Yamaha SR400

  • Voto di Moto.it 6.5 / 10
Yamaha SR400
In Italia negli anni 80 circolava qualche rara SR500, ma non la gemella 400, nata per il mercato giapponese. Ora la 37enne monocilindrica giapponese è disponibile anche da noi. Costa un po' cara e non ha l'avviamento elettrico
20 maggio 2015

Alzi la mano chi avesse mai sentito nominare il marchio motociclistico Hosk…Nessuno? Confesso che anch’io sono venuto a conoscenza solo pochi giorni fa di questo marchio, attivo negli anni 50 unitamente ad una miriade di altri brand nipponici più o meno noti. Anni in cui laggiù notoriamente si scopiazzavano a man bassa, e con encomiabile fervore, i più prestigiosi modelli europei. Ok, direte voi, ma tutto questo cosa c'entra con la Yamaha SR400? In effetti ho presa un po’ alla larga la mia introduzione alla prova di questa elegante monocilindrica, nata nel 1978 e praticamente rimasta sempre in produzione, ma arrivata in Italia solo pochi mesi fa. Andando a curiosare nel passato, infatti, ho trovato interessante ricostruirne l’albero genealogico, le cui radici affondano appunto in quel poco noto marchio Hosk. Che non navigava certo nell’oro, ma aveva reclutato alcuni bravi ed entusiasti progettisti con l’ambizioso scopo di creare quello che avrebbe dovuto diventare il miglior motore bicilindrico di quel periodo. E lo fecero ispirandosi fortemente al pregevole twin a cilindri verticali con albero a camme in testa della tedesca Horex, allora molto apprezzata: un motore notevole, disponibile nelle cilindrate di 400 e 500, quest’ultimo montato sulla lussuosa Imperator.

La nuova bicilindrica Hosk era una moto costosa, ma anche altamente competitiva non solo con la Horex, ma anche con buona parte delle ambite bicilindriche britanniche. Ma ecco che la Hosk venne acquisita dalla Showa, compreso l’intero personale, che nel frattempo aveva progettato anche una versione da 650 cc del bicilindrico da mezzo litro. E nel 1960 la Showa venne a sua volta assorbita dalla Yamaha, che dunque si trovò bell’e pronto, sul classico piatto d’argento, quell’ambizioso progetto “650” mirato a creare un’unità semplice, robusta e di facile manutenzione. Progetto che nel ‘68 si concretizzò nella prima Yamaha con motore a 4 tempi mai costruita: la XS650, presentata al Tokio Motor Show del 1969.

Yamaha e i quattro tempi

Grande specialista dei motori a 2 tempi, che dominavano nel motomondiale già negli anni sessanta, la casa di Iwata aveva però deciso già da tempo di dedicarsi a motori meno inquinanti, spinta anche, e soprattutto, dalle rigorose direttive ecologiche del sempre più severo mercato statunitense, logicamente molto ambito per i costruttori orientali. La XS650, anch’essa palesemente concorrente delle top bike inglesi, venne prodotta dal 1970 al 1983. Ma nel 1976 arrivò un’altra bella moto con motore a 4 tempi, destinata a entrare nella storia del motociclismo: la mitica XT500, arrapante monocilindrica on/off prodotta fino all’81. E nel ’78 alla XT fecero seguito le gemelle SR 400 e 500: due piacevoli classiche a loro volta ispirate – ed ecco che qui il cerchio si chiude - alla sorellona XS650. La più piccola era espressamente destinata al solo mercato nipponico, per i noti motivi di patente ed assicurazione vigenti laggiù, ma nel corso degli anni venne esportata anche in altri mercati. E l’anno scorso, dopo ben 37 anni di onorato servizio, Yamaha ha deciso di introdurla anche in Europa, America (Nord e Sud) ed Oceania.

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La SR500 invece in Giappone non venne venduta, destinata com’era ad Asia ed Oceania dal 1978 al ’99, al mercato nord americano fino all’81 e all’Europa fino all’83. In Italia però se ne sono viste pochine, mentre arrivò la più sportiveggiante SRX600, spinta dal celebre “mono” della XT. Le SR erano naturalmente nate come moto facili da adoperare sotto tutti gli aspetti: ma quando il capo progetto si fratturò una caviglia nell’avviare un prototipo a pedale, fu subito chiarissimo che la facilità d’avviamento doveva diventare assolutamente prioritaria. Motorino d’avviamento, dunque? Macché: i progettisti Yamaha idearono un sistema di decompressione semi-automatico gestito da una leva collocata sul manubrio, sotto a quella della frizione, e con un piccolo oblò trasparente sulla testata. In sostanza, tenendo la leva del decompressore tirata, si spingeva lentamente la pedivella d’avviamento fino a far comparire sulla succitata finestrella un riferimento cromato saldato sull’albero a camme: a quel punto si riportava la pedivella in alto e si assestava un colpo deciso per avviare il motore. Bella rottura di scatole (opinione strettamente personale, sentitamente ispirata dal mio tendine d’Achille lesionato da una dannatamente scorbutica KTM Duke prima serie...) per una moto considerata particolarmente adatta ai meno esperti

Comunque sia, visto l’attuale tendenza al classico e relative possibilità di personalizzazione, Yamaha ha deciso di importare anche in Italia l’ancora gradevole SR400, chiaramente dotata da qualche anno di alimentazione ad iniezione elettronica per motivi di omologazione. La moto è carina, ben fatta e curata nei particolari, una vera vintage tutta metallo traslata nel futuro. Ma purtroppo il suo prezzo farà inevitabilmente storcere il naso ai più: 5.990 euro, esattamente come la stessa Yamaha XJ6, versatile quadricilindrica semicarenata da 600 cc con tanto di ABS, che ovviamente la SR non ha… Ricordiamo che Yamaha garantisce le sue moto per tre anni con la ben nota formula YES (Yamaha Extra Security): ma per le moto oltre 125 cc ed il TMax è possibile estendere la garanzia per altri due anni entro 12 mesi dalla data di immatricolazione, al costo di 99 euro.

Potenza massima 23,2 cv
Coppia massima 27 nm
Peso in ordine di marcia 174 kg
Serbatoio 12 L

 

Original Vintage

Mentre la SR500 dedicata al mercato USA vantava già nel 1978 ruote in lega e freno a disco posteriore, la 400 e la 500 per il resto del mondo erano invece dotate di ruote a raggi e freno posteriore a tamburo. E così è ancora oggi la SR400, identica a se stessa, e disponibile in nella classica veste nero lucido, con fianchetti in nero opaco e con i filetti rossi sul serbatoio e sul bordo posteriore della sella, oppure nella più attuale livrea in grigio opaco della moto da noi provata.

La monocilindrica Yamaha, insomma, è un po’ un’icona “vivente” della motocicletta come la si intendeva negli anni a cavallo tra i sessanta e i settanta: semplice, senza troppi gingilli, fatta tutta di metallo con la giusta quantità di cromo, a partire dall’impianto di scarico e dai parafanghi. E con le sempre apprezzate ruote a raggi, l’immancabile serbatoio a goccia col tappo sottochiave (cromato, of course, e con relativo sportellino a protezione della serratura), due fianchetti e un sellone biposto, parzialmente sottolineato da un elegante maniglione tubolare per l’appiglio (non certo comodissimo) del passeggero.

 

La monocilindrica Yamaha è un po’ un’icona della motocicletta come la si intendeva negli anni a cavallo tra i 60 e i 70: semplice, senza troppi gingilli, fatta tutta di metallo con la giusta quantità di cromo

Ma la classica di Iwata mantiene anche - udite, udite! – un cruscotto senza alcuna traccia di display LCD, ovvero completamente analogico. Trattasi di tachimetro e contagiri a sfondo nero, con involucri anche qui completamente cromati. Il primo ha il fondo scala a 160 km/h, e logicamente ospita i contachilometri totale e parziale classici (quelli con i numerini che girano e il pomellino per azzerare il “trip”) e le spie luminose dell’iniezione e della riserva. Gli scarti del tachimetro da noi rilevati sono i seguenti: i 50 km/h effettivi corrispondono a 54 indicati, mentre a 90 la lancetta ne indica 96. La velocità massima tachimetrica è stata di 130 km/h, corrispondenti a 121 effettivi, con la lancetta del contagiri fissa sui 6.000. Il contagiri ha la zona rossa compresa tra 7.000 a 9.500 (ma il limitatore taglia a 7.500) e ospita le spie che segnalano il folle, le luci abbaglianti accese e le “frecce” inserite.

Tra i due strumenti è alloggiato il blocchetto d’accensione: on, off, bloccasterzo, e basta. E davanti luccica un bel faro completamente cromato, ai cui supporti (come ai lati del porta targa) sono fissate le stesse enormi frecce introdotte sulle moto nipponiche mezzo secolo fa, quando il nostro Codice della Strada imponeva ancora stupidamente ai motociclisti di svoltare sporgendo il braccio…E oltretutto, chi montava le frecce rischiava pure la contravvenzione anche senza usarle, perché non erano viatate, ma tuttavia il Codice non ne contemplava la presenza! Roba da matti…

Anche i blocchetti elettrici sul manubrio (sovrastati dai classici specchietti pure cromati) e la leva del decompressore, così come la foggia vintage delle manopole, probabilmente causeranno sprazzi di nostalgia a molti biker ultracinquantenni. A sinistra figura il deviatore anabbagliante/abbagliante, affiancato dal pulsante per il lampeggio da azionare col pollice, anziché con l’indice. Sotto c’è il deviatore delle frecce, e più in basso il pulsante del clacson. A destra, invece, spicca il deviatore superiore per spegnere il motore, sotto il quale figura quello che aziona simultaneamente le frecce. Inutile che vi ostiniate a cercare il pulsante dell’avviamento elettrico, fatevene una ragione: qui la moto si avvia solo a pedale (con la dovuta malizia, s’intende…).

La SR gode anche di cavalletto centrale, molto utile quando si tribola con la pedivella, perlomeno fintanto che non si impari ad avviare con naturalezza il motore; ed è pure dotata di cassettino in plastica contenente gli attrezzi di bordo, sistemato sotto il fianchetto destro e con serratura apribile e chiudibile con la stessa chiave di accensione.

La tecnica della SR

Dunque la nostra piccola Sport Classic - unica monocilindrica della famiglia che comprende le sorellone VMax, XJR1300 e XV950 - è spinta da un semplice e sempre elegantissimo mono a 4 tempi raffreddato ad aria da 399 cc (con pistone da 87 mm di diametro e corsa di 67,2 mm), con distribuzione monoalbero in testa a due valvole e lubrificazione a carter secco, quindi con serbatoio dell’olio separato, costituito dal tubo superiore del telaio, col il tappo di rifornimento che spunta tra il serbatoio del carburante e il cannotto di sterzo. Tale soluzione, molto diffusa nei motori monocilindrici ad aria, consente dunque di eliminare la coppa dell’olio, favorendo così il posizionamento del motore nella ricerca del baricentro ottimale, oltre a ridurne le perdite di pompaggio interne. L’iniezione elettronica (che peraltro facilita l’avviamento a pedale) è asservita da una sonda lambda sistemata sulla curva del collettore di scarico. Per la versione originale, che montava un carburatore BSR33, Yamaha dichiarava 27 cv (circa 20 kW) a 7.000 giri, con una coppia massima di 2,75 kgm (circa 27 Nm) a 3.000: valore, quest’ultimo, praticamente coincidente con quello dichiarato attualmente, mentre la potenza massima è scesa a soli 23,2 cv (17,1 kW) a 6.500 giri. Va da sè che la frizione sia multidisco in bagno d’olio ed il cambio a 5 marce.

 

La lubrificazione è a carter secco, quindi con serbatoio dell’olio separato costituito dal tubo superiore del telaio. Il tappo di rifornimento spunta tra il serbatoio del carburante e il cannotto di sterzo.

Il telaio delle SR è una semplice struttura a culla chiusa in tubi tondi d’acciaio che si sdoppiano sotto al motore, e ha il cannotto inclinato di 27° e 111 mm di avancorsa, mentre l’interasse è di 1.410 mm. Passando alle sospensioni, davanti figura una forcella tradizionale con 150 mm di escursione e senza regolazioni, con gli steli da 35 mm protetti dai caratteristici soffietti di gomma. Quanto al posteriore, il semplicissimo forcellone in tubi tondi azione una coppia di ammortizzatori con 110 mm di escursione, e con 5 regolazioni di precarico delle molle. Molto vintage le ruote a raggi da 18”, composte da cerchi in lega leggera e pneumatici Metzeler Perfect ME77 da 100/90 davanti e 110/90 dietro. La frenata anteriormente è affidata ad un disco idraulico da 298 mm abbondantemente forato, abbinato ad una pinza a due pistoncini paralleli di diametro differenziato. Dietro invece, come già detto, lavora un freno a tamburo da 150 mm. Altri dati interessanti riguardano la capienza del serbatoio: 12 litri, due dei quali di riserva; l’altezza da terra della sella: 785 mm; la luce a terra di 130 mm; il peso, che Yamaha dichiara di 174 kg col pieno e che sulla nostra bilancia è risultato superiore di un solo chilo: 175 kg. Senza benzina, invece, la SR pesa circa 166 kg.

In sella alla SR

La SR400 non è certo una motona, e certamente è più adatta ad ospiti di statura media che agli spilungoni, specie viaggiando in coppia. La sella è piatta, e dopo un paio di orette di guida qualche dolorino si fa sentire, considerando anche che se si “tira” fino alla riserva mediamente andando a spasso si percorrono più di 250 km. Ma per girare in città, ambiente ovviamente molto consono alla monocilindrica Yamaha, il problema certamente non si pone. Al contrario del discorso relativo all’avviamento a pedale, che, inutile negarlo, alla lunga diventa noioso anche per chi, in un passato più o meno remoto, ci abbia tranquillamente convissuto.

A parte ciò, insomma, con la SR si va che è un piacere, vuoi perché non pesa un’enormità ed ha il baricentro e la sella abbastanza bassi, vuoi perché lo sterzo è molto favorevole: il che, unitamente a una frizione e ad un cambio quasi impeccabili e alla dolcezza del motore, non può che facilitare la vita nel traffico. Inoltre le sospensioni sono piacevolmente soffici, quindi alleviano le sofferenze sul pavé, che, pur certamente gradevole dal punto di vista estetico, quando è messo male è spesso fastidioso protagonista delle nostre strade cittadine assieme a numerosissime buche e sconnessioni. Sono piacevoli anche i freni, sia il discone davanti che il tamburo posteriore dalla buona modulabilità. Notoriamente la corsa del pedale andrà regolata manualmente nel corso del tempo, quando si riscontrerà un notevole allungamento della corsa del pedale, ma la cosa è fattibile da chiunque in pochi secondi, lavorando sull’apposito registro.

Ci si può godere un po’ di più la dolcezza di questo motore che, pur piuttosto penalizzato nelle prestazioni, sa farsi amare per la sua dolcezza di erogazione

Una volta usciti dall’urbe, ci si può godere un po’di più la dolcezza di questo motore che, pur piuttosto penalizzato nelle prestazioni, sa farsi amare per la sua dolcezza di erogazione e per le sue vibrazioni, tutto sommato più che tollerabili quando venisse voglia di tirargli il collo fino al limitatore (cosa davvero inutile), mentre andando a spasso se ne sentono poche, e non ci si fa nemmeno caso. Ovviamente le sospensioni morbide si fan sentire un po’ volendo alzare il ritmo su qualche bella stradina che invita a guidare più allegramente. Ma la ciclistica è sincera e non fa grossi capricci, e le Metzeler tengono ben più che dignitosamente, anche sul bagnato.

Chi proprio voglia muoversi in autostrada con la SR, chiaramente non potrà pretendere la luna, bensì armarsi di santa pazienza e tenere al massimo i 120 indicati. Anche perché viaggiando costantemente a tutta manetta il povero monocilindrico (quindi poco oltre i 120 effettivi), il consumo scende a livelli da maximoto. Il consumo medio lungo il nostro abituale percorso di prova è stato di 26 km/l, mentre il valore rilevato girando normalmente in città per una trentina di chilometri è stato di 18 km/l.

Pregi e difetti

Pro

  • Stile | guidabilità | dolcezza motore | frenata

Contro

  • Avviamento a pedale | assenza dell’ABS

 

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Yamaha SR 400 (2013 - 17)
Yamaha

Yamaha
Via Tinelli 67/69
20050 Gerno di Lesmo (MI) - Italia
848 580 569
https://www.yamaha-motor.eu/it/it/

  • Prezzo 5.990 €
  • Cilindrata 399 cc
  • Potenza 23 cv
  • Peso 166 kg
  • Sella 785 mm
  • Serbatoio 12 lt
Yamaha

Yamaha
Via Tinelli 67/69
20050 Gerno di Lesmo (MI) - Italia
848 580 569
https://www.yamaha-motor.eu/it/it/

Scheda tecnica Yamaha SR 400 (2013 - 17)

Cilindrata
399 cc
Cilindri
1
Categoria
Custom
Potenza
23 cv 17 kw 6.500 rpm
Peso
166 kg
Sella
785 mm
Pneumatico anteriore
90/100-18M/C 54S (Tube type)
Pneumatico posteriore
110/90-18M/C 61S (Tube type)
Inizio Fine produzione
2013 2017
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