anni la prima Fireblade è una vera sorpresa, perché anche per merito della Pirelli Diablo si rivela una moto ancora molto attuale. Per gli standard attuali il motore è un po’ fiacco, ricorda più un 600 che non una maxi – tutto succede un po’ a rallentatore, i giri salgono regolari ma senza la cattiveria, la schiena a cui siamo ormai assuefatti oggi. Del resto, dovunque si posi lo sguardo si trovano dettagli dimenticati che fanno compiere un viaggio nel proprio corridoio dei ricordi: il parziale con azzeramento meccanico, il rubinetto della benzina, il bottone dello starter…

L’erogazione e la risposta all’acceleratore sono bellissime, perché i quattro carburatori hanno una dolcezza ormai dimenticata. Ma è la ciclistica a stupire: l’agilità ha dell’incredibile anche per gli standard attuali. Alfio Tricomi, collaudatore Pirelli presente ai test, ci ha confermato l’impressione: la prima Fireblade gira attorno alla ruota anteriore con uno Yaw Angle – come la moto “volta”, si inserisce in curva per capirci – ancora più che attuale, che anzi non tutte le moto di oggi possono vantare. Freni e sospensioni fanno bene il loro lavoro, anche perché cavallerie e velocità da gestire non sono certo quelle di oggi, ma il feeling è minore per entrambi pur risultando molto più efficaci di quanto uno non si aspetterebbe pensando ai 25 anni passati.

La Pirelli Diablo ci mette molto del suo: il profilo tondo per gli standard attuali stabilizza un po’ la ciclistica eliminando quel nervosismo dell’anteriore tanto criticato all’epoca, ed offre il giusto sostegno in inserimento e percorrenza. La nostra prova, va detto per onor di cronaca, si è svolta con un vento molto forte che assieme al doveroso rispetto per mezzi di grande valore sentimentale (le tre CBR d’epoca sono state prestate a Pirelli da due collezionisti) ci ha imposto una certa prudenza.

Nonostante questo, la Fireblade 1992 ci ha conquistato per efficacia e gusto nella guida. Diremo di più: con un processo di restauro estremamente meticoloso, rinfrescando il motore e cambiando guarnizioni e bulloneria, ripristinando i serraggi di fabbrica – insomma, riportandola in condizioni vicine a quelle della moto nuova – siamo sicuri che saprebbe sorprenderci ancora di più.

CBR 900 RR 2002 – Diablo Rosso II (2011)

La Fireblade cresce regolarmente in prestazioni e cilindrata nel corso degli anni 90: nell’epoca d’oro delle supersportive viene rivista ogni due anni, ed ogni quattro avvengono cambi di modello molto importanti. Nel 1996 arriva il primo aumento di cilindrata, nel 2000 la prima rivoluzione in casa Fireblade con l’adozione della forcella rovesciata, dell’iniezione elettronica e del cerchio anteriore da 17 pollici. La 929, sigla con cui si identifica il modello fra gli appassionati in ossequio alla cilindrata, non è però granché competitiva perché manca di potenza e, pur sfruttabile come da tradizione, inizia ad avere il fiatone quando si tratta di tenere il passo della concorrenza.

Honda quindi stupisce tutti con un cambio di modello importante già dopo due anni: nel 2002 arriva la Fireblade da 954cc, con motore vitaminizzato e ciclistica affilata (quasi) come la concorrenza. Un modello adrenalinico e specialistico, che di colpo spazza via l’immagine di sportiva per tutti dei modelli precedenti: l’avantreno è nervoso e reattivo, l’inserimento affilato e rapido.

Insomma, una supersportiva da piloti, che però fa sudare sette camicie a preparatori ed appassionati: diversi tecnici delle sospensioni hanno rischiato l’esaurimento nervoso nel tentativo di mettere a terra i 151 cavalli di cui era capace la SC50, e molti fan della Fireblade sono rimasti spiazzati da una personalità molto diversa da quella di cui si erano innamorati con i modelli precedenti, tanto che Honda arriva ad offrire ai suoi clienti la sostituzione delle piastre di sterzo per calmare un po’ lo sterzo.

Gli amanti dell’adrenalina però ne restano subito affascinati, perché quando la si spreme la 954 offre reazioni da vero animale da pista, e non a caso moltissimi stuntman la scelgono come “attrezzo da palestra” per le loro esibizioni. Però dura solo due anni, non solo per la controversa accoglienza che il pubblico le ha riservato, quanto soprattutto perché dopo il ritiro ufficiale di Honda dalla Superbike i team legati alla Casa di Tokyo sono in grande difficoltà nel rendere competitiva la VTR/SP e chiedono a gran voce una quattro cilindri a cilindrata piena che gli permetta di correre ad armi pari…

Il Diablo Rosso II nasce nel 2011, cronologicamente dopo il Rosso Corsa che arriva un anno prima ma proveremo poi sul modello successivo. Figlia del primo Diablo Rosso che ha introdotto finalmente la struttura bimescola al posteriore, la Rosso II capitalizza sull’esperienza della Casa milanese in Superbike, dove riveste il ruolo di fornitore unico dal 2005, ma di fatto si propone di migliorare ulteriormente le caratteristiche della precedente Rosso Corsa soprattutto sull’anteriore in termini di prestazioni sul bagnato, dove all’avantreno viene demandata sempre di più la responsabilità di aprire un solco nel velo d’acqua che permetta di adottare aree sempre meno scolpite sulla zona centrale al posteriore.

Non a caso, infatti, il Diablo Rosso II cambia nel disegno con l’avvento della tecnologia FGD (Functional Groove Design) che aumenta il rapporto pieni/vuoti del 2%, incrementando la superficie di contatto a terra (grazie anche alla tecnologia EPT – Enhanced Patch Technology, studiata per creare un’area di contatto sull’asfalto più estesa) e migliorando agilità e capacità di scaricare a terra la potenza. Il posteriore presenta una maggiore area slick al centro del battistrada e sulle fasce laterali che consente durata e miglior frenata e grip sull’asciutto con massima piega; le due mescole – sulla spalla ad elevata aderenza, al centro studiata per migliorare percorrenza e prestazioni sul bagnato – sono ripartite in percentuali 25/75%.

In sella, il balzo in avanti rispetto alla prima 900 è evidente. Il motore è decisamente più cattivo, più rapido a prendere giri e con tanta schiena in più rispetto alla prima 900, e la posizione di guida molto più moderna anche se lontana da quelle raccoltissime delle sportive di oggi. Fa anzi un po’ impressione ricordare come la 954 portasse ad una posizione ancora più rannicchiata di quella della precedente 929, considerata già quasi estrema all’epoca, e che oggi si consideri invece quasi tranquilla la correlazione manubrio – sella – pedane dell’ultima 900 Honda.

La spinta è decisamente più rabbiosa e l’erogazione più raffinata su tutto l’arco di giri, anche se l’arrivo dell’iniezione elettronica si porta dietro un pochino di effetto on-off che ci porta di colpo ai giorni nostri.

La ciclistica è come ce la ricordavamo: agile ed affilata, tanto che per quello che ci riguarda travalica quel sottile confine che separa la maneggevolezza dal nervosismo. Bisogna caricare sempre tanto l’avantreno ed essere molto precisi su freni ed acceleratore, perché la 954 ha un brutto carattere, e si mostra piuttosto pronta nel punire eccessi di confidenza del pilota.

Soprattutto su un tracciato come quello di Alcarràs, con un paio di variazioni altimetriche molto rilevanti (ci si tuffa in un curvone in discesa e poi si risale staccando da piegati, il video non rende bene le pendenze) dove lo sterzo sembra non vedere l’ora di… vedere se il pilota sta attento o se può fargli qualche scherzo.

Ma se si resta concentrati e si guida precisi ed attenti, la 954 è decisamente efficace. E’ solo… poco Fireblade, nel senso che buona parte del Total Control delle versioni precedenti qui si perde un po’ in favore della specializzazione. Insomma, valida ma decisamente impegnativa.

Le Rosso II sono gomme ancora decisamente attuali – del resto, diverse moto continuano a montarle come primo equipaggiamento, e sono passati solo sei anni dalla sua introduzione. Il profilo non è più così tondo come quello delle prime Diablo, e si sente; paradossalmente, con una moto come la 954 forse servirebbe qualcosa di meno affilato e più rotondo, per renderla ancora più omogenea.

Non ci fraintendete: guidando con la giusta concentrazione, la CBR 900RR del 2002 con le Diablo Rosso II diventa ben più efficace ed accessibile rispetto a quanto non fosse all’epoca. Il grip è ottimo, la precisione pure, ma bisogna comunque guidare la 954 caricandola bene davanti in percorrenza ed uscita usando le pedane e stando pronti viceversa a spostarsi indietro in frenata, quando il forte trasferimento di carico sull’avantreno la porta a sbandierare un po’. Il grip superiore rispetto alle gomme dell’epoca, però, aiuta tanto, anche se forse, in assenza di problematiche di misure, sceglieremmo decisamente le Rosso III.

CBR 1000 RR 2004 – Diablo Rosso Corsa (2010)

Nel 2004 Honda abbandona la cilindrata 900 e sale alla cubatura piena. La Casa di Tokyo ha abbandonato il Mondiale Superbike, ma ci sono ancora diverse squadre che corrono con Honda, ma la VTR/SP è stata abbandonata e del resto, nelle mani dei privati, non sono mai state velocissime – le velocissime e costosissime moto del team Castrol erano tutt’altra cosa. La Fireblade quindi diventa la Superbike Honda e cresce alla cilindrata piena recependo buona parte delle soluzioni nate con la CBR600RR, del resto nata con più di un parallelismo – per lo più estetico ma non solo – con la MotoGP RC211V.

Al debutto la CBR1000RR costituisce un bel passo avanti rispetto al modello precedente. I cavalli passavano a 172 per un peso dichiarato (ottimisticamente…) in 179kg a secco, la ciclistica risultava aggiornata con l’adozione di pinze radiali e sospensioni più raffinate, fra cui la sospensione a schema Unit Pro-Link derivata dalla RC-V. E poi c’era l’ammortizzatore di sterzo elettronico HESD, che chiudeva l’idraulica alle alte velocità e lasciava lo sterzo libero sul lento. Insomma, una moto che sulla carta aveva tutto quello che serviva per fare davvero sul serio in Superbike, intenzioni ampiamente dimostrate con i risultati. Perché il titolo prima lo sfiora Vermeulen nel 2005, con la prima versione, e poi lo vince Toseland con quella riveduta e corretta introdotta nel 2006 (quella della nostra prova) sistemando un paio di difettucci.

Però, anche in questa versione, la Fireblade non era una moto da corsa. Molto stabile, sfruttabile e poco impegnativa, aveva un motore pastosissimo e quella versatilità tipica delle Honda. Ci si saliva e si andava subito forte, come piaceva agli amanti della Fireblade, recuperando la fiducia di chi non aveva apprezzato la precedente 954, troppo affilata e nervosa per conquistare il cuore dei cibierristi di lungo corso.

Il Diablo Rosso Corsa che i ragazzi di Pirelli hanno montato sotto la 1000 è nato nel 2010 per soddisfare ancora una volta i possessori di supersportive e naked ad alte prestazioni offrendo una gomma versatile, con tutte le caratteristiche di sfruttabilità e stabilità prestazionale richieste ad una copertura stradale capace però di soddisfare anche nell’uso più o meno occasionale in circuito.

E’ proprio lei ad introdurre le tecnologie EPT, ICS ed FGD, che aumentano l’impronta a terra, ottimizzano il profilo della gomma e definiscono il disegno della scolpitura del battistrada, derivate dallo sviluppo nel Mondiale delle derivate di serie e che ritroveremo nella Diablo Rosso II del 2011, quella che del resto abbiamo già provato sulla CBR 954. Anche in questo caso si tratta di una gomma con posteriore bimescola, con mescole di nuova concezione che portano più avanti i concetti già introdotti con il precedente Diablo Rosso: fascia slick sulle spalle, anteriore capace di grande sostegno in frenata ed inserimento e posteriore a consumo regolare ed elevata aderenza.

Alla guida la millona della prima generazione non si distacca molto – in termini di età percepita – dalla 954, pur naturalmente con una personalità completamente differente e una posizione di guida che si avvicina ancora un po’ a quelle a cui siamo abituati oggi. La star dello spettacolo è il motore: con un’erogazione dolce e pastosa, spinge forte in alto ed offre una corposità sotto sconosciuta alla gamma 900. Purtroppo soffre anche di un effetto on-off davvero fastidioso, effetto spesso comune agli aggiornamenti Euro che costringono i motori a girare più magri e ad offrire quindi risposte più brusche.

La ciclistica fa sentire lunghezza e peso, soprattutto per gli standard attuali: armonica e precisa, sacrifica l’agilità sull’altare della stabilità in percorrenza, senza mettere mai in crisi il pilota e, anzi, mettendolo in grado di andare sempre più forte come da ottima tradizione Honda. A patto, naturalmente, di accettare un po’ di fatica fisica negli inserimenti e nei cambi di direzione, dove la 1000 rappresenta un passo indietro rispetto alle due sorelle appena provate. Però, una volta fattaci l’abitudine, si scopre una moto che va forte e perdona veramente tutto, caratteristica essenziale in un periodo storico in cui tante soluzioni che oggi diamo per scontate non erano ancora patrimonio comune alle maxi. Pensate che pur con una cavalleria rilevante mancano controllo di trazione, anti-impennata, e non c’è neppure l’antisaltellamento.

Peccato per i freni, che ci ricordiamo più che validi ai tempi della prova: quelli del nostro esemplare erano decisamente affaticati (e forse con un disco da rettificare) e non ci hanno permesso di godere appieno delle prestazioni di un altro grande pezzo di storia della Fireblade. Ma forse è meglio così, perché abbiamo evitato di prenderci confidenze che con tanta cavalleria a disposizione avrebbero potuto risultare deleterie…

I Pirelli Diablo Corsa anche in questo caso si rivelano una scelta capace di valorizzare le caratteristiche dalla Fireblade 2004/2006. Rotondi nell’inserimento – ma forse, a sensazione, un po’ più affilati nel profilo rispetto ai Rosso II della 954, anche se con ciclistiche tanto differenti è difficile separare la suggestione dalla realtà – hanno saputo infondere sicurezza in ogni frangente. Anche, e soprattutto, quando si andava ad aprire il gas. Ricordandoci sempre, come dicevamo prima, dell’assenza di qualsivoglia controllo di trazione...

CBR 1000 RR 2017 – Diablo Rosso III (2016)

Ed eccoci arrivati nel presente. In occasione di Intermot 2016 Honda presenta l’attesissima nuova Fireblade CBR 1000RR SP1, soddisfacendo così le richieste degli appassionati di tutto il mondo che da anni chiedono un modello che modernizzi una piattaforma immutata nella sostanza dal 2008, sia pure con gli aggiornamenti intermedi e il debutto della versione SP ad inizio 2013.

La nuova CBR 1000RR Fireblade SP1 è tutta nuova, nell’estetica e nella sostanza tanto che Masatoshi Sato, il Large Project Leader della Fireblade, nell’intervista che ci ha concesso parla di un’evoluzione talmente rilevante da giustificare il termine “rivoluzione”. Da fuori il telaio sembra lo stesso ma pur mantenendo le stesse misure viene completamente rivisto nelle rigidità interne e quindi nel comportamento, il forcellone sembra prelevato direttamente da una MotoGP e dovunque si posi lo sguardo i dettagli comunicano una moto allo stato dell’arte.

Sospensioni semiattive Öhlins, ABS cornering, controllo di trazione, gestione del freno motore, anti-impennata, quickshifter in innesto e scalata nonché cruscotto TFT sono innovazioni tanto rilevanti per la famiglia Fireblade da far quasi passare in secondo piano il notevole aumento di cavalleria che porta il valore massimo a quota 192. Un dato che, unito al peso contenuto in soli 195kg con il pieno (quindi, spannometricamente, siamo un pelo sotto la prima versione del 1992) determina una moto finalmente capace di giocarsela ad armi pari con la concorrenza.

Le Pirelli Diablo Rosso III sono arrivate nel 2016 (trovate qui la nostra prova, corredata successivamente dalle impressioni raccolte nella nostra comparativa delle supersportive) e rappresentano senza dubbio uno dei riferimenti della categoria delle gomme sportive stradali. Una proposta che consente agevolmente di divertirsi in pista senza imporre i compromessi tipici di proposte più specialistiche, e che Pirelli qui ha giustamente montato sulla più recente delle Fireblade, per valorizzare una ciclistica agilissima, da riferimento, e per gestire l’esuberanza di un propulsore che fa andare in retromarcia il mondo ogni volta che si apre il gas.

Non vi riproporremo le sensazioni dalla sella che vi ha già raccontato più che bene il nostro Francesco Paolillo nella sua prova a Portimao, ma ci limiteremo al confronto con le sorelle precedenti. Lo shock culturale inizia già dal primo contatto, perché quelle posizioni di guida che anni fa ci sembravano raccolte ed aggressive accusano di colpo il peso degli anni davanti a quella estrema proposta dalla Fireblade 2017. Il manubrio è vicinissimo al corpo, ci si trova davvero raccoltissimi e nelle migliori condizioni per assumere la posizione giusta a centro curva, complici semimanubri che – ci fa notare nuovamente Tricomi – sono all’angolazione perfetta per permettere al pilota di “tirare” dentro la curva la moto senza spingere sul semimanubrio interno.

La contropartita sono pedane davvero avanzate che rendono la Fireblade molto impegnativa quando si spalanca il gas in rettilineo: i piedi tendono a scappare indietro, a meno di non guidare sempre e solo sulle punte. Ma del resto abbiamo ormai assodato come le supersportive siano diventate faticose anche sul dritto; dove una volta ci si poteva rilassare e tirare un po’ il fiato, ora si lotta per… assumere una posizione abbastanza sciolta e neutra da lasciare che la ciclistica faccia il suo lavoro. E poi arriva la staccata, dove le braccia lavorano peggio che in palestra.

L’elettronica offre grande aiuto in tutti i frangenti: mentre giriamo sulla Fireblade 2017 ci viene da pensare a come sarebbe avere questo genere di potenza sui modelli precedenti, e non riusciamo a non pensare che finirebbe inevitabilmente male. Qui la potenza è tantissima ma anche spalancando senza troppo ritegno la Fireblade fa tanta strada senza troppe reazioni inconsulte. E anche in percorrenza e in staccata, soprattutto su asfalti men che perfetti come quello di Alcarràs, ABS, sospensioni semiattive e gestione del freno motore ricompongono la moto in un attimo quando ci si prendono troppe libertà. E’ vero, ABS e anti-impennata hanno comportamenti un po’ discutibili, ma finché non ci si avvicina a ritmi davvero importanti possiamo sicuramente dire che i benefici superino ampiamente i problemi.

Le Pirelli Diablo Rosso III? Difficile dire qualcosa che non sia già stato detto nelle nostre prove precedenti: si comportano alla perfezione anche e soprattutto per lo sviluppo effettuato da Pirelli. Ma non è solo il comportamento dinamico a colpirci, nonostante agilità e feeling sullo sterzo siano ovviamente da riferimento: il punto è che come ci siamo trovati più volte a commentare con i colleghi e i tecnici di Pirelli, ci siamo trovati più volte a fare mente locale per realizzare – soprattutto sull’avantreno – di non calzare gomme in mescola, tale e tanto è il livello di grip offerto.

25 anni, una vita

L’esperienza regalataci da Pirelli è assolutamente illuminante. Da un lato ci ha consentito di rituffarci nel passato, ricordandoci esperienze ormai dimenticate e sensazioni di guida appartenenti a tempi ormai andati, dall’altra ci ha permesso di apprezzare l’enorme progresso compiuto da moto e pneumatici in quelle che possono essere considerate al pari di ere geologiche nel mondo delle due ruote.

Salire e scendere dalle quattro Fireblade che abbiamo avuto il privilegio di guidare in un’unica soluzione ci ha fatto toccare con mano l’aumento delle prestazioni di cui si sono rese protagoniste le supersportive e, per ricaduta, tutte le moto al top di gamma delle Case moto. Un progresso reso possibile dall’evoluzione dei materiali e dall’introduzione dell’elettronica – partendo dai sistemi di iniezione fino all’attuale pletora di sistemi di gestione veicolo che grazia la nuova Fireblade – perché prestazioni come quelle della SP1 di oggi sarebbero state semplicemente ingestibili, anche da un pilota, su una moto di serie all’epoca della prima CBR 900RR. Il peso è rimasto quello (anzi, è tornato quello dopo qualche appesantimento) e la potenza è quasi raddoppiata.

Un progresso che ha però reso le moto più prestanti ma anche più sicure, con le ricadute di cui si parlava sopra. Anche senza pensare alle potenze massime, se le varie sport-touring, maxienduro, crossover e quant’altro oggi sono molto più guidabili e sicure di una volta lo dobbiamo senza ombra di dubbio alla sperimentazione che dalle corse ha portato a supersportive sempre più evolute e tornate a rivestire ormai per tutte le Case il ruolo di ammiraglia della gamma. Non si vendono più come una volta, e forse – considerando il livello prestazionale raggiunto e lo stato delle nostre strade – non è affatto un male.

Ma tutto questo non sarebbe stato possibile senza gomme che tenessero il passo dell’evoluzione tecnica. Così come le moto sono cresciute da un punto di vista prestazionale ma anche da quello della guidabilità e della sicurezza, allo stesso modo le gomme si sono evolute garantendo livelli di grip da competizione, mantenendo però al contempo – se non addirittura aumentando – la versatilità sotto forma di grip sul bagnato, velocità di riscaldamento, durata del livello prestazionale ottimale.

E anche in questo caso, tutti i benefici generati dallo sviluppo delle coperture sportive hanno ricadute su quelle più turistiche: pensate alle caratteristiche di grip e maneggevolezza che oggi sono in grado di offrire proposte sport-touring o proprio touring, e confrontatele con le gomme dello stesso segmento di quindici anni fa. Una prova come questa è la miglior risposta per chi si chiede quale sia il senso dello sviluppo di moto e coperture supersportive: la tecnologia che troveremo domani su proposte di segmenti più umani e versatili sarà figlia dello sviluppo di cui siamo stati testimoni oggi. Scusate se è poco.

Maggiori informazioni:

Moto: Honda CBR 900RR 1992, CBR 900RR 2002, CBR 1000RR 2006, CBR 1000RR 2017

Meteo: Sole, 16°

Luogo: Alcarràs (Spagna)

Terreno: pista

Foto: Marco De Ponti

 

Sono stati utilizzati:

Casco KYT KR-1

Tuta Ixon Mirage

Guanti Alpinestars GP Tech

Stivali Alpinestars SuperTech R

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