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Sulla carta, le due moto che andiamo a confrontare si somigliano molto: sono entrambe delle naked, sono dotate di moderni motori a tre cilindri con cilindrate vicine - 798 cc per l'italiana, 847 per la giapponese - ma i loro punti di contatto terminano qui. Infatti, seppur legate da un filo conduttore comune, che dal punto di vista estetico le rende molto simili, la l’MV Agusta e la Yamaha si distinguono per caratteristiche di guida e destinazione d'uso. Per non parlare poi dei prezzi. Per portarsi a casa la versione base dell'italiana servono 10.680 euro, che diventano 11.080 optando per la versione dotata del pacchetto elettronico EAS, per arrivare a quota 11.680 della versione con ABS. La più abbordabile giapponese parte invece dai 7.990 euro delle versioni colorate in Matt Grey o Race Blue, cui si devono aggiungere i 500 per l'ABS; virando invece verso le livree Deep Armor e Blazing Orange (che comprendono le grafiche “MT” sul serbatoio, i profili adesivi sui cerchi in tinta, gli steli forcella color oro, il logo Yamaha in rilievo sulle prese d'aria), vanno aggiunti ulteriori 100 euro, arrivando così a quota 8.590, ABS compreso. La sola lettura delle rispettive schede tecniche avvicina molto le nostre due naked nei concetti di base rendendo dunque realistica questa prova comparativa. Ma se si va in profondità, mettendo un attimo da parte l'aspetto esteriore e qualche dato numerico, si arriverà alla conclusione che la loro “estrazione sociale” è alquanto differente.
Partiamo dalla giapponese, che per Yamaha rappresenta un progetto innovativo e ambizioso al tempo stesso: una moto compatta e leggera dal costo contenuto e dalle prestazioni esuberanti, dotata di un motore a 3 cilindri tutto nuovo, non particolarmente spinto ma piacevolmente aggressivo e dotato di grande personalità; e logicamente la probabile capostipite di una nuova famiglia di moto (come non pensare a una nuova TDM per esempio?). Dall'altra parte troviamo una moto, la Brutale 800, che già dal nome fa capire che sportività e prestazioni sono alla base del suo DNA. Il fatto stesso che motore e telaio derivino dalla sportivissima F3 800 da 150 cv, fanno capire la declinazione prettamente sportiva della naked varesina, e la ricca dotazione tecnica la pone su un piano diverso rispetto alla tricilindrica giapponese. Da notare che le nostre due contendenti hanno entrambe pesi tutt’altro che impegnativi, e differenti di poco, perlomeno coi serbatoi pieni: la Yamaha infatti pesa 192 kg col pieno (versione con ABS), ma il suo serbatoio tiene solo 14 litri, il che ne porta il peso a vuoto a quasi 182 kg; la MV Agusta, priva di ABS, stazza invece 187 kg col pieno di 16,6 litri, che scendono a poco meno di 175 kg a vuoto.
Difficile criticare la struttura telaistica della Brutale 800, che mette in bella mostra il traliccio di acciaio ALS con piastre in fusione di alluminio, e lo splendido forcellone monobraccio, pure in fusione di alluminio, che lascia spazio al particolarissimo terminale di scarico con tre uscite separate a “canne d’organo”.
Le sospensioni di serie prevedono ampie possibilità di regolazione, sia per quanto riguarda la forcella Marzocchi a steli rovesciati da 43 mm, sia per il mono Sachs: per entrambi si può agire sui registri che controllano compressione, ritorno e precarico molla, mentre e l'escursione utile è di 125 mm per l'avantreno e 119 mm per il retrotreno.
Le possibilità di regolazione sono invece limitate per quanto riguarda le leve al manubrio, con la sola leva del freno dotata di registro per regolare la distanza dalla manopola. Parlando di freni, ricordiamo che è ora disponibile la versione dotata di ABS (la moto del nostro test però ne era priva); ma anche in configurazione standard l’impianto Brembo di base è di gran pregio: dischi flottanti 320 mm con pinze radiali a 4 pistoncini davanti, e pinza a 2 pistoncini per il disco posteriore da 220 mm.
Pratico e non particolarmente complicato lo sgancio della sella (la serratura è sul fianco sinistro, all'altezza del ginocchio del pilota), che permette di accedere a un vano portaoggetti di dimensioni minime, sufficiente per un bloccadisco e i documenti. Poco pratici, ma almeno ci sono, gli appigli, o meglio gli svasi ricavati sotto l'esile codino, a cui si può aggrappare l'eventuale passeggero.
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Anche la Yamaha a tre cilindri ha personalità da vendere, ed è compatta tanto quanto la Brutale, anche se il codino sfuggente la fa apparire più minuta. Minimalista più di qualsiasi altra concorrente, la MT-09 rinuncia a qualsiasi componente che non sia strettamente necessario, con due forzature estetiche, che per noi sono rappresentate dalla strumentazione con i cablaggi in bella vista (che rende quasi obbligatorio il montaggio del plexiglas opzionale per nasconderli al meglio), e del gruppo ottico posteriore che appare decisamente posticcio e mal raccordato al codino. Due difetti in un contesto generale che globalmente dà l'impressione di ricercatezza e qualità, a partire dal bel telaio a diamante formato da due sezioni pressofuse in alluminio (il suo peso totale è di soli 10 kg), nel quale è incastonato il nuovo motore a tre cilindri, anch'esso ben rifinito e ordinato, senza cablaggi a vista, e al quale si àncora il forcellone asimmetrico: il lato destro ha il classico andamento “a banana”, in modo da lasciar spazio al terminale di scarico.
Il reparto sospensioni è di livello discreto, ma non all'altezza della componentistica montata sulla MV: la forcella, a steli rovesciati da 41 mm di diametro, è dotata di regolazioni per precarico ed estensione, al pari del mono posteriore, dall'inusuale posizione orizzontale sotto la sella e con cinematismo di progressione. Leggermente più ampia l'escursione utile delle ruote, di 137 mm davanti e 130 dietro.
L'impianto frenante, nel nostro caso dotato di ABS (per noi irrinunciabile), è costituito da una coppia di dischi flottanti anteriori da 298 mm, con relative pinze radiali a 4 pistoncini, e da un disco da 245 mm con pinza a doppio pistoncino.
Tenendo in considerazione il costo d'acquisto, il rapporto qualità prezzo della MT-09 è comunque favorevole, con una dotazione di base ottima e un quadro generale, per quanto riguarda materiali e assemblaggi, che si può certamente definire positivo.
Una volta rimossa la sella, si può accedere al vano portaoggetti, o meglio porta documenti, viste le sue esigue dimensioni. L'operazione di sgancio è leggermente più difficoltosa rispetto alla moto italiana, avendo la MT-09 la serratura di sblocco proprio sotto il codino, in una posizione che la espone allo sporco tirato su dalla ruota posteriore: per ovviare al problema, a Iwata hanno dunque pensato bene di dotare la serratura di un utile coperchio a molla. Ci ha lasciati perplessi il gioco eccessivo della sella che, almeno sul nostro esemplare, sembrava sempre fissata male, e si muoveva in maniera a nostro avviso eccessiva. Come sulla Brutale, anche la MT-09 limita le possibilità di regolazione della distanza alla sola leva del freno, mentre quella della frizione è dotata del classico registro del gioco in bella vista (che sulla MV è celato da un piccolo carterino con relativo logo).
Al contrario la posizione di guida non è niente male, il busto moderatamente caricato in avanti aiuta a limitare il fastidio dell'aria alle velocità autostradali, mentre le pedane alte e arretrate aiutano a contrastare la spinta in accelerazione. Le vibrazioni del “3 cilindri” italiano sono presenti, ma definirle fastidiose è esagerato, mentre l’accentuata rumorosità meccanica non è certamente uno dei pregi di questo motore, quanto lo è invece quella di aspirazione e scarico, a dir poco esaltante. Una nota per quel che riguarda la guida sul bagnato: preparatevi a sporcarvi completamente, anche solo in presenza di asfalto umido…Il codino rastremato sarà anche bello, ma le sue capacità di fermare lo sporco sono quasi nulle!
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Sulle prime, la Yamaha sembra più comoda della Brutale, in virtù di un assetto di guida che l’avvicina quasi ad una enduro stradale: manubrio alto e largo, pedane basse e sella più morbida, con un assetto delle sospensioni decisamente soft e più propenso a incassare i fondi terribilmente sconnessi delle nostre strade. Alla lunga però ci si accorge che la conformazione della sella, molto rastremata e inclinata in avanti, portano a ritrovarsi col bacino contro il serbatoio. Inoltre, il manubrio alto, che comporta una posizione eretta del busto, non aiuta nella guida a velocità autostradale, dove l'unico modo di contrastare efficacemente l'aria è dunque quella di aggrapparsi letteralmente alle manopole.
Anche durante le accelerazioni più violente, consentite dal suo prestazionale tricilindrico, ci si deve aggrappare con forza al manubrio, potendo contare ben poco sull'appoggio delle pedane. Un assetto di guida decisamente più turistico, quindi, o se volete meno sportivo rispetto a quello della MV.
Per quel che riguarda la voce “guida sul bagnato”, vi rimando a quanto scritto sopra. Anzi, forse è anche peggio!
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La naked giapponese è personalizzabile quanto, e forse ancor di più della collega italiana, anche in virtù di una declinazione meno sportiva.
La caratterizzazione racing si affida alle immancabili leve di freno e frizione ricavate dal pieno, protezioni motore e cover della sella passeggero, oltre alle pedane regolabili e allo scarico in acciaio inox con terminale in titanio. Se la declinazione è invece turistica, faranno al caso vostro le borse da serbatoio morbide di varia volumetria, ed espandibili (da 11 e 16 litri rispettivamente fino a 15 e 22 litri) da fissare al serbatoio, alla sella oppure il bauletto (da 39 o 50 litri di volume); e saranno utili i supporti per il GPS o lo smartphone, per non parlare poi dell’immancabile cupolino in plexiglas.
E se la personalizzazione dovesse appagare solo l’occhio, ecco un kit di adesivi per i cerchi ruota, un porta targa dal look più ricercato e indicatori di direzione a led, copricatena e cover laterali per il radiatore in alluminio.
Non per niente questo propulsore, sebbene nella versione da 675 cc montato sulla F3, ha riportato la MV Agusta sul gradino più alto del podio del Mondiale Supersport. Oltre ad essere il più compatto della categoria, con un peso contenuto in poco più di 50 kg, questo motore è caratterizzato dall'albero motore controrotante (il che accomuna le MV a 3 cilindri solo ad alcune MotoGp, vedi Yamaha M1 e la nuova Suzuki ) con positivi effetti sul bilanciamento dinamico della moto. Infatti, la coppia di reazione che si sviluppa in un motore tradizionale, il cui albero gira nello stesso senso delle ruote, quando si accelera tende ad alleggerire l’avantreno in fase di accelerazione, mentre in questo caso avviene l’esatto opposto. Ruotando al contrario, inoltre, l’albero motore della MV crea un effetto giroscopico contrario a quello generato dalle ruote, equilibrando dinamicamente la moto e migliorandone così la maneggevolezza. Certo, bisogna fare in modo che poi il moto di rotazione venga ristabilito (immaginate se il pignone girasse all’indietro…), e per questo serve un albero aggiuntivo, che in questo specifico caso funge anche da contralbero di bilanciamento e rinvio della catena della distribuzione.
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Il DNA del 3 cilindri, lo ripetiamo, non è votato alle prestazioni sportive tanto quanto quello della Brutale 800. Però è anch'esso compatto e leggero (pesa 60 kg), e con prestazioni che esaltano la guidabilità rispetto alla sportività. Dalla mitica sorella sportiva YZF-R1 mutua l'albero motore configurato “a croce” (o crossplane che di si voglia), che garantisce una coppia ancora più consistente ai bassi regimi. Inoltre è dotato di condotti di aspirazione differenti in lunghezza (102,8 mm – 82,8 mm – 122,8mm), caratteristica che migliora la respirazione del propulsore. La gestione del comando del gas è affidata all'YCC-T, ovvero il sistema ride by wire già presente da tempo sulle R1 ed R6. Il sistema D-mode sovraintende invece alla gestione delle mappe del motore, che sulla Yamaha MT-09, come già detto, sono tre: Standard, A e B.
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La MT-09 può contare su quasi 109 cv alla ruota, il che potrebbe tranquillamente consentirle di superare i 206 km/h effettivi, corrispondenti ad oltre 220 indicati a poco più di 8.300 giri: ovvero la velocità massima volutamente limitata elettronicamente dalla Casa, sia in quinta che in sesta marcia.
☻☻☻☻☻ Yamaha
Col suo nuovo tricilindrico (che dispone di soli 14 litri, 2,8 dei quali di riserva), in città si percorrono mediamente 16,5 km/l, mentre sul percorso extraurbano il consumo medio è stato di 19 km/l. La media autostradale a 130 km/h effettivi (140 indicati a circa 5.700 giri) è risultata invece di 17,8 km/l, per un’autonomia media, anche in questo caso, di 200 km riserva esclusa.
Certo l'assetto sostenuto delle sospensioni e la sella dura consigliano di tenersi lontano dal pavé, ma nel complesso è meglio di quanto ci aspettassimo. La risposta del motore, non particolarmente aggressiva sotto i 7.000 giri, consente di guidare con un filo di gas, mentre il ride by wire, senza raggiungere la perfezione dei cari e vecchi comandi con il cavo (che peraltro non avrebbero consentito l'utilizzo di gran parte del pacchetto elettronico) permette di gestire al meglio l'esuberanza del motore. Inoltre abbiamo sfruttato la possibilità offerta dalla mappa Custom per ritagliarci "il motore su misura", con risposta del gas ed erogazione della coppia, non che controllo di trazione, settati secondo i nostri gusti. Il quick shift elettronico montato sulla nostra moto in questi frangenti è inutile, e per evitare qualche strappo di troppo è meglio disinserirlo; anche perché la frizione non è particolarmente pesante, e il 6 marce della Brutale ha un comportamento più che buono. La corsa degli innesti non è particolarmente corta, ma la sua precisione non si discute. Peccato che l'inserimento della prima sia spesso piuttosto rumoroso (salvo prestarvi particolare attenzione).
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Dimensioni e peso contenuti (192 kg col pieno), e un angolo di sterzata decisamente più generoso rispetto alla MV, rendono la MT-09 un furetto nel traffico: il motore ha tanto da dare sin dai regimi più bassi, e lo fa con una linearità sconosciuta all’italiano, rispetto al quale mette in mostra anche una silenziosità meccanica superiore. La frizione non è dura ed è piuttosto precisa nello stacco, e il cambio stesso è più preciso e rapido che non sulla Brutale (sebbene afflitto anche qui dall'innesto rumoroso della prima, in questo caso inevitabile); ma la risposta del gas, o meglio, del “ride by wire”, rende la guida in città alquanto sgradevole, a causa del noiosissimo e pronunciato on/off, e quindi dei continui strappi che seguono alle aperture e chiusure del gas, tipici della guida in mezzo al traffico. L'unico modo per attenuarli è quello di passare dalla mappa Standard alla B, che però, come già detto, taglia sensibilmente le prestazioni del tricilindrico Yamaha. Buona la risposta delle sospensioni che, sfruttando un assetto più morbido e una corsa utile superiore, garantiscono un migliore filtraggio delle asperità stradali rispetto all'italiana.
Le elevate prestazioni dinamiche garantite dalla Brutale 800 rendono difficile arrivare a esplorare i limiti di questa moto su strada: più facile avvicinarli in pista, ovviamente, dove si può anche godere maggiormente del notevole allungo offerto dal motore MV, e soprattutto delle prestazioni garantite dall’ottima ciclistica.
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Sin dai primi chilometri, la Yamaha si dimostra più facile e intuitiva della MV Agusta, ma anche altrettanto agile. Il suo motore più rotondo e lineare nell'erogazione esalta questo aspetto, suffragato dalla trasmissione e dalla rapportatura del cambio. L'animo da fun bike dell’MT-09 è sempre ben presente, ed emerge spesso e volentieri, con l'avantreno che si alleggerisce e decolla con gran facilità sotto la spinta vigorosa del “3 cilindri” da 847 cc. L'effetto on/off del ride by wire, lampante nell'uso in mezzo al traffico, purtroppo non scompare uscendo dalla città, e infastidisce soprattutto nel misto stretto, mentre aumentando le velocità lo si nota meno: ma tale noioso difetto rende praticamente inutilizzabile la mappa A, caratterizzata da una maggiore reattività e rapidità di risposta della manopola del gas, che rende troppo aggressiva la prima parte di erogazione della potenza, mettendo spesso e volentieri in affanno le Bridgestone BT-020 in dotazione: e qui non c'è il controllo di trazione a metterci una pezza!
Aumentando il ritmo, emerge però la minor raffinatezza e sportività delle sospensioni, e anche i freni perdono un po’ lo smalto. Le prime vanno in affanno quando si inizia a guidare in maniera aggressiva: in particolare il mono, scarsamente frenato sia in compressione che in estensione, tende a far sedere troppo il posteriore con conseguente aumento del sottosterzo, soprattutto in uscita di curva, quando si tende a sfruttare la grande spinta del motore, mentre l'estensione appare sempre troppo repentina, creando uno sgradevole “pompaggio”: tali problemi si risolvono solo parzialmente mettendo mano alle regolazioni. L'impianto frenante è invece ottimo e piacevolmente modulabile, sia davanti che dietro, fin tanto che si sfrutta solo in parte la potenzialità del motore; ma quando il ritmo sale si potrebbe desiderare una maggiore efficacia e un minor sforzo da applicare alla leva, mentre il disco posteriore merita solo elogi, così come la funzionalità generale dell'ABS.
MV Agusta
Via Giovanni Macchi, 144
21100 Varese
(VA) - Italia
0332 254111
[email protected]
https://www.mvagusta.com/it/
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