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E’ di nuovo quel periodo dell’anno. Quel momento in cui ci la redazione si vuota e infiliamo casco e tuta di pelle per uscire dalla corsia box di qualche circuito sulle sette sportive più prestanti e raffinate del panorama mondiale. Le ammiraglie, le punte di diamante delle Case costruttrici, che attendono con ansia il responso di tester e cronometro.
Un momento che aspettiamo sempre con ansia, perché se è vero che le supersportive attuali sono sempre meno sfruttabili - ormai anche in pista - da chi non è un pilota di quelli veri, le emozioni che sanno regalare non sono paragonabili a nessun’altra categoria. Aprilia RSV4 1100 Factory, BMW S1000RR, Ducati Panigale V4S Corse, Honda CBR 1000RR Fireblade SP, Kawasaki Ninja ZX-10RR, Suzuki GSX-R 1000R e Yamaha YZF-R1M. Insomma, il garage dei sogni di qualunque amante delle supersportive.
Sette moto non sono facili da raccontare nel dettaglio, quindi abbiamo pensato bene di dividere la prova in tre capitoli. Nel primo, anche se sappiamo di avervele già presentate più volte dal momento della loro introduzione, ci rinfreschiamo la memoria - appunto - sul come sono fatte.
Nel secondo passiamo a raccontarvi come vanno, dopo una bella giornata passata a saltare da una sella all’altra sul tracciato di Pergusa, con gomme Pirelli Supercorsa SP.
Nel terzo, infine, le sottoponiamo all’implacabile giudizio del cronometro. Perché non ci stancheremo mai di ripetere quanto, all’atto pratico, contino i tempi che sanno staccare queste moto nelle mani di un pilota rispetto al racconto delle caratteristiche dinamiche, che invece vi permette di scegliere la moto che più fa per voi, ma… lo sappiamo, i riferimenti cronologici hanno il loro fascino. E quindi, dopo aver gommato le sette belve con le slick Pirelli Diablo Superbike SC1, abbiamo scatenato anche quest’anno Alfio Tricomi e abbiamo stilato una classifica.
Curiosi di sapere com’è andata? Leggete oltre. E guardate i video.
Una superbike, sofisticata, leggera e potentissima: la prima versione dell’Aprilia RSV4 è del 2009 ma i continui affinamenti hanno prodotto una versione 2019 (trovate qui la prova) allo stato dell'arte le cui novità più evidenti sono le appendici aerodinamiche laterali in stile RS-GP (finora riservate all'esclusiva Factory Works) e l'incremento di cilindrata fino a 1.078cc ottenuto portando l'alesaggio dai precedenti 78 fino agli 81 mm attuali, per valori di potenza e coppia da urlo: 217cv a 13.200 giri e 122Nm a 11.000.
Aggiornamenti anche per la fasatura di distribuzione e i condotti di aspirazione (fissi), mentre la coppia maggiore del 10% lungo tutto l'arco d'erogazione ha consentito di allungare i rapporti di quinta e sesta marcia; se il cambio è dotato di quickshifter bidirezionale (e anche a gas parzializzato), resta confermata a livello ciclistico la possibilità di variare sia l'inclinazione del cannotto di sterzo che l'altezza del perno del forcellone e – attualmente unica supersportiva a concederlo – la posizione del motore V 65° nel telaio, quest'ultimo costituito da elementi fusi ed elementi stampati e praticamente lo stesso della versione precedente.
L'interasse si accorcia di 4 mm (1439mm) e le nuove piastre di sterzo avvicinano il pilota alla ruota anteriore portando il carico verso l'avantreno. La gestione elettronica del veicolo e del motore è il fiore all'occhiello della RSV4 fin dalla sua nascita: il motore dispone di tre mappe selezionabili anche in marcia (Track, Sport, Race), ed è evolutissimo il Sistema APRC che comprende controllo di trazione, controllo di impennata, controllo di partenza, cruise control e il limitatore di velocità per la corsia box, oltre alla piattaforma multimediale MIA.
Assenti per scelta le sospensioni semi attive, l'Aprilia resta una superbike dove è necessario cucirsi addosso l'assetto: la forcella è una Öhlins NIX con steli di 43 mm con escursione di 125mm, più 5 mm rispetto al modello precedente per dare più contatto al suolo in accelerazione, mentre al posteriore troviamo un mono Öhlins TTX con escursione di 120mm: manco a dirlo, tutto il comparto sospensioni è totalmente regolabile.
Il reparto frenante vede l'introduzione delle pinze Brembo Stylema, ma se desiderate il massimo potete regalare alla vostra RSV4RF 1100 i convogliatori d'aria in fibra di carbonio che abbassano la temperatura delle pinze del 20%. I dischi flottanti di 330 mm all'anteriore e quello posteriore di 220 mm vengono gestiti dall'ABS Bosch 9.1 MP con funzione cornering, regolabile su 3 mappe e dotato di strategia RLM per limitare il sollevamento del retrotreno in staccata.
I cerchi di 17' calzano pneumatici 120/70 all'anteriore mentre al posteriore è possibile scegliere tra 200/55, 190/50 e 190/55, per una ampiezza di scelte di assetto praticamente al livello di una reale superbike dalla quale la RSV4 non si discosta troppo nemmeno per il peso: 177 Kg a secco e 199 in ordine di marcia con il pieno, incredibilmente più contenuto di quello della sorella di 1000 cc grazie sia al silenziatore in titanio firmato Akrapovic che alla batteria al litio.
Nata nel 2009 sconvolgendo il settore, la BMW S1000RR (qui la prova) è alla sua terza generazione ma è la prima volta che viene totalmente riprogettata con l'obiettivo di renderla più potente, più leggera e... più facile.
Il nuovo quadricilindrico in linea è più leggero di 4kg ed esprime 207cv a 13.500 giri e 113Nm a 11.000 g/m: è impreziosito dal sistema Shiftcam di fasatura variabile della distribuzione che agisce sulle valvole di aspirazione - in titanio, cave come quelle di scarico e servite da condotti di aspirazione a lunghezza variabile - modificando alzata e tempi di apertura in soli 6 millisecondi fra le due diverse camme, una ottimizzata per i regimi superiori ai 9.000 giri e una per quelli inferiori; i benefici sono una maggiore spinta ai medi e bassi regimi, l'abbandono della rabbiosa entrata in coppia del modello precedente e la riduzione dei consumi del 4% (dichiarata) ma dubitiamo che il potenziale acquirente della S1000RR possa ritenerlo un argomento decisivo…
Il cambio a sei marce è dotato di serie del quickshifter con supporto in innesto e scalata e lo schema dei leveraggi consente l’inversione del comando per chi in pista vuole proprio tutto in versione race.
Vengono limati 1,3 kg dal nuovo telaio Flex Frame sfruttando il motore (inclinato di 32°) come elemento stressato: alleggerimento esteso anche al traliccio posteriore e al forcellone più leggero di 300g e allungato fino a raggiungere il nuovo interasse di 1441 mm (+ 9mm) con il cannotto che si chiude fino al valore di 23,1° e l'avancorsa che raggiunge i 93,9 mm.
La piattaforma inerziale a sei assi dialoga con l'ECU per definire quattro riding mode, Rain, Road, Dynamic e Race, che diventano sette con l’optional Modalità Pro con gli ultimi tre configurabili dall’utente che permettono anche la regolazione dell’anti-impennata e del freno motore, nonché la possibilità di regolazione fine per il livello del traction control. Accanto al Cruise Control e al limitatore di velocità per la corsia box arrivano anche il Launch Control e l’assistenza per la partenza in salita, per una gestione elettronica del veicolo decisamente al top.
Le sospensioni Marzocchi prevedono un monoammortizzatore con pistone da 46 mm e forcella rovesciata con steli da 45 mm ma acquistando il pacchetto Dynamic la nuova S1000RR si dota delle nuove sospensioni attive DDC Next Generation capaci di variare in tempo reale le reazioni dell'idraulica (il precarico resta manuale) ad intervalli di 10ms in accordo con le informazioni ricevute dalla piattaforma inerziale e dai riding mode selezionati. Interessante la possibilità di uno shim package optional per tarare internamente le sospensioni DDC.
Il doppio disco anteriore di 320mm e le pinze radiali anteriori sono forniti dall'americana Hayes, colosso del settore sia per le moto che per le auto, mentre al posteriore un disco singolo da 220mm completa la terna frenante gestita dall'ABS Pro con funzionalità cornering.
Tutto questo impegno nello snellimento e alleggerimento su motore e telaio ha portato un peso in ordine di marcia e con serbatoio al 90% di 197 kg, grazie anche al nuovo scarico più leggero di 1,3 kg, ma acquistando il pacchetto M si arriva fino a 193,5 kg con i pregiati cerchi in fibra di carbonio e la batteria al litio, oltre alla possibilità di regolazione del fulcro forcellone e alla Modalità Pro già citata.
La seconda extralarge della nostra comparativa è la moto che ha avuto l'onere di rompere la tradizione bicilindrica per le supersportive di casa: la Ducati V4S 1100 (qui la prova) – questa volta in allestimento Corse che differisce dalla versione “S” per la livrea mutuata dalle Panigale utilizzate durante la Race of Champions al WDW 2018 – conferma il motore Desmosedici Stradale, V4 90° di 1103 cc con distribuzione desmodromica e albero motore controrotante (che assieme all'alesaggio di 81 mm strizza l'occhio alla tecnica della MotoGp) per avere maggiore rapidità nei cambi di direzione e contrastare la tendenza ad impennare in fase di accelerazione.
Il quattro cilindri è inserito nel telaio inclinato all'indietro di 42° e, con fasatura d’accensione irregolare Twin Pulse (0° - 90° - 290° - 380°), sprigiona 214 cv a 13.000 giri e 124 Nm di coppia a 10.000 giri, pronti a diventare 226 con lo scarico Akrapovic non omologato in optional. Per la prima volta Ducati dota una propria sportiva di condotti di aspirazione a lunghezza variabile che servono corpi farfallati di 52 mm a doppio iniettore e l'intero motore ingrassa di soli due chili (64,9 kg in tutto) rispetto al bicilindrico della 1299 Panigale!
Il telaio perimetrale in lega di alluminio Front Frame pesa 4,2 kg e usa il propulsore come elemento stressato per chiudere la struttura con il non trascurabile corollario di poter mantenere la zona di seduta del pilota molto rastremata; leggerissimo anche il telaietto posteriore (1,9 kg) mentre il fulcro del monobraccio e la sospensione posteriore sono direttamente imperniati nel propulsore.
La dotazione elettronica della V4S è di prim'ordine e conta sulla IMU Bosch a sei assi: il controllo di trazione DTC EVO è integrato con il DSC - Ducati Slide Control - che permette un controllo ottimale delle derapate a due livelli differenti di intervento. Non mancano il DWC EVO, il controllo anti-impennata per massimizzare le accelerazioni, ed il Launch control DPL. Il cambio è dotato di quickshifter bidirezionale DQS EVO il cui algoritmo legge gli angoli di inclinazione per garantire un assetto perfetto durante i cambi marcia in curva ai massimi angoli di piega. Il DQS lavora in sinergia con EBC (Engine Brake Control), che permette la regolazione su due livelli del freno motore.
La Panigale V4S è equipaggiata con una terna full Öhlins: forcella NIX-30 con escursione di 120 mm e un mono TTX36, oltre che l'ammortizzatore di sterzo. La gestione elettronica dell'idraulica è affidata al sistema di controllo Öhlins EC Smart 2.0, offrendo comunque una scelta tra una modalità manuale che consente di impostare – appunto - manualmente attraverso click virtuali l'idraulica ed una automatica che si interfaccia con i tre riding mode selezionabili dal pilota (Race, Sport, Street); questi, oltre a impostare il carattere del motore e della sua erogazione, variano anche le impostazioni idrauliche di mono, forcella e ammortizzatore di sterzo e modificano la funzionalità dell'ABS che mantiene il cornering solo nella modalità Race dedicata all’utilizzo in pista, e solo sulla ruota anteriore.
L'impianto frenante vede una coppia di dischi di 330 mm sui quali agiscono pinze Brembo Stylema e al posteriore un singolo disco di 245 mm, montati su una coppia di cerchi forgiati in alluminio che calzano pneumatici 120/70 all'anteriore e al posteriore il “gommone” 200/60. Tanta raffinatezza si riflette nel peso più contenuto (almeno nelle dichiarazioni) del lotto: solo 195 kg in ordine di marcia.
La versione 2019 della Honda CBR 1000 RR Fireblade SP (qui la prova) ha introdotto alcune novità di rilievo e tutt'altro che secondarie per un mezzo destinato principalmente alla pista. Il quattro cilindri dalla rispettabilissima potenza di 192 cv a 13.000 giri e 116 newton/metri di coppia a 11.000 giri non sfida sul piano della cavalleria pura le concorrenti europee ma tiene il punto grazie ad una ciclistica relativamente facile da interpretare, sospensioni evolute e ad una rinnovata gestione elettronica del comportamento del veicolo, senza mai discostarsi dalla filosofia total control che contraddistingue le moto dell'ala dorata.
La CBR 1000RR Fireblade SP è dotata di piattaforma inerziale a 5 assi che invia le informazioni alla ECU per i tre Riding Mode predefiniti (Fast, Fun, Safe) e i due personalizzabili che definiscono le tarature specifiche dei diversi parametri di gestione veicolo e regolazione dello sospensioni; ed è proprio sull'aggiornamento dell’elettronica che i tecnici Honda sono intervenuti massicciamente sulla Fireblade 2019: innanzitutto sul controllo di trazione HSTC a 9 livelli cui sono stati apportati miglioramenti rivolti ad affinare il comportamento nell'uso in pista, riconoscendo anche il diverso diametro di rotolamento del pneumatico posteriore all’aumentare dell’angolo di piega, ma è la separazione tra Wheelie Control a 3 livelli e controllo di trazione HSTC l'affinamento che si attendeva per migliorare ancora di più le possibilità di gestione del veicolo nell'uso estremo.
Adesso si può impostare un basso soglia di intervento del controllo di trazione e una elevata riduzione della tendenza al sollevamento della ruota anteriore, mentre prima le due regolazioni erano dipendenti l'una dall'altra. Maggiore anche la reattività del comando elettronico del gas che adesso è più rapido del 45% nel passare da tutto aperto a tutto chiuso e il cambio è assistito da quickshifter in innesto e scalata.
Le sospensioni sono gestite dalla piattaforma semiattiva Öhlins Electronic Control (S-EC) e dall'interfaccia Öhlins Objective Based Tuning (OBTi): la forcella è una NIX 30 di 43 mm di diametro e 120 mm di escursione, mentre al posteriore troviamo un TTX 36 (in entrambe le unità la regolazione del precarico resta meccanica), elettronica di bordo che vigila anche sul funzionamento dei freni attraverso una nuova taratura dell'ABS specifica per l'uso in pista e meno invasiva rispetto a quella presente sul MY 2018 e che ha costituito uno dei limiti nella nostra precedente comparativa del 2017 al Paul Ricard. Pinze Brembo radiali e dischi da 320 mm di diametro all'anteriore e un singolo disco di 220 mm al posteriore sui cerchi di 17' e pneumatici 120/70 e 190/50 completano la dotazione della CBR 1000RR Fireblade SP che, unica moto delle sette presenti in questa comparativa ad essere dotata di serbatoio in titanio, la ferma l'ago della bilancia a 195 kg col pieno.
Dominatrice del mondiale Superbike negli ultimi quattro anni, la Kawasaki Ninja ZX-10RR è la Homologation Special in edizione limitata (500 esemplari) dalla quale deriva la moto di Rea.
Rispetto alle unità delle versioni stradali R ed SE, il motore quattro cilindri di 998 cc con corpi farfallati di 47 mm viene potenziato fino ai 204 cv a 13500 giri/min (214 con RAM Air in pressione) e 115,7 Nm a 11200 giri attraverso nuove bielle in titanio Pankl, complessivamente più leggere di 408 grammi. Il risultato è che il quattro cilindri di Akashi guadagna 600 giri/min e un cavallo rispetto al modello precedente, arrivando a 14.800 giri/min e garantendo una solida base per ulteriori elaborazioni per chi la volesse usare per gareggiare nei campionati Superstock o SBK dove il regime di giri massimo del modello di serie ha una certa importanza dal punto di vista dei regolamenti...
La gestione elettronica prevede una piattaforma inerziale a sei assi abbinata alla centralina di gestione che sovrintende alla gestione dei due riding mode, al traction control S-KTRC, alla regolazione del freno motore KEBC, al Launch Control su 3 livelli KLCM, al controllo impennata KTRC e all'ABS cornering. Il quickshifter KQS è bidirezionale.
Schema ultra collaudato per il telaio a doppio trave e forcellone in alluminio che segna un interasse di 1440 mm. Privo dell'assistenza elettronica, presente invece sulla sorella ZX-10R SE che abbiamo provato qui rimanendone favorevolmente impressionati, il comparto sospensioni si affida al top di gamma meccanico Showa per la produzione di serie, costituito dalla forcella pressurizzata BFF con steli da 43mm ed escursione di 120 mm e dal monoammortizzatore BFRC Lite, entrambi ovviamente completamente regolabili ed entrambi a funzionamento meccanico.
Sviluppato dalla Öhlins, invece, l'ammortizzatore di sterzo a controllo elettronico ma è importante notare che Kawasaki dichiara una nuova e specifica taratura delle sospensioni proprio compensare il momento di inerzia dell'albero motore ridotto del 5% grazie alle bielle in titanio.
L'impianto frenante vede all'anteriore due dischi Brembo semiflottanti di 330 mm e pinze M50, mentre al retrotreno un singolo disco di 220 mm. I cerchi forgiati sono i pregiati Marchesini che calzano pneumatici 120/70 e 190/55, mentre il peso in ordine di marcia si attesta sui 206 kg.
La Suzuki GSX-R1000R (qui la prova) è apparsa sul mercato nel 2017 trasferendo lo spirito, e le soluzioni, che la casa di Hamamatsu utilizza nella MotoGp GSX-RR svecchiando in un sol colpo la gamma sportiva. Presenta, come la BMW S1000RR, un sistema di distribuzione a fasatura variabile, in questo caso chiamato SR-VVT e funzionante attraverso sfere centrifughe, che permette al quattro cilindri in linea Suzuki dotato di valvole in titanio, pistoni forgiati e bilancieri a dito con trattamento DLC, di unire una potenza massima di 202 cavalli a 13.200 giri con una curva di coppia ai bassi e medi sostenuta da ben 118 newton/metro a 10.880 giri.
L'SR-VVT lavora in sinergia con il sistema di gestione dei gas di scarico (SET-A), e quello d’iniezione (S-TFI) formando il “Broad Power System” che permette, secondo le specifiche di Suzuki, di aumentare le prestazioni agli alti regimi senza penalizzare i medi. Il sistema di aspirazione utilizza un efficace e semplice sistema di cornetti differenziati fra i cilindri esterni ed interni: i cilindri 1 e 4, godono di cornetti sovrapposti che, con l'aumentare della pressione in aspirazione agli alti regimi, aspirano anche in configurazione corta; discorso simile nel senso della modularità di intervento per quanto riguarda il sistema di scarico che prevede due valvole a farfalla a comando elettronico posizionate fra gli scarichi 1-4 e 2-3 che si aprono progressivamente e non più solo una singola valvola a valle dello scarico tra catalizzatore e silenziatore.
Tanta raffinatezza mutuata dalle corse viene tenuta a bada da una dotazione elettronica allo stato dell’arte per completezza ed efficacia basata su una ECM a 32 bit e una piattaforma inerziale a tre assi e sei direzioni di derivazione MotoGP. Tre i riding mode disponibili oltre al Traction Control settabile su dieci livelli; il Low RPM Assist per la guida e per le ripartenze da bassa velocità, ABS cornering, avviamento elettroassistito e Launch Control completano, insieme al quickshifter bidirezionale, la dotazione.
La scelta del telaio a doppio trave e del forcellone in alluminio a doppio braccio segue la tradizione ma le quote vitali dipingono una moto compatta e agile: 1420 mm di interasse, 23°20’ di angolo di sterzo e 95 mm di avancorsa e se non bastasse c'è la possibilità di variare l’altezza del perno forcellone ad ampliare le possibilità di regolazione della ciclistica. Il reparto sospensioni della GSX-R1000R è condiviso, a parte le tarature specifiche, con quello della Kawasaki ZX-10RR: Showa firma infatti la forcella BFF da 43mm e 120 mm di escursione e l’ammortizzatore il BFRC Lite, entrambi con serbatoi separati per l'espansione dei gas. L'impianto frenante anteriore prevede dischi freno Brembo in acciaio di 320 mm, con attacco ibrido convenzionale/T-Drive e pinze radiali Brembo monoblocco dotate di 4 pistoncini di 32 mm. Sulla ruota posteriore agisce un singolo disco di 220 mm.
Sul MY 2019 sono previste tubazioni freno in treccia metallica che, per ragioni logistiche, erano assenti sull'esemplare oggetto della nostra comparativa. I cerchi sono in alluminio da 17' per pneumatici da 120/70 all’anteriore e da 190/55 al posteriore e, sorprendentemente, La Suzuki GSX-R1000R ferma l’ago della bilancia a 203 chili dichiarati con il pieno di benzina, uno in più della versione base.
Giunta alla seconda generazione, la Yamaha YZF-R1M è stata oggetto di una serie di affinamenti, soprattutto sotto il profilo della gestione elettronica.
Il quattro cilindri che muove, anzi diremmo “scuote” per la sua personalità, la maxi di Iwata ha bielle e valvole di aspirazione in titanio, carter e coppa dell'olio in magnesio. La sua peculiarità è l’albero motore cross plane che distribuisce gli scoppi in modo irregolare secondo l'ordine 270°- 180°-90°-180°, quasi come un V4: al prezzo di una lieve maggiore inerzia e un piccolo incremento di peso migliorano trazione ed erogazione. Potenza e coppia (dichiarate) non stupiscono più come all'esordio ma 200 cv a 13.500 giri e 112,4 Nm a 11.500 giri sono sempre una potenza impressionante e che necessita di un pacchetto ciclistico/elettronico di alto livello per essere governata a dovere.
Il collaudato telaio Deltabox in alluminio con telaietto posteriore in magnesio è completato dal forcellone con capriata superiore e rappresenta un legame, almeno concettuale, con la MotoGp M1 attraverso un layout che definisce una ciclistica compatta: solo 1.405 mm di interasse, 24° di inclinazione cannotto e 105 mm di avancorsa; ma le maggiori novità sono appannaggio del reparto elettronico.
La piattaforma IMU a sei assi regola Traction Control, Launch Control, Slide Control, e il controllo denominato LIF per la gestione dell'impennata è stato rivisto nelle logiche di intervento e reso più lineare nella risposta dinamica. Presenti il cambio elettronico QQS, da questa versione anche con funzione blipper e con logiche di funzionamento selezionabili dall'utente, la centralina CCU per la raccolta dei dati e l'interoperabilità con dispositivi e applicazioni esterne, e l'ABS cornering che lavora in accordo con il sistema Unified Brake System che ripartisce la forza frenante applicata sui due assi incrociando i dati provenienti dalla piattaforma inerziale su inclinazione, trasferimento di carico, velocità e slittamento della ruota posteriore.
Per quanto riguarda le sospensioni, confermate le notevoli Öhlins Smart EC 2.0 con forcella di 43 mm di diametro e 120 mm di escursione e il mono posteriore, entrambi gestiti dal nuovo software attraverso la presenza di tre ulteriori sensori, due per il rilevamento della pressione esercitata sui dischi dalle pinze e uno per la lettura della velocità della ruota anteriore. Non si parla più di click, seppure virtuali, ma di setting predefiniti e Brake-support, Corner-support e Accel-support, che corrispondono alle fasi dinamiche di frenata, percorrenza e uscita di curva. Le impostazioni predefinite T-1 T-2 R-1 sono dedicate rispettivamente alla pista affrontata con pneumatici slick, pista con gomme stradali e strada, mentre è sempre possibile rinunciare alla funzione adattiva e utilizzare i consueti “click” per compressione ed estensione. In ogni caso la regolazione del precarico resta meccanica.
A frenare la R1M pensano le pinze radiali monoblocco Nissin, la coppia di dischi anteriori di 320 mm e la pinza a singolo pistoncino con disco posteriore di 220 mm, il tutto gestito dal già citato sistema UBS. I cerchi in magnesio di 17' sono vestiti con pneumatici 120/70 e 200/55 e la R1M dichiara un peso di 201 kg in ordine di marcia.
Come detto in apertura, la nostra prima giornata si è svolta passando da una moto all’altra. Sei tester della redazione, di corporatura, gusto, esperienza e velocità variabile, si sono alternati in sella ad Aprilia RSV4 1100 Factory, BMW S1000RR, Ducati Panigale V4S Corse, Honda CBR 1000RR Fireblade SP, Kawasaki Ninja ZX-10RR, Suzuki GSX-R 1000R e Yamaha YZF-R1M. Dopo, naturalmente, averle messe al banco per verificarne le prestazioni in termini di potenza massima.
E poi, senza la pretesa di stilare una classifica che lascerebbe il tempo che trova, le abbiamo descritte trovando una sintesi delle varie impressioni di guida, in maniera tale da raccontarvi davvero nel massimo dettaglio le caratteristiche di guida. E via…
Per gestire 200 CV su due ruote serve una ciclistica (ma soprattutto una manetta) perfetta. Se poi a un 1000 si aggiungono 78,6 cc, 18 CV e una coppia tanta, la questione si fa ancora più delicata. I tecnici Aprilia, però, non si sono fatti intimorire e, sfruttando tutta l’esperienza acquisita nel mondo delle corse, sono riusciti a plasmare il mostro (sulla carta) RSV4 1100 Factory in una Superbike targata alla portata anche di chi, 13 domeniche l’anno, guarda il mondiale delle derivate di serie dal divano. Pergusa è la pista ideale per mettere alla prova quasi tutte le qualità di una supersportiva: ci sono ripartenze di seconda marcia, curvoni in piena accelerazione, staccate a 290 km/h e varianti strette e larghe.
Quando si prende il gas in mano, la RSV4 spinge forte, fortissimo. Il motore tira fuori dalle curve con tanta grinta e fa sentire tutti i 122 Nm di coppia. In questo frangente l’elettronica interviene spesso e con decisione: controllo di trazione e anti-impennata tolgono un po’ di potenza (anche a livello 3), ma trattenersi con il gas è difficile perché l’Apriliona dà tanta fiducia in uscita e invoglia a girare la manopola destra. Dentro la 3^, la 4^, la 5^ e poi la 6^. Sui curvoni in appoggio è una vera lama, il telaio di Noale è sempre una garanzia, e anche nei cambi di direzione è rapida e stabile. Merito anche della forma del serbatoio, che permette di aggrapparsi saldamente con la gamba esterna, e della sella rigida, che fa sentire tutto quello che passa sotto le ruote.
Nonostante le dimensioni supercompatte anche la protezione aerodinamica è buona e rimanere accucciati dietro al cupolino non affatica troppo. Quando si arriva alla staccata il blipper è prontissimo (che goduria la doppietta automatica) e offre innesti precisi e fluidi. Anche l’impianto frenante Brembo non delude: potentissimo, modulabile e dopo numerose staccate non si allunga.
La nota negativa è che quando si guida una moto così bisogna essere allenati, non c’è un momento di relax: in accelerazione strappa le braccia, in staccata piega i polsi e in rettilineo… beh, il rettilineo dura troppo poco. 218 CV sono tantissimi e impegnativi per un essere umano normale. Inoltre, come vi abbiamo accennato, si tratta di una Superbike. Questo vuol dire che trovare un buon bilanciamento delle sospensioni è difficile e non si può pretendere di avere una moto perfetta semplicemente con la formula “benzina e via!”… se il gas glielo date davvero, bisogna portarsi dietro il sospensionista, proprio come su una moto da corsa vera!
Una moto sorprendente, che con molta probabilità diventerà un punto di riferimento per diversi aspetti, come era già successo con la versione precedente. Compatta ma non per questo poco abitabile (anche i piloti sopra il metro e ottanta troveranno la posizione di guida più consona e adatta senza problemi), ha dalla sua anche un peso in ordine di marcia, con il pieno, di soli 199 kg, davvero pochi in assoluto. E il motore, nonostante la cilindrata “regolare” è una vera e propria bomba atomica!
Oltre 210 cv sono un risultato di tutto rispetto per una 1000 cc, mentre le doti di erogazione e il carattere del quattro cilindri la mettono tranquillamente sul podio delle moto più “prestazionali” della categoria - e se ci limitassimo alle mille, farebbe letteralmente piazza pulita della concorrenza. Tiro ai medi e allungo perentorio sono le due caratteristiche più evidenti di questo propulsore, che permette alla S1000 RR di essere estremamente efficace sia quando si va a riprendere il gas in mano nelle ripartenze dalle basse velocità, sia quando ci si trova a dover tenere il propulsore per qualche istante a tu per tu con il limitatore.
In questa euforia di perfezione meccanica troviamo ancora una volta migliorabile il cambio, in particolare in fase di scalata: l’unità BMW, come succedeva anche nella versione precedente. non si rivela sempre all’altezza della situazione soprattutto in termini di precisione e comunicativa, cosa che porta spesso a controllare sul cruscotto che la S1000 abbia “preso” la marcia.
L’impianto frenante manca della griffe più famosa del mondo, ma si è fatto apprezzare grazie ad una potenza in linea con le prestazioni della moto, resistente anche alle mostruose sollecitazioni imposte dal tracciato di Pergusa e con un ABS che non interviene a “sproposito”.
Il comportamento della ciclistica può essere preso come riferimento sia per rapidità nelle discese in piega e nei cambi di direzione, sia per la stabilità sul veloce, caratteristiche che spesso non vanno a braccetto (ci piacerebbe scoprire quanto di tutto questo sia riconducibile ai cerchi in fibra di carbonio montati sulla moto protagonista del test). A gas spalancato e moto inclinata, la S1000 RR tiene la linea in maniera molto precisa con un feeling sull’avantreno davvero da riferimento, a testimonianza di quanto siano migliorate le sospensioni semiattive BMW (che precedentemente non sempre mostravano la coerenza di comportamento necessaria ad avere fiducia sui ritmi più elevati) e - ancora una volta - di quanto importanti siano le masse non sospese…
La Panigale V4 è la più estrema fra queste sette ipersportive. E’ una racing pura che non cerca compromessi d’uso e il suo carattere così efficace, e a volte spigoloso, emerge e affascina dopo poche curve.
In maniera insospettata la posizione di guida è meno costrittiva rispetto alla bicilindrica Panigale 1299: il manubrio più aperto e la sella è meno alta da terra. In queste scelte si nota un affinamento globale che non deriva soltanto da ingombri differenti di motore e telaio.
La V4 italiana è anche meno ruvida e facile da interpretare rispetto alla V2, ma poi la musica cambia quando entrano in gioco le importanti differenze di potenza che ci sono fra l’ultima bicilindrica e il nuovo Desmosedici Stradale V4.
L’assetto di guida è in ogni caso raccolto e perciò è meno adatto a chi è alto; le pedane sono infatti alte e arretrate - per garantire luce a terra e per caricare l'avantreno in accelerazione - il serbatoio comunque stretto fra le ginocchia si sposa a una moto compatta nelle misure e il cupolino è davvero basso e avanzato. Fortunatamente sulla nostra moto è montato un plexi più alto e protettivo - un accessorio originale Ducati - che aiuta molto quando ci si appiattisce sul serbatoio in velocità evitando che il casco si scuota fastidiosamente.
La V4 Ducati ha un’agilità sorprendente, è velocissima nell’ingresso di curva e permette di ritardare tanto la frenata rispetto alle altre rivali, senza che l’avantreno si scomponga quando si rilasciano i freni. Più si entra forte in curva e più si scopre che si può osare di più: è un'autentica belva da pista pensata per funzionare a ritmi da gara. Fra l’altro la frenata è davvero molto potente e sposta più avanti il classico riferimento di staccata nonostante ci si arrivi spesso con maggiore velocità, con un affondamento marcato ma preciso della forcella. Staccando così forte si sente però la necessità di avere maggiore appoggio da parte del serbatoio per alleggerire una parte del carico sulle braccia.
Sull'angolo la Panigale V4 è molto ferma e resta precisa in accelerazione in uscita di curva: pare tenga la linea ideale solo con la forza del pensiero. Visto che il V4 spinge di brutto, occorre soltanto evitare di appendersi troppo al manubrio, altrimenti si rischiano oscillazioni poco simpatiche.
La motricità è notevolissima, la sospensione posteriore tiene a bada la spinta dei cavalli e il notevole grip che l’insieme di ciclistica e meccanica offre viene esaltato montando le Pirelli slick. Motricità e potenza elevate riducono le distanze fra una curva e l'altra, così come i momenti nei quali si può tirare il fiato. Ci sono tanti cavalli in alto, ma a fare la differenza con gli altri motori – meno con il V4 Aprilia, anch'esso di cilindrata gonfiata – è la potenza in più che c'è a ogni regime di giri: dai poco utilizzati 3.000 (almeno in pista) fino ai 14.000 giri di taglio del limitatore.
Il Desmosedici vince in coppia, ai medi come agli alti giri, e con buon vantaggio. Fino a far sembrare lenti gli altri mille che orbitano attorno ai duecento cavalli. Con tanta spinta sempre disponibile è più semplice anche l'uso del cambio, mentre l'elettronica di controllo motore e trazione – fortemente personalizzabili – è di assoluto riferimento. Nella guida il rovescio della medaglia è rappresentato dell'impegno fisico, e mentale, richiesto: è altrettanto elevato per sfruttare così tanto potenziale disponibile.
Crescono le prestazioni ma la filosofia è sempre la stessa: il marchio di fabbrica delle motociclette Honda è il “Total Control” e anche la moto più estrema della gamma è nata con questi geni nel DNA. Da sempre questa accessibiità è l’asso nella manica della CBR1000RR Fireblade, una caratteristica che si nota fin dai primi metri: in sella ci si trova bene, anche chi è un po’ più alto riesce a cucirsi la propria posizione di guida e i semimanubri (abbastanza aperti) permettono di spingere forte in fase di piega e di chiudersi in rettilineo.
In quest’ultimo frangente si soffre un po’ l’aria sul casco e sulle spalle alle alte velocità: infatti, tra i tanti aggiornamenti sulla versione 2019 non è stato preso in considerazione il plexiglass più coprente (dettaglio che ci ha fatto soffrire anche nel 2017 sul famoso Mistral, rettifilo di quasi 2 km, di Le Castellet). Una piccola nota negativa, che viene dimenticata quando si entra in curva: la ciclistica con le nuove sospensioni a controllo elettronico permette di andare forte senza grande impegno fisico.
Il bilanciamento dei pesi è azzeccato, infatti la CBR è molto stabile in curva e, nei cambi di direzione, è rapida e precisa quasi come le europee. Inoltre, l’elettronica ha fatto un altro passo avanti e, anche se l’intervento è molto raro vista la facilità di guida, quando c’è una perdita di aderenza il taglio di potenza è quasi impercettibile. Ora che il sistema di anti-impennata è indipendente dal traction control, l’utente riesce a personalizzare le mappe trovando il giusto compromesso senza doversi adattare a una moto o troppo nervosa o troppo “filtrata”.
I dati parlano chiaro: a livello di potenza massima non è all’altezza delle concorrenti, ma non è un male. Questa scelta permette di sfruttarla meglio e con più facilità (comunque sono 193,9 i CV all’albero rilevati). Il 4 cilindri della Casa dell’Ala Dorata ha un bell’allungo e un’erogazione piena e molto lineare: tra l’altro, la CBR ha un sound veramente particolare che, anche con lo scarico di serie, riesce a coinvolgere molto il pilota alla guida.
In fondo alle staccate si arriva fortissimo e per fermarsi bisogna frenare davvero forte: l’impianto frenante Brembo è leggermente al di sotto di quello della concorrenza che monta pinze e pompe dell’Azienda italiana. Il problema non è nella potenza quanto nell’intervento, sempre troppo invasivo, dell’ABS. Inoltre, le lunghe e impegnative frenate di Pergusa hanno messo a dura prova le temperature di dischi e pastiglie: purtroppo dopo pochi giri la leva tendeva ad allungarsi nonostante i tubi aeronautici e ci ha costretto a prendere il freno in mano con un po’ di anticipo…
La Honda CBR1000RR punta anche ad un pubblico che ama usare la superbike in pista (e non solo) e la Casa giapponese ha fatto i suoi calcoli per dar vita a una moto capace di soddisfare anche questa utenza.
Confortevole e con un’ergonomia meno spinta rispetto ad altre concorrenti, la verdona per dare il meglio in pista meriterebbe delle pedane più alte ed arretrate per consentire al pilota di caricarle come si deve nella guida di corpo e, soprattutto, di non appendersi al manubrio in uscita di curva e nei cambi di direzione.
In compenso, la ZX-10RR offre una buona protezione aerodinamica alle alte velocità grazie a dimensioni decisamente più ampie e a un cupolino più alto rispetto alla media, a testimonianza di come si possano unire prestazioni e un certo livello di comfort anche su una moto pensata solo ed esclusivamente per vincere nel Mondiale Superbike.
Il motore è performante, ma come succedeva anche sulle versioni precedenti va fatto gridare per convincerlo a dare il meglio di sé; ai bassi e ai medi regimi, complice una rapportatura della trasmissione inspiegabilmente lunga e alla castrazione meccanica arrivata con l’Euro-4 (per rimediare alla quale non è evidentemente sufficiente il terminale Akrapovic optional di cui era dotata la “nostra” NInja) spinge meno rispetto alle contendenti più potenti, in compenso è dotata di un cambio che per rapidità e precisione non ha eguali tra le protagoniste della comparativa. Però, come abbiamo detto più volte, quanto ci piacerebbe provarne una con un semplice impianto di scarico completo…
La Ninja ZX-10RR si rivela stabile e precisa sul veloce, anche se avremmo gradito un posteriore più alto e sostenuto per limitarne il sottosterzo che emerge in uscita di curva a gas spalancato, comportamento che peraltro abbiamo trovato a suo tempo anche sulla ZX-10R SE con sospensioni semiattive, dunque evidentemente derivante più dalla distribuzione dei pesi che non dalla taratura delle sospensioni.
La ZX10 è discretamente rapida in fase d’inserimento in curva e altrettanto nei cambi di direzione, situazione in cui si rivela forse non rapidissima ma anche poco nervosa nelle reazioni, infondendo nel pilota la fiducia necessaria ad aprire il gas come si deve.
Ottima anche la risposta dei freni, stressatissimi qui a Pergusa, che si rivelano potenti e ben modulabili, con un ABS che non disturba né allunga la frenata anche quando non lo si tratta con i guanti bianchi.
Con il Model Year 2019, Suzuki ha voluto mettere le cose in chiaro: i tecnici giapponesi (probabilmente stufi delle infinite richieste di utenti e giornalisti) hanno montato i tubi del freno aeronautici di serie e, per non far mancare proprio nulla, anche il pivot del forcellone regolabile. Meglio non si poteva avere. Peccato però ci siano stati ritardi nelle consegne, così ci siamo dovuti accontentare della versione non ancora aggiornata. Poco importa, perché la GSX-R1000R ha un potenziale incredibile e non bastano due tubi in gomma standard a rallentarla. Il motore con la fasatura variabile è bello pieno anche sotto e, questo dettaglio unito ad una rapportatura corta (ci sentiamo di dire, azzeccata), permette di affrontare le curve con una marcia in più rispetto alle sue avversarie.
Inoltre, i tecnici sono riusciti a regolare molto bene la risposta dell’acceleratore che non risulta né troppo pronta né troppo fiacca. Insieme alla Honda è quella che dà più confidenza fin dai primi metri, è facilissima e andare forte è quasi immediato. Merito anche della taratura delle sospensioni un po’ più “libera” che, però, nei curvoni veloci e in appoggio tende a far ballare il posteriore. In questo frangente emerge un’altra qualità della Suzuki: anche se in inserimento non è repentina come un’Aprilia, una Ducati o una BMW, a moto piegata trasmette tanto controllo e fa esattamente quello che il pilota vuole.
Tra le sette superbike è forse fra le più comode: la carenatura ripara il casco e la sella permette di arretrare con il sedere tanto da permettere di chiudere i gomiti anche a chi è alto un metro e ottanta. Da appuntare tra le note positive anche l’elettronica: l’intervento del TC è praticamente impercettibile e, nonostante il quadro strumenti non sia tra i più moderni TFT a colori, è ben leggibile e le informazioni principali saltano subito all’occhio.
In staccata l’impianto frenante ha una buona potenza (non a caso le pinze sono firmate Brembo), anche se, purtroppo, i tubi in gomma della moto in prova non ci hanno permesso di forzare le frenate come avremmo voluto (e come avremmo potuto fare).
La GSXR-1000R si è dimostrata ancora una volta una moto completissima e soprattutto molto competitiva: l’assetto, per scelta, è rivolto a chi si vuole godere un bel giro domenicale su una strada tutta curve e, ogni tanto, dare gas in pista. La superbike di Hamamatsu ha un potenziale incredibile e i tecnici giapponesi lo sanno molto bene: non a caso, è lì che vi aspetta la versione pronto pista Ryuyo… beato Lillo che l’ha provata!
E’ un’altra moto che conosciamo bene e che continua a convincerci nella bontà della posizione di guida, se non fosse per l’angolazione un po’ troppo chiusa dei semimanubri. Per il resto la correlazione pedane-sella manubrio e l’ergonomia offerta dai fianchi del serbatoio è centrata e si adatta a piloti di altezze diverse. La sella permette di arretrare bene quando si è in carena e offre un bell’appoggio in curva. E’ un assetto non eccessivamente caricato sull’avantreno e con soltanto le pedane un filo avanzate se si hanno le gambe lunghe. Ragion per cui la R1M si rivela fra le sportive meno faticose, contando anche su un cupolino che protegge bene, qualità apprezzata su una pista veloce come Pergusa.
La R1M dà immediatamente una bella confidenza grazie alla sua guida rotonda, veloce, e alla scarsa sensazione di peso al manubrio; è una moto relativamente svelta in ingresso di curva, anche se perde un po’ velocità nelle inversioni di inclinazione rispetto alla S 1000 RR ad esempio, sempre per restare fra le rivali con il motore quattro in linea, che in quella fase è formidabile. Nelle lunghe curve in accelerazione, tipiche di Pergusa, la R1M mostra una tenuta della linea molto elevata: merito delle misure ciclistiche votate alla stabilità sul veloce così come in frenata.
Un altro punto ciclistico a favore della mille Yamaha sono le sospensioni semiattive, migliorate sulla più recente versione della “M”, dal comportamento davvero preciso sulle asperità e ben controllate nella loro escursione. In generale la gestione elettronica della R1M non mostra punti deboli all’apertura del gas, come nell’intervento del controllo di trazione o nel migliorato sistema anti-impennata.
Le tre lunghe staccate del tracciato ennese confermano il lavoro notevole della forcella Ohlins, ma mettono in luce la cronica perdita di modulabilità dell’impianto frenante anteriore Nissin dopo pochi giri di pista tirati. Per cui ci si ritrova a spremere tanto il comando anteriore, confidando nel – peraltro molto buono – funzionamento dell’ABS ma rischando ogni tanto di arrivare lunghi.
L’urlo irregolare del motore Crossplane, esaltato dal silenziatore Akrapovic, è di quelli che conquista dopo la prima infilata di marce. La rapportatura lunga del cambio costringe a volte di usare una marcia in meno rispetto ad altre mille per uscire veloce di curva. Essenzialmente perché l’erogazione predilige i regimi medio alti: fino agli ottomila giri spinge meno di BMW o Suzuki, per esempio, mentre la cattiveria arriva di botto sopra i 9.000, con un allungo pieno fino ai 13.500, poco primo dell’intervento del limitatore. Come dicevamo prima, l’elettronica lavora molto bene in uscita di curva permettendo di sfruttare a fondo tutta l'accelerazione disponibile e i quasi 200 cavalli del motore Yamaha.
Ed eccoci alla sfida finale. Al momento in cui… le chiacchiere vanno a zero, e si tratta di far salire in sella il nostro Alfio Tricomi - pilota con un bel palmares nel Campionato Italiano - per analizzarne il comportamento a quel limite a cui solo un pilota sa spingere mezzi del genere.
Alfio, dei cui servigi ci siamo avvalsi già per le comparative nel 2017 al Paul Ricard e nel 2018 ad Alcarràs, oltre che per la prova strumentale della Brembo RCS Corsacorta, conosce come nessun altro tanto il circuito di Pergusa quanto le Pirelli Diablo Superbike, e ha familiarità con gran parte delle moto in prova, e per questo è il candidato ideale per spremere senza favoritismi di sorta tutte e sette le moto oggetto della prova.
Vi raccontiamo, in ordine inverso, come si sono comportate nella nostra prova, analizzandone i punti di forza e le debolezze di ciascuna. Presentandovi anche il risultato dell’acquisizione dati del giro veloce di ciascuna delle sette!
E’ stata eletta all’unanimità quella più facile da interpretare, per comunicativa e sincerità di comportamento. Assettata tendenzialmente sul morbido, la GSX-R 1000R è relativamente accogliente e, nonostante i suoi 200 cavalli, è da considerarsi una delle maxi più accessibili di questa generazione.
Il motore, in particolare, è quello che offre l’erogazione più regolare e sfruttabile grazie al sistema di fasatura variabile SR-VVT, perdonando anche qualche sbavatura sulla traiettoria scelta o inserimenti, uscendo comunque come una furia.
Il problema sofferto dalla Suzuki nasce proprio dalla sua comunicativa: alzando il ritmo, complice il maggior grip offerto dalle slick, tende a perdere stabilità lasciando sull’asfalto decimi preziosi ogni volta che un’azione di forza causa reazioni scomposte dell’assetto, in inserimento e in uscita.
La miglior dote della Honda Fireblade, da sempre, è la sfruttabilità, quel Total Control che fin dalla prima CBR900RR il team dei tecnici Honda guidato dall’ingegner Tadao Baba ha conferito all’ammiraglia sportiva della Casa di Tokyo. La Fireblade SP 2018 non fa eccezione, naturalmente, offrendo subito anche al pilota molto esperto una grande sfruttabilità.
Purtroppo, il problema al freno anteriore - sotto forma di un ABS troppo stradale e imprevedibile nel comportamento in circuito - è tornato a manifestarsi non appena abbiamo aumentato rigidità della carcassa e grip a disposizione passando dalle pur eccellenti Supercorsa v3 alle slick Superbike SC1.
Rimane un ottimo comportamento generale che fa dimenticare volentieri una potenza dichiarata inferiore alla concorrenza (ma con un tiro ai medi davvero da riferimento) e che su un tracciato come quello siciliano ha sicuramente penalizzato la Fireblade, con l’aggravante di una protezione aerodinamica insufficiente che, con ogni probabilità, non ha gravato solo sul comfort ma anche sulle prestazioni in velocità
La Ninjona è come sempre caratterizzata da un gran bel motore, diventato ancora più brillante in alto grazie all’arrivo delle bielle in titanio e in generale agli aggiornamenti apportati al modello 2019, e come già detto nel capitolo precedente, ha un feeling sull’avantreno da riferimento. Doti che le avrebbero dovuto permettere di difendersi meglio sul tracciato di Pergusa, e che invece - un po’ a sorpresa, lo ammettiamo - non sono venute fuori più di tanto.
Il problema principale nasce dalla rapportatura piuttosto lunga, unita naturalmente alle già note penalizzazioni al motore imposte dall’Euro-4, che sulla Kawasaki è risultato più penalizzante che altrove in termini di tiro ai medi regimi, con l’aggravante di un’elettronica che tende a tagliare un po’ troppo impedendo di sfruttare appieno il potenziale offerto dalle slick. Alfio ha anche lamentato una certa fisicità nei cambi di direzione - la Ninja è in effetti piuttosto generosa nelle dimensioni, e quindi un pelo più inerziale delle concorrenti.
Al contrario, la sua dote migliore è la grande stabilità in percorrenza, e la grande stabilità sul posteriore, che la rende più comunicativa delle altre nelle accelerazioni più violente in uscita di curva nonostante qualche pompaggio, lieve e prevedibile.
La Highlander delle maxi sportive: non è cambiata se non in qualche dettaglio dal 2015, però è sempre là davanti, a giocarsela con le migliori proposte del segmento che, sulla carta, hanno cavalli in più e chili in meno - quando il gioco si fa duro, la Yamaha YZF-R1M è sempre pronta a giocare. E rimane sempre velocissima e meno impegnativa delle rivali, rispetto alle quali propone un’accessibilità psicofisica da riferimento.
La sua dote migliore nell'economia del tempo sul giro a Pergusa, secondo Alfio, sta nell’elettronica: il suo intervento è poco percettibile e non rallenta la moto, ma anzi la rende più veloce, soprattutto per un matching perfetto con le gomme utilizzate. Una dote che si accorda perfettamente alla personalità della R1M, da sempre un riferimento in termini di equilibrio fra motore e ciclistica, e che è stata ulteriormente perfezionata con l’aggiornamento apportato sul model year 2018.
Il difetto principale della R1M, a parte un leggero deficit di potenza rispetto alle concorrenti più aggiornate (che qui a Pergusa, circuito velocissimo, ha pesato forse più di quanto non sarebbe successo altrove) sta nella relativa riluttanza ad inserirsi in curva a causa dell’inerzia del suo albero motore Crossplane, più largo rispetto a quello di un quattro cilindri in linea e quindi causante un maggior effetto volano.
Iniziamo con i rimpianti. La nuova S1000RR avrebbe potuto fare di più, molto di più, se un problema elettronico non l’avesse fermata a metà del secondo giro lanciato. Giro che aveva tutte le premesse per rivelarsi più veloce del già stupefacente riferimento staccato al primo passaggio, ma che si è bruscamente interrotto con l’elettronica in protezione sul finale.
Un giro mostruoso, dicevamo, maturato grazie ad un’agilità e a una precisione assolutamente al vertice della categoria, in parte sicuramente dovuta al kit M e ai già citati cerchi in fibra di carbonio. Non è affatto esagerato parlare della BMW S1000RR come il nuovo riferimento in termini di rapidità in inserimento e nei cambi di direzione, a conferma del vecchio adagio che vuole le masse non sospese come quelle più rilevanti in ogni condizione.
Come avrebbe potuto andare ancora più forte? Facile: con un’elettronica più a punto. Alfio ha lamentato l’intrusività del pacchetto elettronico BMW, che in diverse occasioni penalizza un po’ quando la si sfrutta al limite utilizzando il grip disponibile con le slick. Ma se non si fosse fermata…
Dalla Ducati ci aspettavamo, naturalmente, prestazioni egregie sui curvoni e sui lunghi rettilinei di Pergusa. E in effetti non ci ha affatto deluso, grazie ad un motore pazzesco, a una gran trazione e a una grandissima direzionalità in frenata, che le permettono di entrare in tutte le curve con il freno molto più in mano rispetto alle altre.
Quando si prende in mano il gas, anche grazie a un’elettronica davvero efficace e a punto, la Panigale V4s schizza in avanti con una grinta spaventosa, tanto che spesso - complice il regime stratosferico a cui gira il Desmosedici Stradale - si finisce per anticipare le cambiate, non sfruttando tutto il potenziale disponibile, a meno di non tenere bene d’occhio il contagiri.
Alla fine è forse proprio questa grinta a penalizzarla: la Ducati Panigale V4S finisce per essere un po’ troppo fisica nella guida. Gestire tanto acceleratore e tanti freni non è affare per tutti, anche e soprattutto perché la conformazione del serbatoio non fa molto per aiutare il pilota, che tende a gravare tutto sulle braccia penalizzando anche un po’ quella meravigliosa direzionalità in frenata citata in apertura.
La sorpresa della comparativa. Non tanto perché non ci aspettassimo cose turche dalla RSV4 portata a 1100cc, quanto perché sul tracciato siciliano temevamo che non riuscisse a far valere quella che tradizionalmente è la sua dote migliore, ovvero la precisione e la confidenza sull’avantreno nei lunghi curvoni in percorrenza, a gas puntato, di cui effettivamente Pergusa difetta.
E invece, grazie a un motore veramente pazzesco, la V4 di Noale ha fatto veramente sfracelli. Meno violento e viscerale rispetto all’omologo Ducati, il propulsore veneto lancia fuori dalle curve come accompagnati da una fionda, e pur facendo meno impressione, in fondo ai rettilinei è quello che fa segnare le velocità più aeronautiche di tutti nonostante le appendici aerodinamiche, sulla carta, dovrebbero penalizzarla negli ultimi rapporti.
La contropartita è una stabilità molto delicata al limite, emersa quantomeno qui a Pergusa, con forti pompaggi della sospensione posteriore, dovuti ad un assetto sicuramente estremo (e comunque ritoccato più volte) per compensare le prestazioni del motore - non a caso, l’Aprilia si è dimostrata quella meno delicata con le gomme, riuscendo comunque grazie alla bontà e alla sincerità del telaio a staccare un giro stratosferico!
Aprilia
Via G. Galilei 1
30033 Noale
(VE) - Italia
041 5829111
https://www.aprilia.com/it_IT/
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