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La cara, vecchia Triumph Bonneville, ci piace ricordarlo, venne presentata dal suo celebre progettista, l’ingegner Edward Turner, al salone londinese di Earls Court del 1958. Quella che sarebbe diventata la Triumph più apprezzata di sempre nacque per celebrare il record di velocità spiccato dall’americano Johnny Allen sul famoso lago salato di Bonneville, nello stato dell’Utah. Nel 1956 Allen frantumò letteralmente il risultato ottenuto l’anno precedente (quasi 312 km/h) spiccando addirittura i 344 km/h (!) con un siluro a due ruote (meglio noto in loco come “streamliner”) spinto dall’ormai mitico motore Speed Twin, un bicilindrico da 500 cc e 27 cv che lo stesso Turner aveva creato nel 1937, e che a lungo rimase il motore motociclistico forse più noto al mondo. Naturalmente il motore da record era già in versione da 650 cc – cilindrata introdotta nel 1949 con la nuova Thunderbird, creata specificamente per il mercato americano, e accreditata di 34 cv – e alimentato a nitrometano.
Tornando ai tempi nostri, la famiglia Bonneville ha festeggiato quest’anno l’avvento di due nuovi modelli, che affiancano la carismatica T100, la Triumph della nostalgia, mostrando però un look più “eighties” che “sixties”, cioè vagamente ispirato a quello delle omonime antenate che segnarono il canto del cigno della Casa inglese, a cavallo tra gli anni settanta e gli ottanta. Le nuove arrivate si chiamano Bonneville e Bonneville SE, anche se in realtà esteticamente richiamano abbastanza la Thruxton, dalla quale ereditano i parafanghi più corti e sportivi e i silenziatori a tromboncino, anche se meno rialzati per non penalizzare troppo il passeggero. Però sfoggiano nuove ruote in lega anziché a raggi, oltretutto con l’anteriore da 17 pollici.
La sigla SE comporta il cruscotto della Bonneville T100, dotato quindi di contagiri, che sulla versione standard non c’è; inoltre il motore ha i carter spazzolati al naturale anziché neri, mentre i marchi sul serbatoio sono in rilievo e cromati, anziché semplici decal. Il tutto al prezzo di 8.800 euro nella versione nera, e di 9.000 in quella biancoblù della nostra prova. Scegliendo la Bonneville standard si risparmia dunque un bel po’: costa 8.150 euro, ed è disponibile tutta nera oppure nell’elegantissima livrea bianco avorio, che con la bella sella Contemporary marrone (optional da 272 euro) fa un gran bel figurone. Tutto sommato, quindi…
Il motore
Giusto per dare una rinfrescatina alla tecnica, l’ultimo discendente del leggendario Speed Twin di Ted Turner ne conserva rigorosamente le caratteristiche di base. Bicilindrico verticale parallelo fronte marcia, quindi, rigorosamente raffreddato ad aria - ma con il radiatore dell’olio sistemato appena sotto al cannotto di sterzo, particolare un tempo riservato ai motori “preparati” – e con l’albero motore fasato a 360°: in soldoni, i due pistoni vanno su e giù contemporaneamente. Naturalmente qui abbiamo la distribuzione bialbero in testa e quattro valvole per cilindro (anziché due, comandate da aste e bilancieri), e il cambio a cinque marce in blocco, sebbene i due coperchi sul lato sinistro simulino visivamente la presenza di un cambio separato (com’era il vecchio a quattro marce). Nato “498”, il leggendario propulsore britannico negli anni crebbe fino ai 650 cc della Bonneville forse più celebre, vera icona del motociclismo inglese ovvero che imperava negli anni sessanta, per terminare la sua gloriosa carriera con la T140 da 744 cc, che segnò la chiusura definitiva della Triumph prima della graditissima rinascita ad opera dell’industriale John Bloor.
Costa 8.150 euro, ed è disponibile tutta nera oppure nell’elegantissima livrea bianco avorio, che con la bella sella Contemporary marrone (optional da 272 euro) fa un gran bel figurone
La Bonnie dei giorni nostri ormai ha già una decina d’anni, e nacque appunto con l’attuale motore, allora da 790 cc con alimentazione a carburatori, cresciuto da un paio d’anni a 865 cc e dotato di alimentazione ad iniezione elettronica, con potenza aumentata da 62 ai 67 cv (a 7.500 giri) della Bonnie T100. La protagonista della nostra prova invece ha la stessa potenza della Thruxton, cioè 69 cavalli a 7.400 giri, probabilmente proprio grazie ai due scarichi diversi. La coppia motrice, invece, è praticamente omologa per tutte: poco più di 7 kgm a 5.800 giri. Da notare un altro piccolo vezzo estetico, chiaramente studiato ad arte per la gioia dei nostalgici: i corpi farfallati del motore a iniezione sembrano proprio dei carburatori.
La ciclistica
Nulla di più semplice da descrivere, parlando di moto tecnicamente semplici come queste. Telaio? Un superclassico per chi ha vissuto il motociclismo ante-Deltabox e similari: ovvero un bel “doppia culla” in tubi tondi d’acciaio senza troppi fronzoli, e con tanto di vetusto bloccasterzo Neiman sul lato destro del cannotto, quello con lo sportellino a protezione della serratura (diciamolo: sarebbe ora quantomeno di utilizzarne una più moderna…). Cannotto peraltro rinforzato tramite una triangolazione tubolare che funge anche da attacco superiore del motore. Il forcellone in acciaio invece ha i bracci a sezione rettangolare, con rinforzo scatolato nella zona del perno di fulcro, e aziona due ammortizzatori regolabili solo nel precarico molla, su cinque posizioni. Davanti c’è una forcella Kayaba con steli da 41 mm, comune anche alla T100 e alla stessa Thruxton (ove però è completamente regolabile).
Le ciclistiche di T100, Thruxton e New Bonneville denotano però anche altre differenze di un certo peso. Vediamole. La prima ha la ruota anteriore da 2,50x19”, mentre la Thruxton ce l’ha da 2,50x18”, entrambe con pneumatico da 100/90. La nuova arrivata, come già detto, monta invece ruote in lega, con l’anteriore da 3,00x17” gommata 110/70. Tutte e tre le moto però hanno ruote posteriori da 3,50x17”, con gomma da 130/80. Quanto alle gomme, Metzeler produce tutt’oggi le ME-Z4, che magari col freddo vanno accuratamente “accompagnate” in temperatura, ma che globalmente, specie su moto come questa Triumph, sono ancora un compromesso ideale a livello di prestazioni (anche sul bagnato) e durata. Freni? Disco posteriore da 255 comune alle tre sorelle, mentre la Thruxton davanti monta un singolo 320 mm, contro i 310 delle altre due. Veniamo alle geometrie. L’interasse della T100 è di 1.500 mm, dieci in più rispetto alle altre. Cambiano anche le quote di sterzo: il cannotto della T100 è inclinato di 28° con ben 110 mm di avancorsa; 27° invece per le altre due moto, con soli 97 mm di avancorsa per la Thruxton contro i 106 della nuova Bonneville. Per la quale viene dichiarato un peso a secco di 200 chili tondi tondi, anziché i 205 delle altre. Concludiamo con l’altezza dal suolo delle selle: 790 mm per la Thruxton, 775 per la T100, solo 740 per la sottile imbottitura della Bonneville SE, il cui spettro d’utenza previsto evidentemente è più ampio.
Su strada
La nostra Bonneville SE, vezzosamente dotata di elegante borsa portadocumenti laterale in cuoio (altro optional, da ben 320 euro), con tanto di comoda cuffia impermeabile “griffata” Triumph in dotazione, ci ha piacevolmente accompagnato – parlo a nome di tutta la redazione - per oltre duemila chilometri percorsi un po’ ovunque, e con grande soddisfazione. Vuoi perché è una moto assolutamente rilassante, vuoi perché consuma come uno scooter di media cilindrata, tant’è che abbiamo sempre percorso tra i 20 ed i 22 km/litro, con un’autonomia media di circa 360 chilometri prima che si accendesse la spia della riserva (che, anche se non sembrerebbe, è visibilissima anche col sole a picco). Esteticamente trovo questa moto bella ed elegante, anche se il carisma della più classica T100 la rende maggiormente affascinante. Però questa ha una guida più moderna, in grado senza dubbio di appagare molto di più anche chi ama godersi i misti di montagna dandoci un po’ dentro alla sportiva. Questa ciclistica, insomma, è talmente neutra, solida e precisa che si prova davvero un gran gusto a guidare con molta scioltezza senza il minimo sforzo, anche con una mano sola. Tutto sommato, oltretutto, non è che si pieghi così poco…
Certo, gli ammortizzatori hanno poca escursione, ma sul pavè ho provato di ben peggio (col passeggero a bordo, però, sarà meglio intervenire sul precarico delle molle, altrimenti qualche fondo corsa sarà da mettere in conto) e sul liscio funzionano più che dignitosamente. Bene anche la forcella, dalla taratura ben calibrata senza cadere nel flaccido. Validi e sicuri anche i freni, specie il ben modulabile l’anteriore, con in più, nel caso, un buon aiuto dal freno-motore tipico del grosso bicilindrico.
Insomma, se in città questa moto è perfettamente a suo agio perché ha tanto sterzo e il baricentro basso, lo è anche altrove, specie sulle strade dove si guida davvero (e non solo ragionando in rapporto al tipo di mezzo), e anche in autostrada, dove onestamente pensavo di soffrire molto di più. Con la Bonneville SE ho percorso perlomeno seicento chilometri di tratto autostradale e circa duecento di strade normali per raggiungere Cortina D’Ampezzo e le Dolomiti, e devo ammettere che la borsa da serbatoio mi è servita da buon riparo per l’aria. Tant’è che potevo tranquillamente mantenere i 140 orari indicati col contagiri sui 5.000, trastullato dal borbottio sornione del motore e con minime vibrazioni avvertibili: per diventare quasi fastidiose, infatti, bisognerebbe viaggiare costantemente oltre i 7.000 giri, ma a quel regime, in quinta, il tachimetro segna i 190, quindi se non si è in Germania è meglio lasciar perdere. Questo motore davvero delizioso, dolce, malleabile, riprende da 1.500 giri come fosse elettrico anche in quinta marcia: diciamo anzi che se il classico sprint bruciasemafori da fermo con la Bonnie non regala certo emozioni indimenticabili, la sua prontezza a rispondere al minimo tocco del gas (dolcissimo anch’esso) anche nella marcia più alta è abbastanza sorprendente, come lo è la rapidità con cui si prende velocità, tanto che i 210 orari indicati a 7.500 giri circa si raggiungono piuttosto in fretta. Un motore che ti fa fare strada girando basso, insomma, e questo è proprio uno dei motivi per cui è così parco nei consumi, oltre che caratterialmente rilassante, ma senza annoiare, e sempre diponibile anche usando la classica marcia in più sul misto stretto. Tra l’altro, la frizione è anch’essa morbida e progressiva nello stacco (altro aspetto che rende rende la guida piacevole) e solo barcamenandosi nel traffico cittadino alla lunga può arrivare a strappare un pochino. Così come il cambio si irruvidisce appena nell’uso intenso cittadino, ma generalmente è preciso e silenzioso. Quanto all’ergonomia in sella, ho apprezzato le leve di freno e frizione regolabili e trovato ottima la posizione del busto; buona anche quella delle gambe, ma in effetti abbastanza angolata per me, per via della sella larga si, ma piuttosto bassa: non è insopportabilmente scomoda, le tappe tra un rifornimento e l’altro si reggono abbastanza agevolmente, però personalmente monterei senza indugi quella più alta della Bonneville T100. Ah, la sella è avvitata (sulle vecchie Bonneville, quelle “vere”, era invece ribaltabile lateralmente), e qui di portaoggetti ovviamente non se ne parla.
Quanto ai numerosi accessori specifici per le Triumph Bonneville, potete conoscerne caratteristiche e prezzi andando a visitare il seguente indirizzo: http://www.triumph.co.uk/ITALY/3356.aspx
Chiudo con una piccola critica, strettamente personale. Non sopporto davvero più il blocchetto della chiave di avviamento montato sul supporto sinistro del faro: è scomodo da raggiungere, ma soprattutto è noiosissimo, mentre si guida, veder sventolare continuamente il portachiavi, che oltretutto, dai e dai, finisce pure per rovinare la vernice del supporto stesso.
Triumph
Via R. Morandi, 27/B
20090 Segrate
(MI) - Italia
02 84130994
[email protected]
https://www.triumphmotorcycles.it
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