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Provate ad immaginarvi questa scena. Siamo all’inizio di questo millennio, e facciamo finta che i grandi petrolieri americani non abbiano fatto lobby decretando la fine della propulsione elettrica all’inizio del 1900. La propulsione elettrica è diventata lo standard per la mobilità di ogni genere. D’improvviso salta fuori qualcuno che propone una nuova, rivoluzionaria idea. “Ehi, ragazzi, sentite questa. Ho inventato un motore tutto nuovo: fa rumore, inquina, vibra, si basa su un combustibile non rinnovabile che ci metterà nelle mani di pochi Paesi in cui lo si estrae. Ma vi assicuro, è fantastico…”
Certo, facile parlare così, soprattutto in California, dove il clima siccitoso ha reso una necessità il diffondersi dell’infrastruttura di rifornimento e l’incentivare il passaggio alla propulsione elettrica. Ma se – facezie a parte – Scot Harden, il Direttore Marketing di Zero Motorcycles, una carriera da pilota lunga quarant’anni e un posto nell’AMA Hall of Fame, giura sul fatto che le moto elettriche abbiano qualcosa in più e non qualcosa in meno rispetto a quelle a propulsione endotermica, vale la pena di fermarsi a riflettere.
Ci siamo quindi accostati alle novità 2016 di Zero Motorcycles con mente aperta, perché se invece dei soliti giri di parole per giustificare compromessi di autonomia e rifornimento i ragazzi di Zero hanno insistito sul fatto che le loro moto siano più divertenti di quelle tradizionali, valeva la pena di indagare senza preconcetti. Possiamo dire che ci abbiano in gran parte convinto, e anche se le DSR ed FXS che abbiamo provato probabilmente non saranno le moto ideali per tutti i motociclisti, a differenza di quanto abbiamo pensato fino ad oggi la percentuale di appassionati che potrebbero vivere felici con loro senza rimpiangere il motore a scoppio è comunque piuttosto rilevante. Andiamo a scoprire perché.
La Zero DSR è la versione “pompata” della DS, la entrofuoristrada della Casa di Santa Cruz – il suo motore Z-Force, completamente riprogettato da zero – scusate il gioco di parole – nel 2013 è dotato di magneti che lavorano a temperature maggiori per offrire il 56% di coppia e il 25% di potenza in più, con un’autonomia comunque più che rispettabile soprattutto per gli standard elettrici.
Il propulsore, dicevamo, è un’unità a magneti permanenti pensata per essere prestante e compatto a flusso radiale sigillato. A differenza dell’unità precedente, sviluppata esternamente dall’indiana Agni Motors, la nuova Z-Force introdotta in gamma è pensata completamente in casa, anche se – come Apple, per citare una vicina – realizzata all'estero per questioni di contenimento dei costi.
Il nuovo schema, a differenza del precedente a flusso assiale, colloca i magneti permanenti nel rotore mentre le bobine, ovvero le componenti che si scaldano di più, sono ospitate in posizione periferica, dove è possibile raffreddarle in maniera molto più efficiente grazie alla struttura circolare in alluminio ad alettatura differenziata che le ospita. Il raffreddamento ad aria è completamente passivo – non c’è traccia di ventole o di prese d’aria per convogliare l’aria a moto in movimento.
L’unità – non viene mai chiamata engine, ovvero motore, dai tecnici Zero – è anche dotata di un sistema di recupero dell’energia cinetica ma soprattutto del pacco batterie Power Pack ZF13.0, che aumenta l’autonomia a livelli inconsueti per una moto elettrica: i dati autonomia dichiarati parlano di un massimo di 237 km fino ad un minimo di 113, se usate la moto costantemente in autostrada.
E visto che uno dei problemi di questi tipi di propulsori sta nella vita utile della batteria, già che c’erano in Zero hanno pensato di risolvere anche quello offrendo una durata (coperta da garanzia) di 533.000km prima che gli accumulatori offrano solo l’80% della carica. Avete letto bene: consumerete prima la moto delle batterie, eliminando uno dei fattori di costo più importanti nei mezzi elettrici, ovvero la sostituzione e lo smaltimento degli accumulatori.
Se tutto questo non vi bastasse, c’è pure il Power Tank, optional che si può aggiungere in qualsiasi momento, studiato per portare la capacità della batteria a 15,9 kWh, dato che in termini più comprensibili si traduce in 238 km di autonomia massima, 138 di minima e una vita utile della batteria pari a 650.000 km. Il tutto, ci pare interessante sottolinearlo, senza manutenzione di alcun tipo.
Le prestazioni che ne derivano sono a dire poco interessanti anche per i più scettici. Zero dichiara per la DSR un tempo in accelerazione sullo 0-60 miglia all’ora (corrispondente grossomodo al nostro 0-100) di soli 3”9, ottenuto non tanto grazie alla potenza, quanto alla coppia taurina di 144 Nm: tanto per darvi un’idea, la Moto Guzzi California 1400 si ferma a 120 Nm... Naturalmente l’accelerazione è tanto più impressionante in quanto ottenuta da una moto a trasmissione in presa diretta, senza frizione, con finale a cinghia.
La ciclistica è decisamente più tradizionale, nel senso che il telaio è un doppio trave in alluminio con quote studiate per abbassare il baricentro il più possibile; il comparto sospensioni è affidato a Showa. Le unità ammortizzanti sono state sviluppate in stretta collaborazione fra l’azienda giapponese e la Casa californiana, che ha scelto una forcella rovesciata da 41mm e un monoammortizzatore con serbatoio separato, entrambi naturalmente completamente regolabili.
L’impianto frenante conta su dischi (da 320 mm all’avantreno, da 240 al retrotreno) e pinze asimmetriche a doppio pistoncino J.Juan, controllate dall’ABS Bosch MP9. Le gomme di primo equipaggiamento sono Pirelli MT60.
In materia di sovrastrutture notiamo plastiche ben rifinite, con l’intelligente soluzione del falso serbatoio che ospita un pozzetto portaoggetti piuttosto capiente, sostituibile con gli optional Power Tank o Charge Tank se si desidera porre rimedio alle questioni di autonomia.
Il cruscotto è un’unità completamente digitale con tachimetro, stato di carica della batteria, potenza e coppia erogate (o recuperate in frenata) e riding mode selezionato: ce ne sono tre, di cui due, Sport ed Eco, sono naturalmente agli antipodi, ed offrono rispettivamente il massimo delle prestazioni e dell’autonomia; il terzo, Custom, è completamente programmabile dall’utente attraverso l'immancabile App disponibile per iOS ed Android.
Attraverso quest’ultima è infatti possibile definire il livello di coppia erogata, l’eventuale limitazione alla velocità massima, la quantità di energia da recuperare in frenata e l’entità del freno motore, creandovi un riding mode completamente personalizzato. La sincronizzazione è molto facile (avviene via Bluetooth) e permette di trasformare il telefono in un cruscotto aggiuntivo che offre informazioni più dettagliate su tutto quello che avviene sulla moto, e vi permette anche di mandare queste informazioni in assistenza, in caso di problemi o malfunzionamenti.
Salire in sella alla DSR è un’esperienza abbastanza convenzionale: a parte l’assenza della leva frizione, non si percepiscono sostanziali differenze rispetto alle moto a cui siamo abituati. I comandi dei freni si trovano tutti sul lato destro della moto, la posizione è comoda e naturale, e la visuale è perfetta, non avendo alcun ostacolo a frapporsi fra voi e la strada – un pregio nella guida brillante, ma anche una mancanza quando, con temperature meno favorevoli rispetto a quelle californiane, si desidererebbe un po’ di protezione aerodinamica in più.
Prima di partire è necessario “armare” la DSR. Dopo aver girato la chiave ed aver assistito alla procedura di check del cruscotto, si utilizza l’interruttore di massa sul blocchetto destro per abilitare l’acceleratore. Da questo momento, la DSR si guida come una “normale” moto con cambio automatico.
Una volta fatta l’abitudine al silenzio che ci circonda – la trasmissione finale a cinghia in fibra di carbonio è praticamente inavvertibile acusticamente – si inizia a godere di un motore dolcissimo, con un acceleratore perfettamente calibrato. L’esperienza è esattamente quella che si ha in sella ad una moto spinta da un propulsore endotermico, ma senza rumore, calore al semaforo, vibrazioni. La cosa ha però anche un lato negativo: gli altri utenti della strada non vi sentono, e vale la pena di usare il clacson per avvertire della propria presenza. Anche qui in California, dove auto e moto elettriche sono ben più comuni che non in Italia.
L’acceleratore, dicevamo. Dolce e dosabile, gestisce un propulsore dotato di una coppia taurina: ad apertura decisa corrisponde una spinta dolce, progressiva ma davvero impressionante, capace di proiettarvi in avanti con grande rapidità senza picchi o buchi nell’erogazione. Le cifre sul tachimetro salgono con piacevole rapidità, e vi proiettano alla curva successiva senza drammi o tachicardie indesiderate: la spinta, per qualità e quantità, è paragonabile a quella di un bicilindrico sportivo di grossa cilindrata, perlomeno con la mappa “Sport”, naturalmente.
Se è vero che il silenzio toglie qualcosa nel gusto nella guida sportiva, è altrettanto vero però che rende più facile concentrarsi, attenua il senso di velocità ed amplifica i messaggi che arrivano da gomme e sospensioni, e la condotta brillante è davvero divertente. Ed è interessante notare come l’assenza di freno motore – la mappa sport lo rende praticamente nullo – che all’inizio sconcerta noi ormai non più abituati ai vecchi due tempi, sia invece l’ideale su una moto capace di regalare tanto feedback.
il silenzio toglie qualcosa nel gusto nella guida sportiva, ma amplifica i messaggi che arrivano da gomme e sospensioni
La ciclistica è agile e armonica, con un mix di maneggevolezza e stabilità difficile da trovare su una moto convenzionale. L’assenza di parti in moto alterno, di vibrazioni e di masse che generino inerzie giroscopiche, fa si che la DSR riesca a coniugare due caratteristiche normalmente antitetiche con una naturalezza onestamente sorprendente. Merito anche di sospensioni che, nonostante una taratura più sostenuta di quanto non ci aspettassimo, copiano bene le asperità dell’asfalto e mantengono sempre le ruote incollate a terra. Buono anche il comportamento delle gomme Pirelli MT60, che si lasciano scappare solo qualche “tremolio” di troppo dovuto alla tassellatura, che peraltro, come abbiamo notato in una breve escursione su una strada sterrata, consente di affrontare qualche tratto senza asfalto.
Dove invece si potrebbe migliorare un po’ è nell’impianto frenante: la potenza c’è, il feeling un po’ meno. Il comando alla leva è un po’ spugnoso, manca di quel senso di precisione, affilatezza e mordente iniziale che diamo ormai un po’ per scontati. Inoltre, anche se va sottolineato come tutte le nostre moto fossero poco più che… cucciole, con percorrenze davvero ridottissime, abbiamo notato alcune differenze fra diversi esemplari, e qualche disco ha iniziato a fischiare già dopo qualche ora di uso intenso.
Parliamo di medie percorrenze: al netto dell’assenza di riparo aerodinamico, la caratteristica più evidente è come la mancanza di vibrazioni e rumore impattino positivamente sul comfort. La nostra prova si è svolta su due “tronconi”, mattina e pomeriggio, intervallati dal test della FXS che leggerete successivamente, di circa 100 km l’uno, tutti su un misto extraurbano; onestamente ci sono sembrati quasi la metà in termini di impegno psicofisico. E vale la pena di segnalare come, pur con una ricarica prudenziale durante il break, ci siamo presentati all’appuntamento per il pranzo con circa mezzo… serbatoio nonostante non disponessimo del Power Tank e non avessimo tenuto ritmi particolarmente prudenti.
Non è facile identificare l’acquirente tipo di un mezzo elettrico, ma per la prima volta, con questa proposta di Zero Motorcycles, ci sentiamo abbastanza sicuri del fatto che la clientela-tipo si avvicini abbastanza a quella tradizionale. Pur con tutti i limiti attuali della tecnologia elettrica in termini di tempi di ricarica, la DSR è una moto matura e perfettamente in grado di sostituire una enduro tradizionale in buona parte degli impieghi.
Certo, serve una mente aperta e la giusta disponibilità economica e logistica: è una proposta perfetta per chi ha… la strada giusta dietro casa, o per chi vuole farci il tragitto casa-lavoro tutti i giorni e qualche uscita nel weekend, ma non si spaventa all’idea di una pausa pranzo piuttosto lunga; ma evidentemente non è proponibile per chi viaggia al ritmo di 4/500 km al giorno. Anche se, lo diciamo per dovere di cronaca, negli USA c’è chi con una Zero S ci ha fatto l’Iron Butt Rally portandosi dietro qualche accumulatore di scorta ed evitando le arterie principali per risparmiare tensione.
Il prezzo, direte voi – chi ce lo fa fare di spendere più soldi per una moto che offre qualcosa in meno rispetto ad una proposta convenzionale? Iniziamo dallo smontare il discorso prezzo: è vero, la DSR costa tanto, perché si parte da 18.290 euro a cui vanno aggiunti gli eventuali optional – power tank o charge tank. Siamo decisamente in fasce di prezzo da top di gamma bicilindrico o plurifrazionato, ma il dato è falsato: basta considerare un paio d’anni di vita – nei quali non si paga la benzina né soprattutto manutenzione di sorta – e il prezzo appare molto più contenuto, soprattutto perché è possibile ricaricare la DSR semplicemente collegandola alla rete di casa, senza dover per forza sottoscrivere abbonamenti (qui da noi ancora troppo costosi) a reti di ricarica peraltro ancora poco diffuse.
Veniamo alla seconda parte del discorso, ovvero l’assunto che la moto elettrica debba avere qualcosa in meno rispetto a quella tradizionale. Ci piace il rumore di scarico di una moto ad alte prestazioni? Certo, come a qualunque motociclista di sangue caldo. Ci piace un po’ meno sentirlo per tutta una giornata, e francamente facciamo volentieri a meno delle vibrazioni che accompagnano qualunque propulsore, per raffinato che sia. E vi assicuriamo che dopo aver provato quanta sensibilità offra l’assenza di rumore e vibrazioni nella guida brillante ci piacerebbe moltissimo assaporare la stessa esperienza anche su una supersportiva in circuito – tutto questo per dire che l’idea che la propulsione elettrica abbia qualcosa in meno rispetto a quella tradizionale non è necessariamente condivisibile.
E’ presto per passare all’elettrico? Per molti forse si, perché è ancora necessaria una certa regolarità e prevedibilità nell’uso della moto che non tutti si possono permettere. Ma permetteteci di ripeterlo: la Zero DSR è la prima moto elettrica che ci ha convinto, senza se e senza ma, che la propulsione alternativa ha un futuro anche per le due ruote. Siamo sicuri che, fra voi, c’è chi potrebbe vivere felicissimo in sella ad una Zero, chiedendosi come ha fatto per tutti questi anni…
Sono stati utilizzati:
Casco Suomy SR Sport
Pantaloni Arlen Ness Steel
Giacca Macna Mission
Scarpe Alpinestars Faster
Guanti Alpinestars
Maggiori info:
Moto: Zero Motorcycles DSR
Meteo: sole 20°
Luogo: Santa Cruz, California
Terreno: Urbano, extraurbano, misto di montagna
Foto: Joe Salas (4theriders), Andrew Wheeler
Video: Theo Dilworth – AllOut Productions