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Le 600 supersport sono morte. Non interessano più a nessuno e non si vendono più. Quante volte l’avete sentito ripetere negli ultimi anni? Noi tante. E forse anche Yamaha. La differenza è che ad Iwata devono essersi stufati di questa marcia funebre per una delle classi più divertenti della storia – almeno nell’uso in pista – e a differenza delle concorrenti hanno deciso di mantenere in vita la loro YZF-R6 cogliendo anzi l’occasione del passaggio alle normative Euro-4 per aggiornarla.
D’altra parte, dopo tre generazioni – la prima R6 è nata nel 1998, è passata per tre generazioni crescendo costantemente nelle prestazioni e nella guida – e oltre 300.000 esemplari venduti, di cui 160.000 in Europa, forse valeva la pena di non abbandonarla. Anche perché, diversamente, la gamma “R” avrebbe avuto un buco importante fra la R3 e la R1, con un salto prestazionale non certo banale per gli amanti delle sportive che volessero restare chez Iwata.
Un’operazione a nostro avviso molto intelligente, perché se è vero che il mercato non premia più le supersportive da 600cc (con la crisi del 2008 il mercato del segmento, in cui Yamaha ha comunque sempre mantenuto una posizione di rilievo, è passato da 50.000 a 5.000 unità) è anche vero che chiunque avesse voluto comprarne una si sarebbe trovato a dover scegliere fra una serie di modelli vecchi, troppo lontani dall’evoluzione compiuta dalle sorelle maggiori della classe Superbike. Insomma, la nostra teoria – ed evidentemente anche quella di Yamaha – è che forse nessuno le comprava più perché non c’erano più moto da comprare.
Quindi, approfittando anche dell’abbandono da parte dei rivali che hanno pensato bene di dismettere le loro 600, ad Iwata hanno preso la YZF-R6 e l’hanno aggiornata lavorando sull’estetica (e il risultato a nostro avviso è da applausi a scena aperta) ma anche sulla sostanza, con un’operazione di trickle-down tech dalla sorella maggiore YZF-R1 da cui la piccola, pepatissima R6 riceve in dono molte componenti ciclistiche di pregio. Siamo volati ad Almeria, nel bel mezzo dell’Andalusia, per andare a fare la conoscenza dell’ultima delle 600. Con tantissime aspettative.
Se al primo colpo d’occhio sul frontale, magari a fari spenti, la scambiate per la MotoGP YZF-M1 non possiamo farvene (troppo) una colpa, perché la somiglianza è voluta e dichiarata tanto da poter dire senza grossi timori di smentita che esteticamente parlando la nuova R6 è un ibrido fra la MotoGP e la sorella maggiore R1, dal design della quale attinge comunque a piene mani.
Le linee sono ancora più affilate e racing del modello precedente, con un bellissimo effetto regalato dal doppio faro anteriore a LED – incastonato nella carenatura con due luci di posizione all’interno realizzate con la stessa tecnologia – che da spento praticamente sparisce, lasciando protagonista della vista frontale la presa d’aria dall’andamento identico alla M1.
Le linee della carenatura ricordano molto quelle dell’R1, con grintosissimi pannelli aerodinamici (simili a quelli del modello precedente ma rivisti nell’andamento generale e degli estrattori) che movimentano molto l’andamento generale. Anche il codino è tutto nuovo, anche in questo caso con forti somiglianze con la sorella maggiore e dimensioni assolutamente minimaliste, e l’ormai consolidata soluzione per scollegare il portatarga in pochi minuti nell’uso in circuito. Tutte le sovrastrutture sono state pensate per ottimizzare la penetrazione aerodinamica (il valore dichiarato di miglioramento è dell’8%) e la protezione del pilota – il plexiglass del cupolino è più alto del 50% – per sfruttare al meglio la potenza disponibile.
E’ arrivato l’Euro-4, dicevamo, e la R6 ha dovuto sottostare alle imposizioni delle nuove normative. Da fuori non si vede granché, soprattutto perché già la versione precedente era appesantita da un terminale di scarico decisamente poco attraente e sproporzionato alle dimensioni generali contenutissime, ma qualcosa all’interno è cambiato. E’ diverso lo scarico nell’andamento inferiore, nascosto dalla carenatura, diversi sono anche i corpi farfallati e il nuovo canister di recupero dei vapori e dei gas di scarico, per rientrare nelle normative più restrittive.
Il motore è stato semplicemente aggiornato attraverso tarature di contorno, perché la cilindrata di 599cc rimane determinata dai consueti valori di alesaggio e corsa – praticamente standard per la categoria – di 67 x 42,5mm, con distribuzione bialbero a 4 valvole e pistoni forgiati in alluminio che determinano un rapporto di compressione 13,1:1. I valori di potenza e coppia massime calano leggermente rispetto alla versione precedente, sacrificando qualcosa sull’altare delle normative: Yamaha dichiara 87,1 kW (corrispondenti a 118.4cv) a 14,500 giri e 61,7Nm di coppia a 10.500. Un po’ di prestazioni sono state però recuperate grazie ad ottimizzazioni dell’alimentazione e delle relative mappature, oltre naturalmente ad un’aspirazione decisamente più performante grazie alla nuova presa d’aria.
Le valvole di aspirazione e scarico sono in titanio, e l’alimentazione rimane a carico del sistema ride-by-wire Yamaha Chip Controlled Throttle (YCC-T) qui dotato di mappature d’apertura dell’acceleratore. Ancora presenti naturalmente le valvole parzializzatrici all’aspirazione Yamaha Chip Controlled Intake (YCC-I) e allo scarico, dove troviamo quell’EXUP nata nel lontano 1989 sulla seconda versione della FZR1000.
I carter sono in magnesio, mentre la trasmissione può contare su un cambio ravvicinato a sei rapporti, ora servito dall’inedito supporto elettronico in innesto QSS (Quick Shift System) derivato dall’R1 e dotato di frizione antisaltellamento. E sempre restando in tema motore, arriva anche il controllo di trazione (disinseribile) TCS, impostabile su sei livelli di intervento e comandabile direttamente dal manubrio. Un sistema meno sofisticato di quello governato dalla piattaforma inerziale a sei assi della sorella maggiore, che avrebbe quasi sicuramente portato ad un forte incremento del prezzo. Il sistema è disinseribile (basta tenere premuto il comando sul blocchetto sinistro dalla taratura 1) ed operabile da fermi oppure in quarta, quinta o sesta a gas costante.
Più profondo l’aggiornamento della parte ciclistica dove, al netto del telaio a doppio trave in alluminio Deltabox, che resta invariato, cambia praticamente subito. Le sospensioni arrivano pari pari dalla YZF-R1 standard (ovvero non dalla R1M, dotata di unità Ohlins a controllo elettronico) con una forcella KYB completamente regolabile a steli rovesciati da 43mm (la versione precedente si fermava a 41) con perno ruota maggiorato a 25mm e una piastra di sterzo inferiore rivista, per una maggior rigidità dell’avantreno. Cambiano anche le gomme, con un miglioramento non trascurabile: le Bridgestone S21 adottate sono sviluppate specificamente per l’R6, con un alleggerimento quantificato in 300 grammi per l’anteriore e 500 per il posteriore.
Stessa provenienza per il monoammortizzatore al posteriore, sempre KYB e naturalmente sempre completamente regolabile. E arriva anche un nuovo impianto frenante, con pinze monoblocco Tokico di derivazione R1 e dischi che passano da 310 a 320 mm all’avantreno per migliorare potenza e feeling, il tutto asservito al controllo di un sistema antibloccaggio racing.
Inedito anche il telaietto reggisella pressofuso in magnesio, più stretto di 20mm nella zona anteriore per addolcire il raccordo con il serbatoio in alluminio (ricavato per saldatura Cold Metal Transfer, CMT, e dunque più leggero di 1,2kg) e determinare una posizione di guida più efficace nella guida di corpo. Tutta nuova anche la strumentazione, sempre mista contagiri analogico/cruscottino digitale e con display multifunzione adeguato alle nuove funzionalità da gestire attraverso la parte elettronica.
La Yamaha YZF-R6 arriverà in concessionaria ad aprile a 13.990 euro f.c. nelle due colorazioni Race Blu e Tech Black. Come annunciato da Yamaha, sono diversi gli optional per… recuperare le prestazioni perdute, soprattutto considerando che buona parte della clientela la comprerà per utilizzarla in circuito.
Si parte dai coperchi che sostituiscono specchietti e lampeggiatori, al registro remoto per il freno anteriore. C’è un plexi fumé, ovviamente un coprisella per il passeggero in tinta con la carrozzeria, le protezioni per il telaio, le pedane arretrate (che permettono di implementare il cambio rovesciato), leve manubrio in alluminio regolabili, e tutto il sistema CCU/Y-TRAC per l’acquisizione dati come sulla YZF-R1M. E non potevano mancare gli scarichi, con tre diverse proposte da Akrapovič che partono dal silenziatore omologato e arrivano all’unità completa passando per uno slip-on con dB killer per il doppio uso strada/pista.
Per chi vuole correrci ci sono naturalmente i kit gara, con parti motore e ciclistica acquistabili separatamente oppure riunite in due pacchetti, denominati WSS (World SuperSport) oppure semplicemente Race Kit. Il primo è dedicato a chi vuole correre ad alto livello nei campionati SuperSport e SuperStock, tanto che l’elettronica non prevede l’ABS né il controllo di trazione che verrebbe comunque rimpiazzato, dove consentito, da unità più professionali. Il secondo è destinato agli amatori da prove libere e a chi corre nelle serie minori, mantenendo ad esempio il controllo di trazione di serie.
Completano poi l’offerta una serie di optional facoltativi come le carenature racing, protezioni per leve freno e corona/catena, e naturalmente kit sospensioni Ohlins di diversi livelli.
Ma perché le Case non fanno più le 600? La risposta è scontata, ma la domanda sorge spontanea appena scendiamo di sella dopo un turno sulla YZF-R6. E’ passato un po’ di tempo da quando abbiamo provato per l’ultima volta una sportiva di questa categoria, e tornare a gustare l’agilità che una Supersport sa regalare, il piacere di far urlare il motore a regimi stratosferici aggrediscono i sensi e lasciano un bel senso di euforia. Soprattutto perché quando si scende dalla R6 di quest’anno si pensa subito che tanto tempo non è passato invano.
Partiamo dall’inizio. La posizione di guida è cattiva, sportivissima, tutta carica sul manubrio e con pedane alte e ben arretrate – quello che serve per andare forte. Ci mettiamo un po’ a riprendere i riferimenti alla 600 e al tracciato di Almeria, tecnico ed insidioso, ma la R6 ci convince praticamente subito. Il colpo d’occhio sulla strumentazione è immediato, grazie ad un contagiri analogico immediato nella lettura e ad un quadrante digitale affollato ma facile da interpretare. E tutti i comandi, al manubrio e a pedale, sono morbidi e precisi.
Non sappiamo quanto sia efficace la nuova sella – servirebbe un confronto diretto con la versione precedente – fatto sta però che guidare di corpo viene subito naturale, con movimenti fluidi e precisi, grazie ad una triangolazione studiata apposta per andare forte. Non possiamo esprimerci sul comportamento stradale, ma se meditate l’acquisto di una R6 senza l’idea di andarci in pista non immaginatevi gite tranquille perché la piccola Yamaha è pensata per un solo utilizzo, su strada o in circuito che sia.
Il motore gira tondo e fluido fin dai bassi regimi. Sotto i 10.000 la spinta non è certo eclatante, ma la nuova R6 ha perso un po’ di quel carattere duetempistico dei modelli precedenti: ora l’erogazione è pulita e regolare, con una risposta precisa e una discreta coppia. Facendo riferimento ai 10.000 sopra citati come inizio della zona divertente, la spinta è di quelle che esaltano; verso i 14.500 la R6 sembra finire il fiato, poi per magia si alzano i cornetti dell’aspirazione e arriva un altro impulso che si spegne solo attorno ai 16.000.
Spinge come la vecchia? No, le sensazioni confermano la perdita di qualcosa in alto e nella “schiena” ai medi regimi, anche se ce n’è più che a sufficienza per divertirsi e non poco. Bisogna imparare (o reimparare) a girare tondi e a far scorrere tanto la moto, per sfruttare le doti di percorrenza dell’R6, che un po’ per la già citata regolarità dell’erogazione e un po’ perché è arrivato il traction control, permette in uscita di curva di spalancare senza ritegno anche da molto piegati. Piuttosto, ci piacerebbe poter accorciare un po’ il rapporto finale, perché così com’è ci sembra un po’ troppo lungo. Scopriremo dopo che invece è quello giusto, se si “mette giù” l’R6 per come è stata pensata.
Quello che però l’R6 ha perso a livello di motore lo ha riguadagnato con gli interessi nel comparto ciclistico. Presa confidenza con i micidiali saliscendi e curve cieche di Almeria, iniziamo un po’ a forzare e scopriamo nella nuova ciclistica della Yamaha una magica sintesi fra agilità e stabilità. Sembra di avere l’avantreno di una 1000 su una supersport.
L’R6 non ha mai difettato di agilità, se mai, soprattutto nei primi modelli con l’anteriore /60, peccava un po’ in termini di confidenza e precisione. Con il passare dei model year è maturata, e il modello antecedente all’attuale era già un capolavoro di equilibrio, ma qui siamo andati ancora oltre. L’arrivo della nuova forcella, con il corollario della piastra inferiore e del perno ruota maggiorato hanno regalato una rigidità ed una comunicativa incredibili al “davanti” dell’R6 2017, capace di fare cose turche. In staccata il nuovo impianto frenante è poderoso (e l’ABS non intrusivo) e l’assetto consente di infilarsi in curva con precisione chirurgica: basta essere convinti della traiettoria da seguire e il gioco è fatto. E in percorrenza corre con una sicurezza degna di una vera moto da gara, complici le Bridgestone R10 con cui Yamaha l’ha equipaggiata per questo test.
Il controllo di trazione non è sofisticatissimo nell’intervento ma nemmeno troppo intrusivo: ai livelli più bassi, dal 3 in giù se ne percepisce l’intervento solo a gomme ormai finite, quando si apre e si fa poca strada. In fondo meglio così; se ci si sente in vena di eroismi è sempre possibile disattivarlo e contare sulla sensibilità del proprio polso destro. Diverso il discorso D-Mode, che su una 600 è di utilità limitata. L’erogazione Standard ci sembra quella migliore, la B probabilmente la useremmo solo in caso di fondi viscidi. La A, come spesso accade, è divertente ma poco redditizia. Solo lodi, invece, per il quickshifter: complice un cambio quasi perfetto è rapido e preciso nel funzionamento, ed è di grande aiuto quando è necessario cambiare marcia in percorrenza di curva.
Per ultimo, Yamaha ci fa un graditissimo regalo: un turno in sella alla YZF-R6 equipaggiata con il Race Kit, composto da scarico completo, aspirazione più libera, centralina ritarata ed elettronica più sofisticata. ABS e Traction Control spariscono, in compenso spariscono anche 12kg e arrivano una decina di cavalli in più ben distribuiti su tutta la curva d’erogazione, oltre ad un urlo agli alti da pelle d’oca.
Dopo un paio di giri ci si accende una luce nel cervello: la nuova R6 è stata pensata per essere così. La rapportatura che ci sembrava troppo lunga inizia ad avere senso, la ciclistica diventa ancora più precisa ed efficace – le sospensioni sono tarate alla stessa maniera della moto di serie che stiamo provando, ma sembrano più rigide, soprattutto al retrotreno, per la maggior leggerezza.
Così preparata la YZF diventa ancora più rigorosa nel chiudere le traiettorie, volta più stretta e il motore guadagna in schiena e cattiveria, tanto da farci vedere differenze di quasi 20km/h in fondo al rettilineo di ritorno. In staccata, il blipper di cui è dotata diventa un accessorio utilissimo, perché si arriva ben più forte al riferimento della frenata ma, grazie al minor peso, ci si ferma ancora più forte (perdonateci l’ossimoro) ed è necessario essere precisi e veloci nella gestione delle scalate.
Come sulla moto di serie, lode all’impianto frenante, capace di resistere ad una giornata di abusi senza allungare di un millimetro la corsa della leva. Se solo la si potesse omologare così. Difetti? Ci hanno concesso solo un turno…
La risposta è al tempo stesso semplice e complessa: è per chiunque cerchi una 600 supersportiva, perché al momento non ci sono praticamente alternative. Proviamo ad elaborare il concetto: piacerà di sicuro a chi ama la guida sportiva, più in pista che su strada, e non si fa ammaliare dalle sirene delle superpotenze preferendo guidabilità e gusto nella traiettoria rotonda, pennellata. Piacerà a chi vuole una moto che non lo distrugga fisicamente dopo qualche giro come fanno le 1000 attuali, e a chi desidera una moto da guidare, sfruttandone il potenziale in una percentuale sicuramente molto superiore rispetto a quanto non sia possibile con le moto della classe superiore.
La nuova R6 è forse poco adatta all'uso stradale, ma non possiamo certo dire che le maxi lo siano in maggior misura. In compenso, regala emozioni che avevamo un po' dimenticato con la progressiva dismissione della categoria Supersport: l'urlo del motore agli alti regimi fa venire la pelle d'oca, e l'agilità tipica delle 600 unita al nuovo avantreno la rende un'arma letale nella guida sportiva. Lo sappiamo, 13.990 euro sono un sacco di soldi, e con poco di più ci si porta a casa una maxi usata in ottime condizioni.
Per tutti i motivi sopra citati, però, crediamo davvero che la R6 meriti di essere presa in seria considerazione, soprattutto se avete intenzione di portarla in circuito, perché la gratificazione che sa dare una 600 supersport così azzeccata nella ciclistica è uno dei grandi piaceri della vita. Se poi potete permettervi il kit gara, non pensateci due volte. Andate a provarla: Yamaha ha in programma una serie di date per il mese di maggio sui circuiti di Vallelunga, Mugello e Franciacorta proprio per far conoscere la propria gamma R. Non ve ne pentirete.
Maggiori informazioni:
Moto: Yamaha YZF-R6 2017
Meteo: Sole, 18°
Luogo: Almeria (Spagna)
Terreno: pista
Foto: Alessio Barbanti
Sono stati utilizzati:
Casco Shark Race-R Pro Carbon
Tuta Alpinestars GP Pro for Tech Air
Guanti Alpinestars GP Tech
Stivali Alpinestars SuperTech R
Yamaha
Via Tinelli 67/69
20050 Gerno di Lesmo
(MI) - Italia
848 580 569
https://www.yamaha-motor.eu/it/it/
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