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Il fascino del passato è innegabile. Il design e il marketing attingono costantemente, a piene mani, al “bello” del passato, un po’ per l’effetto nostalgia e un po’ perché - se è vero che la bellezza è senza tempo - se qualcosa era davvero bello ieri, è facile che lo sia ancora oggi.
Lo vediamo nell’abbigliamento, nell’architettura, nelle auto e naturalmente nelle moto, dove dal giro del millennio a oggi le classiche hanno preso fortemente piede. Una riscoperta del passato un po’ in tutte le salse, perché dopo aver completato il filone delle riproposizioni fedeli delle grandi classiche di una volta, si è passati a modelli come i tre che vedete in questa comparativa. Classiche si, ma dalla sostanza davvero moderna.
Tre modelli, peraltro, di diverso… livello di classicità. Dalla Triumph Speed Twin (qui il listino), la più fedele ai concetti della moto classica alla Kawasaki Z900RS (qui il listino) che recupera la linea e tante soluzioni del glorioso modello di cui porta il nome, ma poi nella sostanza è una moto ben più moderna, fino alla Suzuki Katana 1000 (qui il listino) che di classico ha praticamente solo il nome, e un richiamo (azzeccatissimo, peraltro) alle linee della gloriosa Katana realizzata dallo studio di Hans Muth.
Rinfreschiamoci la memoria in merito alla sostanza dei tre modelli, prima di confrontarli nella dinamica. Naturalmente, per sapere tutto-ma-proprio-tutto su ogni singolo modello vi rimandiamo alle prove di ognuna. Potete trovare, rispettivamente, qui quella della Kawasaki Z900RS, qui quella della Suzuki Katana, e qui quella della Triumph Speed Twin.
La Kawasaki Z900RS si rifà evidentemente a quella Z1 con cui Kawasaki è balzata all'attenzione del mondo occidentale. Un omaggio fatto di tante citazioni, piccole e grandi, con la forma del serbatoio, il codino, l'altezza del piano sella, adirittura l'inclinazione degli aghi della strumentazione, naturalmente effettuate su una base tecnica moderna, ovvero quella della Z900.
Il motore resta invariato nelle sue componenti generali, anche se ad Akashi sono intervenuti su molti dettagli dentro e fuori. Esatto, fuori, perché i carter sono lavorati per richiamare quelli della prima Z1, e i cilindri sono caratterizzati da un'alettatura tecnicamente superflua, ma volete mettere dal punto di vista estetico?
Kawasaki ha però lavorato molto anche "dentro" per addolcire la personalità del motore e adattarlo alla personalità di un modello che - certo - vuole richiamare il fascino della "moto da rapina" degli anni 70, ma il cui appeal viene percepito anche da appassionati non troppo dinamici. Ecco allora una distribuzione meno spinta, una compressione ridotta, un albero motore appesantito e un'alimentazione rivista - il tutto per spostare verso il basso la curva di coppia e addolcire il carattere di un motore decisamente peperino in versione Z900. Qui il valore di coppia massima resta di 10kgm ma viene espresso a 6.500 giri invece di 7.700, e la potenza massima cala, con 125 cavalli in luogo dei 111 della Z900. Ma per essere ancora più sicuri, c'è anche il controllo di trazione K-TRC a due livelli.
Anche per quanto riguarda la ciclistica, la RS non si allontana più di tanto dalla "donatrice" Z900. Il telaio a traliccio in acciaio è di fatto lo stesso nella parte frontale, ma introduce variazioni in zona sella alzando la seduta e posizionando il pilota sullo stesso livello del serbatoio.
Quanto a sospensioni, all’avantreno troviamo una forcella rovesciata da 41mm regolabile in precarico ed estensione; stesse possibilità per il monoammortizzatore Horizontal Back-Link montato asimmetricamente come ormai tradizione della Casa di Akashi.
I freni sono Nissin, con due dischi da 300m e pinze radiali monoblocco davanti; al posteriore troviamo un disco da 250mm. I cerchi vantano razze lavorate di macchina che si rifanno a quelli a raggi dell’epoca della Z1. Scelta discutibile - non ci stanchiamo di ripeterlo - ma tutto sommato poco penalizzante per gli pneumatici Dunlop GPR-300 in misura rispettivamente 120/70 e 180/55 ad avantreno e retrotreno.
Disegnata dall'italianissimo Rodolfo Frascoli, la nuova Suzuki Katana 1000 (un po' come la Z900 RS) parte dalla base di un'affermata maxinaked della Casa - la GSX-S 1000 - per dare vita a un modello dalla caratterizzazione nettamente diversa, anche se in questo caso, per scelta precisa, il risultato rimane molto più vicino nella sostanza - e quindi nel comportamento dinamico, come vedremo poi - alla moto originale.
La vista anteriore è naturalmente caratterizzata dal richiamo alla Katana 1100: forma del faro, taglio del cupolino e forma della semicarenatura sono semplicemente la declinazione moderna dell'originale. Il posteriore è più originale, con un codino cortissimo (ma la sella è una citazione all'originale anni 80) e il portatarga vincolato al forcellone per alleggerire ancora di più la forma della coda.
All'atto pratico, le modifiche comportano una posizione di guida differente e una diversa ripartizione dei pesi (anche se la massa complessiva, in ordine di marcia, rimane quello della GSX-S 1000F, 215 kg). La sella si alza di 15 mm, per un totale di 825, il manubrio è più largo di 35 mm e il serbatoio perde 5 litri di capienza, passando da 17 a 12.
Si rinnova il ponte di comando, che adotta un'inedita strumentazione LCD che richiama nella grafica quella della Katana anni 80. Ben più noto invece il motore, praticamente immutato rispetto a quello, derivato dalla GSX-R1000 K5, che troviamo sulla GSX-S. I numeri parlano di 150 cavalli a 10.000 giri e 108Nm a 9.500, valori di tutto rispetto tenuti a bada dal controllo di trazione su tre livelli. Apprezzata però la novità della camma acceleratore di nuovo profilo, che addolcisce la risposta in riapertura facendo sparire il problema dell'on-off riscontrato sulla GSX-S.
Non ci si sposta di un millimetro invece in termini di ciclistica: telaio a doppio trave in lega leggera, forcella Kayaba a steli rovesciati da 43 mm completamente regolabile, monoammortizzatore regolabile in estensione e precarico molla. I cerchi da 17" adottano inediti pneumatici Dunlop Roadsport 2, specifici per la Katana, nelle misure 120/70 anteriore e 190/50 posteriore. Impianto frenante di valore, con dischi da 310 mm e pinze radiali Brembo all’avantreno, nonché disco da 250 mm posteriore. Il tutto ovviamente gestito da ABS Bosch.
E' sicuramente la più classica delle tre, del resto ispirata ad un modello epocale per Triumph che la Casa di Hinckley non aveva ancora recuperato nella nomenclatura fin da quel 1937 in cui "Ted" Turner la progettò. E' stata la prima bicilindrica parallela, antecedente addirittura a quella Bonneville che dà il nome a tutta la gamma classica Triumph - inevitabile che anche il modello che ne porta il nome sia davvero speciale.
Speciale lo è sicuramente nelle finiture: le classiche Triumph ci hanno abituato ad un livello altissimo ma la Speed Twin va ancora oltre. C'è alluminio praticamente dovunque, la plastica è stata messa al bando, e dovunque si posi l'occhio si resta affascinati. Chicche una dietro l'altra, soluzioni raffinatissime per nascondere le inevitabili modernità di una moto Euro-4, e un peso che si ferma a 197 kg a secco - 10 in meno della 1200 standard, ben 7 meno della più costosa Thruxton R.
La base motoristica è quella della T 120 nella configurazione utilizzata sulla Thruxton (97 cv a 6750 giri, 112 Nm a 4950) con differenze però negli organi interni che determinano un peso inferiore di 2,5 kg. Il bicilindrico parallelo raffreddato a liquido, fasato a 270° con distribuzione monoalbero a 8 valvole è gestito da un impianto elettronico allo stato dell'arte: acceleratore ride by wire, tre mappe motore e controllo di trazione.
Bella anche la ciclistica, incentrata sul telaio a doppia culla in tubi di acciaio e il forcellone in alluminio della Thruxton, anche se variata leggermente nelle misure caratteristiche - l'interasse cresce ma lo sterzo si velocizza. Altre differenze emergono osservato nel ruote, da 17" ma in lega leggera a sette razze con pneumatici Pirelli Diablo Rosso 3 nelle misure 120/70 e 160/60.
Diverso anche l'impianto frenante, con una bella coppia di dischi da 305 mm all'avantreno, con pinze Brembo a montaggio assiale. La forcella, KYB, è un'unità convenzionale, non regolabile, con steli da 41 mm. Stesso fornitore per il doppio ammortizzatore posteriore, regolabile però nel precarico molla.
Tre mezzi diversissimi nell'estetica così come nella guida: ognuna ha caratteristiche personali nella dinamica che le rendono davvero uniche e, ognuna a modo suo, fedele alla sua interpretazione del segmento. Vediamole una per una.
Kawasaki Z900RS
Il tuffo nel passato inizia dalla posizione di guida, piatta e rilassata come ormai non usa più da tempo. La sella, ben imbottita, è larga e accogliente, con un manubrio comodo e discretamente arretrato e pedane ben posizionate, che definiscono una triangolazione improntata sull'agilità e la facilità di guida.
Il primo impatto con il motore è positivo: corto di rapporti, è brillante e vivace, pur se non particolarmente corposo ai medi regimi e un po' penalizzato da un effetto on-off alla prima riapertura a cui si fa l'abitudine ma di cui si farebbe volentieri a meno. In alto la spinta si stempera con dolcezza avvicinandosi al limitatore, ma la RS, dopotutto, non vuole esagerare nelle prestazioni sportive.
Piace anche la dotazione elettronica, con un controllo di trazione che interviene solo quando necessario sul livello 1, dove costituisce una rete di sicurezza nella guida più sportiva e decisa, Sul "due" diventa nettamente più cautelativo e prudenziale, ma meglio così, considerando la già citata gommatura di primo equipaggiamento.
Ottima la ciclistica, con una bella armonia di comportamento. Le sospensioni digeriscono quasi tutto - al netto di fondi davvero disastrati - senza risultare troppo sfrenate nella guida sportiva, e i freni offrono una bella potenza anche se, con tale motore, a volte si vorrebbe un po' più di prontezza da parte del comando.
La Kawasaki Z900RS è un po' una via di mezzo fra le altre due, che come vedremo si collocano agli estremi della scala: ama la guida rotonda ma non si tira indietro quando si spinge, forte di un gran bel motore e di una ciclistica sana e bene a punto. Le prestazioni? Qualcuno le trova esagerate, noi no: se si vuole replicare il fascino della Z1, mica si può fare una moto spompa...
Suzuki Katana 1000
Cambia poco, dicevamo, nella guida della Katana 1000: Suzuki ha scelto di restare vicina all'eccellente dinamica della GSX-S definendo così una moto sportiva, sicuramente la più caratterizzata in questo senso della compagine. Ne esce una moto relativamente comoda - il serbatoio stretto migliora l'agilità anche se penalizza l'autonomia - e sempre pronta a giocare fra le curve.
Agile e svelta, nonostante la scelta tipicamente giapponese del posteriore 190/50, la Katana è piacevolmente a punto nel funzionamento: il cambio è rapido e preciso, le sospensioni a punto e capaci di gestire diverse situazioni, e un motore meraviglioso per tiro sotto, schiena ai medi e potenza in alto.
E quando si fa sul serio si apprezzano anche freni potenti e ben tarati, con quel mix perfetto fra controllo e aggressività del comando, per assecondare chi ama una guida sportiva che, senza dubbio, è il suo forte.
La Katana è forse la meno classica delle tre - d'altra parte è quella che si ispira al modello più recente e moderno delle tre - e quella con la guida più sportiva. Proprio per questo piacerà sicuramente di più a chi non cerca un modello troppo tranquillo, ma vuole una moto ugualmente a suo agio sui passi di montagna quanto nella passeggiata in città, magari con il motore non troppo basso di giri per gustarsi quel ringhio minaccioso e la senzazione di aver sotto una belva pronta a scattare avanti.
Certo, delle tre è anche la meno accessibile da un punto di vista prestazionale: è sicuramente quella che richiede più esperienza e dimestichezza con le grandi potenze, nonché il maggior grado di... autocontrollo, perché sotto il sedere si ha pur sempre una potenza che solo pochi anni fa sarebbe stata sufficiente a vincere un Mondiale Superbike. Insomma, astenersi principianti. Per gli altri, tanta libidine...
Triumph Speed Twin
E' un'insospettabile, una sleeper, come piace definirle agli anglofoni: si sale in sella e ci si aspetta una vecchietta un po' compassata, da trattare con i guanti. E invece si scopre una vera e propria belvetta, con un motore vigoroso e che spinge bene ai medi facendosi sentire con la sua voce da baritono. Una rapportatura cortissima, accentuata dalla coppia del bicilindrico, le permette di schizzare in avanti ad ogni apertura di gas, rendendo ugualmente piacevole la passeggiata così come la sparata in montagna.
Ma quello che sorprende, soprattutto nel confronto diretto con le concorrenti di questa prova, è l'agilità: complice una posizione rialzata e un manubrio ampio e ben posizionato, la Speed Twin è un fulmine in inserimento e in percorrenza, tanto da richiedere un bel cambio di parametri decisamente meno immediato di quanto non sarebbe lecito attendersi. Le prime curve ci vedono anticipare nettamente la corda, e serve qualche chilometro per mettersi a registro.
Non per questo la Triumph risulta però impegnativa, sia chiaro. Anzi, delle tre è sicuramente quella più classica anche nella guida, ma prende nettamente le distanze dalle sue concorrenti più dirette per l'efficacia dinamica. Non è assolutamente fuori luogo aspettarsi di tenere il passo degli amici in sella a moto ben più moderne nell'impostazione, e anche nella nostra prova... non siamo mai riusciti a staccarla a meno di non infilarsi su stradoni velocissimi e decisamente poco gratificanti nella guida.
Una gran bella sorpresa, dicevamo, anche perché dietro l'estetica più classica si nasconde una sostanza davvero modernissima e bene a punto: la gestione elettronica è all'altezza di realizzazioni ben più sportive, e la gommatura di primo equipaggiamento valorizza ulteriormente le doti di... birichina della Speed Twin. E chi se lo aspettava?
Moto: Kawasaki Z900RS, Suzuki Katana 1000, Triumph Speed Twin
Tester: Edoardo Licciardello, Francesco Paolillo, Maurizio Gissi
Luogo: Passo del Penice
Foto e video: Massimo di Trapani
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