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Inutile nascondersi dietro un dito. L’età media dei motociclisti si sta alzando – anche se con qualche timido segnale di risveglio da parte degli attuali teen-ager – e, non bastassero le statistiche o i colpi d’occhio sulle… capigliature rade o imbiancate che si vedono negli abituali ritrovi di turisti e smanettoni, è sufficiente posare l’occhio sull’offerta delle Case costruttrici per capire come le varie “operazioni nostalgia” siano sempre di più.
Operazioni dal diverso sapore, figlie di approcci al tema diversi almeno quanto diversi sono i DNA dei vari costruttori. C’è chi è rimasto il più fedele possibile ai concetti estetici ma anche tecnici originari, e chi invece ha scelto di declinare su estetiche retrò moto modernissime, e chi – come Kawasaki – ha provato un po’ entrambe le soluzioni.
Prima ad entrare nel segmento delle classiche con la serie W di inizio anni 2000, Kawasaki ha poi cambiato bruscamente rotta l’anno scorso, quando la dismissione della W 800 (non passata all’Euro-4) ha visto la nascita della Z900RS (Retro Sport) sulla base dell'attuale Z900. Moderna, modernissima tecnicamente, ma con un’estetica meticolosamente recuperata dalla leggendaria 900 Z1 del 1972, la ErreEsse ha destato moltissimo interesse, sia nella versione standard che in quella Café, che si ispira apertamente alle preparazioni sportive in voga all’epoca. E allora, dopo averne analizzato stile e stilemi con Renato Montagner nel servizio che vi abbiamo proposto qualche giorno fa, le abbiamo provate entrambe, per mettere a confronto due moto sulla carta praticamente sovrapponibili, per capire meglio quanto effettivamente si differenzino sul piano della guida.
La connotazione estetica richiama appunto la Z1, forse il modello più seminale di Kawasaki, con uno studio approfondito che ha recuperato tantissimi elementi con citazioni puntuali e precise – diverse finiture riprendono quelle dell’epoca in chiave moderna, le altezze fondamentali sono state mantenute, arrivando addirittura a dettagli come l’inclinazione delle lancette di tachimetro e contagiri – sopra una base tecnica naturalmente moderna.
Il serbatoio a goccia, l’andamento del codino ducktail, i fianchetti, la sella a due piani, il manubrio, la connotazione estetica del faro, sono tutti ripresi con commovente fedeltà dal modello originale. E poi anche lo scarico, che pur rinunciando al quattro-in-quattro, rimane pulito nell’andamento come poche altre Euro-4 riescono ad essere oggigiorno. Del resto, anche a suo tempo, si sostituiva regolarmente lo scarico con il quattro-in-uno…
La versione CAFE cambia evidentemente con l’arrivo del cupolino e livree che rendono omaggio al passato agonistico della Z900. Ma sono diverse anche diverse finiture: il silenziatore satinato invece che lucido, il manubrio – più basso e avanzato grazie a diversi riser manubrio – è verniciato nero invece che cromato, la sella è leggermente più bassa e con andamento che fa il verso al monoposto (con il “panettone” posteriore). Il tutto per un peso che sale di un chilo tondo, passando dai 215kg della Z900RS ai 216 della Z900RS CAFE.
Le colorazioni prevedono, per la Z900RS, la Candytone Brown/Candytone Orange (che vedete su queste pagine), Metallic Spark Black oppure Matte Covert Green/Flat Ebony. Per quanto riguarda la CAFE, a quella verde lime della nostra prova va ad aggiungersi, per il 2019, la nuova Metallic Graphite Grey.
Del tutto invariato il motore – naturalmente identico per entrambe le versioni – da un punto di vista strutturale rispetto al quattro cilindri da 948cc che spinge la Z900 presentata lo scorso anno. Cambia però la connotazione estetica, con i carter lavorati per fare il verso (ancora una volta) alla Z1 originale, e la testata, su cui in Kawasaki hanno creato un’alettatura inutile dal punto di vista tecnico, ma sicuramente di grande impatto da quello estetico.
Diverse però le revisioni di dettaglio per addolcire la personalità del motore. Le camme sono state riviste nel profilo con una fasatura meno spinta – le fasi di aspirazione e scarico sono state accorciate – e il rapporto di compressione abbassato da 11,8 a 10,8:1. L’albero motore è stato appesantito del 12% rispetto all’unità della Z900, e tutto il reparto alimentazione è stato ripensato per abbassare il regime di coppia massima, che rimane invariato a 10kgm ma viene raggiunto a 6.500 giri invece di 7.700. Una modifica che lima un po’ le unghie al motore agli alti, con la potenza massima che cala da 125 a 111cv. In compenso arriva il controllo di trazione K-TRC a due livelli.
Anche per quanto riguarda la ciclistica, la RS – sia in versione standard che CAFE – attinge a piene mani dalla struttura della Z900. Il traliccio in acciaio è molto simile nella parte frontale, ma cambia in zona sella alzando la seduta e definendo una posizione di guida nettamente più retrò, con il pilota seduto quasi sullo stesso livello del serbatoio e un manubrio decisamente più rialzato (sia in versione standard che nella CAFE) che determina una seduta più rialzata e rilassata.
All’avantreno troviamo una forcella rovesciata con steli da 41mm regolabile in precarico ed estensione; stesse tarature per il monoammortizzatore montato asimmetricamente secondo lo schema Horizontal Back-Link.
I freni sono Nissin, con una coppia di dischi da 300m e pinze radiali monoblocco a 4 pistoncini all’avantreno e un disco da 250mm al posteriore. I cerchi, in lega, hanno le razze lavorate di macchina sui lati per fare il verso alle unità a raggi dell’epoca, con pneumatici Dunlop GPR-300 in misura rispettivamente 120/70 e 180/55.
La posizione di guida è decisamente diversa da quelle a cui siamo abituati su moto di questo livello prestazionale. Ci si siede sopra la moto, come dicevamo, non inseriti come accade sulle proposte più moderne: la sella è larga e relativamente alta, anche se basta superare il metro e settanta per poggiare saldamente almeno un piede a terra. Il manubrio, sulla RS, è comodo e ben arretrato, definendo una triangolazione con sella e pedane anche visivamente molto vicina a quella tipica del periodo della prima Z900.
Sulla CAFE il discorso cambia, anche se non di moltissimo. La sella è più scavata e avvicina la seduta a terra e il manubrio, ribassato in maniera leggermente più marcata, determina un carico sui polsi un pelino maggiore rispetto alla RS standard. Differenze di poco conto che però influenzano la guida, rendendo la RS un pochino più agile e maneggevole, e la CAFE più adatta al veloce, dove la distribuzione dei pesi leggermente differente offre un po’ più di feeling sull’avantreno.
Per entrambe va segnalato l’ottimo rivestimento della sella, che trattiene bene quando si va a guidare sportivi assecondando la personalità di un motore brillante e quasi senza difetti se contestualizzato alla destinazione d’uso di queste RS. Rapportato corto, spinge bene a tutti i regimi pur non avendo medi regimi da tricilindrico; del resto, con l’arrivo dell’Euro-4, sarebbe ingeneroso pretendere di più. Sarebbe invece bello far sparire il fastidioso effetto on-off che penalizza il quadricilindrico alla prima riapertura sotto i 3.000 giri – fenomeno curioso, visto che sulla Z900 non ce n’è traccia – ma a cui si fa rapidamente l’abitudine, soprattutto quando si esce dalla città e si inizia a giocare fra le curve.
Il meglio si ottiene ai medi regimi, con un bell’impulso, successivamente, oltre i 6.000 e una spinta che si stempera dolcemente in alto, senza far rimpiangere la manciata di cavalli persi rispetto alla Z900. E le vibrazioni sono piacevolmente assenti a tutti i regimi, rendendo le RS mezzi su cui si può anche prendere in considerazione un impiego turistico. Pensiamo soprattutto alla CAFE, vista la protezione aerodinamica offerta – fino ai 140 il cupolino lavora discretamente, se non siete altissimi – ma anche sulla RS un po’ di viaggi disimpegnati non sono fuori luogo.
Bene l’elettronica. Complice una gommatura di primo equipaggiamento decisamente non all’altezza di una moto di questo blasone e prestazioni, il controllo di trazione deve intervenire con una certa frequenza nella guida sportiva. A livello 1 il sistema lavora bene, addolcendo la spinta non appena si ha una perdita di aderenza, mentre a livello 2 diventa davvero cautelativo e da utilizzare in caso di fondi infidi o delle disastrate strade cittadine.
Ci piace anche il comportamento della ciclistica, ben accordato fra avantreno e retrotreno. La taratura è piacevolmente sostenuta ma soprattutto omogenea: le sospensioni copiano bene le asperità, e solo sui fondi più accidentati il mono può andare un po’ in crisi con risposte troppo secche. Buoni anche i freni, che non esagerano per mordente al primo richiamo e si dimostrano poi belli potenti quando si va a tirare forte la leva.
Com’era la prima Kawasaki 900? Impressionante sotto ogni punto di vista. Arrivò dopo la stupefacente Honda CB 750 Four con l’obiettivo di adombrarla, non ci riuscì del tutto perché la Four si rivelò di maggior successo commerciale, ma certo la superò in fatto di immagine sportiva e prestazioni.
Aveva il motore più grosso e potente: era la moto di serie più veloce e quella che accelerava più forte. Era nata per conquistare gli Stati Uniti, così come la Four, ma a differenza della Honda anche da guidare era maggiormente sportiva perché curvava meglio e oscillava meno sul veloce. Ma certo pesava, oltre 240 kg, aveva sospensioni un po’ morbide, frenava forte ma in maniera nemmeno paragonabile alle moto che sarebbero arrivate anche solo dieci anni dopo. E poi, se le gomme erano buone, era facile toccare a terra con il cavalletto centrale e gli scarichi.
Chi non si accontentava di lasciarla così com’era, ed erano molti, iniziava a modificarla: via i quattro scarichi e su un bel quattro in uno Marving nero opaco, più leggero e soprattutto con un urlo riconoscibile da lontano; il secondo freno a disco si poteva montare facilmente perché lo stelo destro della forcella (esile…) aveva gli attacchi per la pinza; il manubrio alto si cambiava con un Menani basso e la sella si modificava riducendone l’imbottitura, sagomandone il codino (il maniglione cromato spariva assieme al cavalletto centrale) e rivestendola in scamosciato chiaro. Qualcuno si spingeva oltre montando gli ammortizzatori Koni regolabili e per le gomme c’erano le Dunlop K70 e K81.
La Z1 andava fortissimo, ben oltre i duecento effettivi, e l’assenza di cupolino, l’abbigliamento svolazzante e il casco pieno di spifferi amplificavano la sensazione di velocità.
Non aveva un’erogazione appuntita come quella delle due tempi Kawasaki (poco più di ottanta cavalli all’albero ora fanno sorridere ma all’epoca erano un’enormità) e sembrava che il “Kawanove” allungasse all’infinito. La differenza con le moto che guidammo nei decenni successivi si rivelò abissale nella frenata, nella tenuta di strada e nell’aderenza dei pneumatici. Viva il fascino e il sapore di quegli anni, ma se c'è da guidare viva la qualità delle moto moderne...
Maurizio Gissi
Moto: Kawasaki Z900RS e Z900RS Cafè
Meteo: Variabile, 20°
Luogo: Milano, Mottarone
Tester: Edoardo Licciardello, Maurizio Gissi
Terreno: Misto extraurbano, città, autostrada
Rilevamenti strumentali su strada: Maurizio Tanca
Rilevamenti al banco prova: Superbike Snc, Novate Milanese (MI)
Foto: Giuseppe Caggiano
Video: Luca Catasta, Antonio Mulas
Edoardo Licciardello
Casco Arai RX-7V
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