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Negli anni 90 i ragazzi le sognavano a occhi aperti. In TV passava la sigla di Colpo Grosso (Cin-Cin... chi non la ricorda?) e su strada rombavano sfumazzanti moto da gran premio regolarmente targate. La Suzuki RGV 250 del nostro test era una delle moto più vicine alle gp della Classe 250. Telaio in alluminio, sospensioni e freni moderni ancora oggi, peso da 125 e prestazioni incredibili grazie ai 60 cavalli del motore bicilindrico a miscela. Superava di poco i 200 km orari. Mostruosi però anche i consumi, degni di una Porsche 911 di oggi (se non peggio).
Dopo pietre miliari come Honda RC 30 e SP1, Yamaha R1 '98, Ducati 916 e Suzuki Hayabusa non poteva mancare lei: la piccola 2 tempi che ricalca in tutto e per tutto le moto da GP di quel periodo.
Nel video sopra vi presentiamo la moto con Maurizio Gissi e il suo proprietario, Andrea.
Qui trovate gli annunci di Suzuki RGV 250 su Moto.it e di seguito l'articolo completissimo che Maurizio Tanca ha dedicato a questa splendida moto.
Tester: Andrea Perfetti (185 cm, 85 kg)
Casco: Arai RX-7V Replica Kevin Schwantz
Tuta Dainese
Guanti Dainese
Stivali Dainese
Video, foto, editing: Massimo Di Trapani
Dalla prova di Maurizio Tanca su Moto.it:
La sigla RG esordì su una moto Suzuki nel lontano 1974. Nella fattispecie, era una racer da Gran Premio, una potente 500 due tempi con 4 cilindri in quadrato e telaio in tubi tondi d’acciaio, destinata a diventare la più diffusa GP disponibile anche per i piloti privati. Ovvero della moto che già nel ‘76 vinse il suo primo titolo iridato col grande Barry Sheene – che battè la Yamaha di Agostini, replicando l’anno seguente – e che chiuse poi la sua longeva carriera 26 anni più tardi con 6 titoli iridati conquistati nella classe regina: ai due con Sheene in sella ne seguirono infatti altri quattro vinti da Lucchinelli (’81), Uncini (’82) Schwantz (’93) e Kenny Roberts Junior (2000). Ma già nel ’77 la mitica sigla RG diede vita anche a una lunga serie di modelli stradali, con motori a due tempi da 1, 2 e 4 cilindri: le monocilindriche da 50 cc, 80, 125, 150 e 200 cc, le bicilindriche da 250, e le celebri quadricilindriche 400 e 500 ispirate alle Suzuki da corsa.
Agli esordi, le Suzukine RG erano semplici motoleggere che oggi considereremmo “naked”, nulla di attinente a qualcosa di supersportivo o “racing replica”. Come invece accadde più avanti, nei primi anni ’80, quando iniziò la saga delle celebri Suzuki Gamma. Con un’unica eccezione: nella nostra gallery, infatti, potete vedere una brochure del 1982 che pubblicizzava la prima RG50 Gamma “nuda”, presentata dal futuro iridato Franco Uncini con tanto di tuta di pelle ed RG500 ufficiale a fianco, ma destinata al solo mercato interno. Le versioni per l’estero invece erano tutte carenate. Dopodiché arrivarono tutte le altre RG Gamma nelle cilindrate sopra elencate. Tra le quali, appunto, le bicilindriche 250, che vennero prodotte dal 1983 al ‘98: la progenitrice, che durò fino all’87, aveva un motore bicilindrico parallelo da 45 cv e ruote da 16 pollici anteriormente e 18 dietro; e inizialmente aveva una carenatura che lasciava scoperta la parte bassa del motore e gli scarichi, che correvano simmetricamente sui due lati. Le ultime versioni invece erano dotate di carena completa che avvolgeva anche parte delle camere d’espansione.
Ma nell’88 Suzuki cambiò decisamente passo, estraendo dal cilindro la ben più moderna RGV Gamma, dove la V, naturalmente, segnava il passaggio alla configurazione bicilindrica a V lungitudinale, che anticipava la 250GP che iniziò a muovere timidamente i primi passi nel mondiale portando a casa punti nel ’91, ’92, ’93, ’97 e ’98.
La RGV 250 Gamma siglata VJ21 con i due scarichi ai lati, venne prodotta dall’88 al’90 in varie varianti cromatiche, tra le quali l’apprezzata livrea Pepsi dell’89, replica di quella della 500 di Schwantz. Questo modello montava una ruota da 17” davanti mantenendo però la posteriore da 18, e nel corso di tre anni vide la sua potenza salire da 50,4 a ben 59 cavalli.
E nel 1991, ecco apparire la magnifica RGV della nostra prova storica, la VJ122, dotata di un esaltante forcellone in alluminio col braccio destro “a banana”, per ottimizzare la linearità delle due espansioni sovrapposte sulla destra. Ma esordivano anche due ruote da 17" con canali maggiorati e l’affascinante forcella a steli rovesciati, il tutto abbinato al motore da 62 cv. Questo modello “visse” fino al 1997, ma dal ’93 al ’96 esibiva stranamente un nuovo forcellone con il braccio sinistro indentico al destro, sempre capriata di rinforzo superiore, mentre le versioni SP del ’96 e ’97, ancor più curiosamente, tornavano al forcellone “bananato” a destra, rispolverando però, ancor più curiosamente, gli scarichi paralleli ai lati.
Suzuki RGV 250, la peperina
Disponibile in numeri limitati, è veloce e consuma parecchio: sembra fatta per i diciottenni, ma solletica anche gli sportivi più incalliti. Nonostante le migliorie, il prezzo è analogo a quello della precedente versione. 9.426.000 lire. Nel Mondiale G.P. la classe 250 è spesso più avvincente della stessa 500, grazie ai suoi spunti appassionanti e ricchi di emozioni; è equilibrata e altamente spettacolare, e si avvia a diventarlo ancor di più quest'anno, che vedrà finalmente l'avvento della Suzuki cui seguiranno, presumibilmente nella prossima stagione, la Gilera e la Kawasaki. È una classe importante la "quarto di litro", per le Case motociclistiche, sia a livello tecnico che di immagine; e in molti Paesi, con in testa lo stesso Giappone, le velocissime e sofisticate 250, siano esse bicilindriche a due tempi o quadricilindriche a quattro tempi, considerate vere "palestre" per le giovani leve, vanno letteralmente a ruba: basti pensare quanti piloti di grande levatura sono emersi, per esempio in Francia, dai locali campionati monomarca e Promosport. È un peccato che in Italia, per le restrizioni legislative vigenti, dettate da una politica improntata al protezionismo, queste pepatissime motociclette possano essere disponibili soltanto in quantitativi limitatissimi, e a prezzi molto elevati. Tra l'altro non vedremo nemmeno nel '91 i modelli Honda e Kawasaki, e non verrà importata nemmeno la nuova Yamaha TZR. Cosicché, almeno per un po', la Suzuki RGV dominerà la scena della categoria, in attesa di concorrenza, magari italiana. La nuova RGV 250, profondamente modificata rispetto alla pur validissima versione precedente, ha mantenuto però praticamente inalterato il prezzo, visto che costa qiasi 9.500.000 lire (meno di 5.000 in euro, ndr…): non poco rispetto alla cilindrata, ma è necessario tener conto dell'elevato contenuto tecnologico del progetto e della sua qualità di realizzazione.
Una moto tutta nuova
Telaio in alluminio (ora scomponibile), massiccio forcellone ricurvo per lasciare spazio a scarichi più rettilinei, forcella a steli rovesciati, freni a disco più grandi, ruote da 17". E poi importanti interventi sul motore, sulla sua gestione elettronica (carburatori compresi) e modifiche sostanziali anche alla carrozzeria, per renderla più somigliante alle Suzuki da Gran Premio. La RGV è praticamente un'altra moto rispetto a prima, e siamo curiosissimi di vedere la nuova 250 da corsa per verificarne le attinenze con questa stradale, colorata con i classici "striscioni" in tre gradazioni di azzurro su fondo bianco: un classico per la Casa giapponese.
La RGV è realizzata, rifinita e verniciata molto bene: un oggettino quasi da salotto, generalmente ben curato anche nei particolari, ad eccezione di un paio di cose che andrebbero proprio riviste. La prima è puramente estetica, e ci riferiamo al telaietto che supporta il cupolino: brutto com'è, deturpa immeritatamente la linea; non ci voleva molto per far meglio. La seconda cosa che non va ha invece risvolti pratici: togliendo il sottile sellino posteriore, bloccato da serratura, si accede a un piccolo vano portaoggetti e al serbatoio per l'olio della miscelazione automatica: la sua imboccatura però è seminascosta, rendendo così il rabbocco impossibile se non tramite un piccolo imbuto snodato, o quantomeno usando un tubetto di gomma. Considerando la scarsa autonomia della RGV, dovuta anche al poco olio disponibile nel serbatoio separato (poco più di 1 kg), la scomoda operazione di rifornimento va dunque fatta piuttosto frequentemente, e con disagio.
A questo si aggiunga che la spia dell'olio, sul cruscotto, è praticamente seminascosta dal cavo della frizione, dunque si comprenderà bene che bisogna anche prestare molta attenzione per evitare seri danni al motore. Ci perdonerete dunque se ci siamo dilungati su questo aspetto, che giudichiamo tutt’altro che secondario. Per i particolari importanti, citiamo la stampella laterale con dispositivo di sicurezza, il nuovo pedale del cambio infulcrato direttamente sulla pedana per migliorarne la funzionalità, il piccolo rubinetto della benzina sulla sinistra, il tappo stile aeronautico, lo starter coassiale al manubrio. Due registri sui rispettivi tappi della forcella servono per regolare il precarico delle molle; per quanto riguarda la sospensione posteriore, c'è un serbatoio separato (fissato con due fascette sotto il codone, a sinistra) per la taratura dell'idraulica in estensione (4 posizioni) e compressione (19), mentre per il precarico ci sono le due solite ghiere dentate contrapposte su filettatura. Anche la distanza della leva del freno anteriore dalla manopola è regolabile.
La strumentazione è stata leggermente modificata, ma sostanzialmente è simile a prima, sempre tipicamente sportiva; ora però tachimetro e contagiri sono molto meno "ladri". Peccato che, come già detto, alcune delle spie poste sotto il tachimetro siano praticamente nascoste dal cavo della frizione: sarebbe stato meglio sistemarle in alto. Il contagiri adesso inizia a segnare da "0" anziché da 3.000, e la zona rossa parte da 12.000 invece che da 11.500. Bene gli specchi retrovisori e l'efficacia del faro anteriore, mentre la "voce" del clacson è sufficiente soltanto in città.
La tecnica
Il motore - La brillante quarto di litro giapponese si presenta radicalmente rinnovata rispetto alla versione 1990.
Il bicilindrico due tempi longitudinale a V di 90° è ora in grado di erogare una potenza massima di 62 cv (ben quattro in più del precedente modello) a un regime di rotazione di 11.000 g/m. Incrementato anche il valore della coppia massima, da 3,8 kgm a 10.800 g/m a 4 kgm, allo stesso regime di potenza massima. Il motore ha mantenuto le originarie misure di alesaggio e corsa - ovvero 56x50,6 mm, che si traducono in una cilindrata complessiva di 249 cc - e la medesima architettura generale.
I cilindri, che dispongono di riporto galvanico interno SBC (Suzuki Boron Composite, una lega speciale nichel-fosforo contenente bromuro di boro), sono stati oggetto di accurati studi rivolti al dimensionamento e posizionamento di luci e travasi, al fine di ottenere un diagramma di distribuzione ancor più redditizio e fruibile. Da non sottovalutare l'apparentemente inutile modifica dell'impianto di scarico. Sul modello '91 le camere ad espansione hanno un andamento molto più rettilineo (come del resto vuole la teoria) ed escono entrambe sul lato destro della moto, contribuendo a un netto incremento della potenza e dell'arco di utilizzazione. Completamente riviste anche le valvole parzializzatrici AETC II (Automatic Exhaust Timing Control) che presidiano l’uscita delle luci di scarico. Munite di sensore e controllate elettronicamente, sono in grado di variare in maniera più continua e progressiva la fasatura di scarico, grazie alle tre posizioni che possono assumere in funzione del regime di rotazione del motore (bassi, medi ed alti regimi) in luogo delle precedenti due, ottimizzandone cosi il rendimento.
L'alimentazione, diretta nel carter pompa, dispone di un pacco lamellare a sei petali di dimensioni identiche a quelli usati sulla stessa Suzuki RG500 da G.P. La cassetta di aspirazione ha una capacità di 5,1 litri, ed è composta da due camere distinte affiancate, per ottimizzare la carburazione dei singoli cilindri indipendentemente l’uno dall'altro. I carburatori sono sempre Mikuni, ma con diffusori maggiorati da 32 a 34 mm e provvisti di particolarissime valvole in resina dal profilo piatto dal lato della cassetta del filtro dell'aria, e semicircolare da quello del condotto di aspirazione, in modo da ridurre le turbolenze del flusso gassoso ed incrementarne la velocità. Particolarmente efficiente il sistema SAPC (Suzuki Advance Power Control) che gestisce elettronicamente, integrandole tra loro, le funzioni di ammissione, accensione e scarico. A tal proposito bisogna sottolineare anche il certosino lavoro di perfezionamento svolto sulla già validissima accensione elettronica digitale MDIS (Multiple Digital Ignition System), in grado di variare l'anticipo praticamente istante per istante. L'impianto di raffreddamento a liquido ha ora una portata superiore di una volta e mezza a quella del precedente, riuscendo a smaltire 16.800 kcal/ora. Questo ha reso possibile una diminuzione della superficie del radiatore concavo in alluminio, consentendo chiaramente di ridurre la sezione frontale del mezzo e, di conseguenza, la sua resistenza all'avanzamento. Per quanto riguarda invece il basamento del motore, è doveroso citare l'inedito alternatore, che ha consentito la realizzazione di un albero motore più corto, e di nuovi alberi del cambio, di maggior diametro e ruotanti su cuscinetti a rullini.
I rapporti di seconda, quarta, quinta e sesta marcia sono stati modificati al fine di rendere più progressiva l'accelerazione. Piccole modifiche di dettaglio hanno inoltre interessato anche la frizione multidisco in bagno d'olio. Variato leggermente anche il rapporto della trasmissione finale a catena, accoppiando un pignone da 14 (in luogo di 15) a una corona da 43 denti, contro i 46 del modello precedente. Il dispositivo di avviamento è rimasto esclusivamente del tipo a kick-starter.
La ciclistica - Il bel telaio in alluminio a doppia culla perimetrale DC ALBOX (Dual Cell Aluminium Box, secondo il dizionario tecnico Suzuki), completato inferiormente da due bretelle smontabili, potrà sembrare a prima vista identico al precedente. Niente di più sbagliato. Pur conservando la medesima architettura di base, infatti, è stato modificato nella sezione dei montanti superiori, costituiti da due grosse travi estruse in lega di alluminio che congiungono direttamente il cannotto di sterzo alle due piastre laterali, sempre in alluminio ma pressofuse, che supportano il motore e l'ancoraggio del forcellone oscillante posteriore. Quest'ultimo è completamente inedito. Come sulle Suzuki da GP, il braccio destro (realizzato in un sol pezzo mediante stampaggio) è notevolmente arcuato per consentire una conformazione più rettilinea possibile alle nuove camere ad espansione e, nel contempo, mantenerle a debita distanza dal suolo. Per strusciare gli scarichi sull'asfalto bisognerebbe piegare di oltre 58° rispetto alla verticale!
Il disegno del forcellone viene definito dai tecnici giapponesi “CAL-BOX “ (Crescent Aluminium Box) e, grazie al suo generoso dimensionamento, contribuisce in maniera determinante a conferire alla ciclistica una notevole rigidità torsionale. L'angolo di inclinazione del cannotto di sterzo è diminuito dai precedenti 25°35' agli attuali 24°30': ciò ha modificato anche il valore dell'avancorsa, cresciuto da 98 a 100 mm. L'interasse è inoltre aumentato da 1.375 a 1.420 mm. Rinnovato anche il reparto sospensioni. All'avantreno spicca una nuova forcella a steli rovesciati da 40 mm, che prevede ampie possibilità di regolazione del precarico delle molle su 5 posizioni. L'escursione consentita alla ruota anteriore è di 120 mm. La sospensione posteriore fa invece affidamento sul classico monoammortizzatore centrale - con unità oleopneumatica di tipo De Carbon dotata di serbatoio separato per il gas - compresso da un unico biellismo, in lega di alluminio, infulcrato direttamente al telaio e, tramite due staffe, al forcellone. Sono possibili ben diciannove regolazioni dell’idraulica in compressione e quattro in estensione. La corsa utile della ruota posteriore è pari a 130 mm.
Novità anche per l'impianto frenante, discretamente potenziato, che si avvale ora di due dischi anteriori flottanti da 300 mm di diametro (290 mm sulla precedente versione) con pinze a quattro pistoncini contrapposti. Al retrotreno lavora sempre un disco da 210 mm con pinza a due pistoncini contrapposti. Inedite le ruote monolitiche in lega leggera con disegno a tre razze cave da 17": l'anteriore dispone ora di un canale allargato da 3" e 3,50"; mentre la posteriore da 18" è stata sostituita dalla nuova da 17", anch'essa con canale maggiorato da 4 a 4,50 pollici. Tali modifiche hanno consentito l'adozione di pneumatici di maggior sezione. Le coperture fornite di serie sono le Bridgestone Cyrox da 120/70" e 170/60.
Sportiva e sicura
Abbiamo più volte detto che l'assetto e la guidabilità della Suzuki RGV 250 sono paragonabili in tutto a quelli di una analoga 125 sportiva, prendendo come esempio la recente Cagiva Mito, che della RGV ha le medesime quote di ciclistica. In sella (del passeggero non parliamo nemmeno, tant’è provvisoria la sua sistemazione) si troveranno bene anche piloti di statura fino alla media, mentre i più alti, guidando sportivamente, lamenteranno la fastidiosa interferenza delle braccia con le gambe. I polsi sono abbastanza caricati, ma non tanto da portare all'esasperazione, nemmeno in mezzo al traffico, grazie anche alla leggerezza, alla compattezza da motoleggera e, molto importante e inconsueto per una supersportiva, al favorevole angolo di sterzo della moto. A questo va aggiunto che le sospensioni sono realmente confortevoli, anche rispetto a qualche moto decisamente più turistica, tanto da poter affrontare il variegato fondo stradale cittadino quasi con la medesima disinvoltura di una moto da fuoristrada.
Fuori città la guida è divertentissima, specialmente quando ci si trova al cospetto di percorsi sinuosi, dove viene fuori tutta l'agilità di cui la piccola Suzuki è capace, senza per questo mancare mai di una stabilità eccellente: proprio una 125 con tanta potenza in più! Come saprete, il primo approccio con questa RGV l'abbiamo avuto a Misano, poi però siamo andati anche a Monza, e qui si è accentuato l'unico piccolo difetto che traspariva sulla pista romagnola: l'asfalto monzese infatti non è sempre perfetto, e quando si arriva alla staccata dopo il rettilineo dei box, il veloce affondamento della forcella fino a fondo corsa porta la ruota anteriore a saltellare più marcatamente su fondo irregolare, ritardando l'inserimento nella prima variante. A nostro avviso, visto che l'idraulica non ha regolazioni, si potrebbe ovviare senza spendere capitali giocando col precarico delle molle e con la quantità di olio negli steli, se non provandone pazientemente altri tipi, magari anche più o meno densi. La situazione posteriore invece è più rapidamente ovviabile, intervenendo sulle regolazioni a seconda del peso e del tipo di guida del pilota.
Eccellente, comunque, la velocità di percorrenza delle varianti, e notevolissimi anche gli angoli di inclinazione possibili. I pneumatici Bridgestone Cyrox di serie sono molto validi per l’utilizzo stradale, ma in pista mostrano qualche limite affrontando curve non velocissime col gas parzializzato: in questo caso può capitare che il retrotreno saltelli un po' lateralmente, sebbene senza eccedere, e comunque con l'avantreno sempre sincero e saldo a terra. Dei freni non si può dire che un gran bene: con l'uso intenso i dischi assumono un colorino bluastro, ma l'efficacia generale è sempre eccellente: il freno posteriore è meno modulabile di quanto non lo siano i due anteriori, ma francamente non abbiamo mai avuto alcun motivo per lamentarci di questo impianto.
Poco fumo, tanto arrosto
Molto fumoso a freddo, naturalmente con lo starter tirato, il piccolo bicilindrico Suzuki, come ogni "due tempi" che si rispetti, una volta entrato in temperatura si avvia immediatamente, anche agendo sulla pedivella semplicemente con la mano. Meccanicamente abbastanza silenzioso, anche a livello di rumore allo scarico rimane ampiamente nei limiti della discrezione, tanto da poter sfrecciare alla massima velocità con un sibilo piacevole appena avvertibile. La partenza da fermo, per superare alla svelta la soglia dei 3.500/4.000 giri, richiede un leggero intervento di una frizione tanto morbida da azionare quanto tetragona agli sforzi e precisa nell'innesto. Con la RGV 250 si può andare a spasso dolcemente e discretamente, a temperatura di esercizio raggiunta, senza nemmeno il classico "fil di fumo" allo scarico, e questo nonostante il consumo d'olio, come vedremo, sia rimasto addirittura esagerato. È tuttavia difficile resistere alla tentazione di tirare le marce, e in questo caso riscontreremo un'erogazione buona per una moto del genere, che ci è sembrata migliorata motoristicamente rispetto alla precedente: in sesta si può spalancare l'acceleratore decisamente, una volta superati i 3.300 giri circa indicati, dopodiché la salita di regime è omogenea fino a quando si avverte una prima spinta intorno agli 8.000 giri, seguita da una seconda, più rabbiosa, appena dopo i 10.500 (ricordiamo che il regime di 11.000 giri segna la coincidenza tra i picchi di coppia e potenza, almeno secondo quanto dichiarato dal costruttore).
L'allungo tende poi a calare dopo gli 11.500, ma rimane comunque discretamente sostanzioso anche dopo, visto che la velocità massima è raggiungibile piuttosto rapidamente a oltre 12.000 giri indicati, corrispondenti a circa 11.800 reali. La rapportatura interna vede terza, quarta e quinta più ravvicinate tra loro di quanto non lo siano le prime tre marce, e con la sesta leggermente distaccata; la precisione del cambio è impeccabile, così come sono buone la rapidità e la dolcezza, specialmente scalando; pur essendo molto migliorato rispetto a prima marcia in quanto a rumorosità d'innesto, non sono però spariti del tutto gli antipatici "clock" avvertibili più che altro tra prima e seconda. Va elogiata la buona equilibratura delle masse rotanti, visto che le vibrazioni, a parte qualche avvisaglia tra i 3.000 e i 5.000 giri, sono praticamente inesistenti. Concludiamo il capitolo col consiglio di parzializzare con nastro adesivo il radiatore durante la stagione fredda, altrimenti il motore difficilmente arriverà a raggiungere la temperatura d’esercizio ottimale.
Le prestazioni rilevate
La Suzuki RGV 250 Gamma dichiara, sulla sua "carta di identità", un peso a secco di 139 chilogrammi, quindi 11 in più di quanto dichiarato per la precedente versione, rispetto alla quale, tra l'altro, c'è anche il serbatoio leggermente più piccolo (tiene 1 litro in meno). Sulla bilancia, la nuova RGV denuncia 167 kg col pieno, cioè 9 kg in più del modello uscente: i nuovi elementi come forcella, forcellone, ruote e non sappiamo cos'altro, hanno evidentemente la loro importanza in merito. Migliori di prima, invece, i valori di resistenza all'avanzamento rilevati, mentre con i consumi siamo messi decisamente peggio: infatti adesso, girando a ritmo elevato in pista, si percorrono meno di 8 chilometri con un litro di super, e in tali occasioni non è difficile consumare più di un chilo d'olio ogni 200 km. Ma la situazione generale non è rosea nemmeno su strada: se la media cittadina è infatti di poco superiore ai 10 km/l, su percorsi extraurbani si viaggia di norma attorno ai 12, mentre in autostrada siamo di poco sotto ai 13 km/l. Prima di arrivare a utilizzare la riserva, si dispone di circa 13 litri: si evince quindi che l'autonomia varia dal centinaio di chilometri su pista ai circa 170 su strada. A questo si aggiunga il costo d'olio: con un chilo si può contare su un'autonomia variabile da poco più di 200 a circa 350 chilometri.
L'aumento di potenza e l'accorciamento del rapporto totale di trasmissione, hanno giovato alla nuova RGV, che partendo da fermo ora esce dai 400 metri dopo 12,6 secondi a 170 orari (invece dei precedenti 13,4 sec. e 165 km/h). Ed è in grado di percorrere un chilometro in soli 24 secondi con velocità d'uscita di quasi 200 orari; mica male: 1,5 secondi in meno, e ben 12 km/h in più! Meno marcato (verosimilmente qui influisce anche il maggior peso) il miglioramento in ripresa da 60 km/h: tutto quasi uguale a prima, ad eccezione della maggior velocità di uscita dal chilometro (177 contro i 172 km/h di prima). Piuttosto rapido il raggiungimento della velocità massima, che dai 201,3 km/h precedenti è salita agli attuali 205. È facile constatare che ora il sibilante bicilindrico a V della Suzuki, una volta al massimo, allunga quasi 500 giri più di prima: non sarà difficile, quindi, guadagnare qualche chilometro in velocità utilizzando magari, una corona più piccola. Da notare, infine, che la velocità minima possibile in sesta marcia è scesa da 45 a 36,5 km/h.
Eccellente per divertirsi
Attraente, vivace, veloce, potente, agilissima, questa leggera Suzuki sportiva siglata come la moto di Kevin Schwantz - e certamente anche come la stessa 250 da GP per la stagione a venire - fa veramente venir voglia di correre dal concessionario amico, non appena si abbia la possibilità di provarla pur brevemente. Non è certo una moto da riferimento per l'uso quotidiano, ma è talmente appagante da far passare in secondo piano il suo difetto principale: il notevole costo di esercizio conseguente all'elevato consumo di benzina e, soprattutto, di olio per miscela che, detto per inciso, è costosissimo. Al di là di ciò, e del prezzo di acquisto, la snella RGV è ideale per i giovani che, al compimento del diciottesimo anno di età, vogliano compiere il salto di cilindrata, sempre che la sua caratterizzazione fortemente sportiva sia quella che fa al caso loro. Ma badate bene, con la RGV si divertiranno anche gli smanettoni più attempati, grazie anche al limitato impegno richiesto a chi ha già una certa esperienza, per via del peso ridotto e delle rimarchevoli doti di guida , sempre sfruttabili in tutta sicurezza.