Rewind ricorda Lucky in una gara sconfitto da un giornalista. Allora era il re incontrastato del monomarca Ducati. Max Temporali, protagonista della vicenda, racconta il “bello” di Lucchinelli
1998. Provate a mettervi nei panni di un ragazzo di 24 anni, che ha passato le sue notti a sognare di diventare “bravo” in moto e che è cresciuto negli anni ’80 col mito di Marco Lucchinelli. Già il fatto di correre insieme a un campione c’è da leccarsi le punte delle dita. Se poi il giovanotto mette in riga il Lucky… la sensazione è così forte che la si conserva per una vita. Come vincere un mondiale. Credo…
LA 900 SS DEL TROFEO DUCATI
Al tempo veniva organizzato da Claudio Pacifici un Trofeo veramente intelligente, in cui le moto erano di sua proprietà e lui si occupava anche della gestione. Si correva con le Ducati 900 SS, moto “facili”, con motore ad aria, un centinaio di cavalli e un telaio molto rigido e alto. Le moto venivano date a sorteggio dall’organizzazione, ti presentavi il venerdì mattina con tuta e casco e non dovevi preoccuparti di nient’altro. Non ricordo quante prove fossero state corse quell’anno prima che mi presentassi io come ospite, ma ho la certezza che le vinse tutte quante Marco Lucchinelli. Aveva 43 anni, era un pilota in pensione. Ma si divertiva ancora a girare il gas, senza badare al proprio titolo mondiale. In fin dei conti non sono molti i piloti della sua caratura che ho visto mettersi in gioco nel dopo carriera per la pura passione della motocicletta: se perdi, lo stomaco brucia comunque più forte.
Lucky all’interno, io all’esterno, appaiato. In uscita mi spinse verso l’erba, ci toccammo. Bastardo lui, incosciente io. Non mollai il gas, dentro la terza, Lucky mi costrinse a stare a filo tra erba e asfalto
La moto ricordo che era strana da guidare, gommata Metzeler con materiale non propriamente racing e montava un posteriore piccolo rispetto alle misure del cerchio. Un po’ per quello, un po’ per l’altezza della moto e un po’ per la rigidità del monoammortizzatore, toccare col ginocchio in curva era una missione. Ricordo che alla Seconda Curva del Carro, un tratto che si faceva in accelerazione, con marcia morbida e orecchie a terra, nelle libere del venerdì, mi partì da sotto al sedere: pata-pam, la prima scivolata! Nelle qualifiche invece Lucky fece la pole, l’unico a scendere sotto al muro del “30” sul Misano vecchio (e corto, ndr). Terzo io, a mezzo secondo. La domenica avevo la “strizza” di chi avrebbe venduto sua madre pur di vincere la corsa, ma ero allo stesso tempo orgoglioso che il mio idolo fosse ancora una volta davanti a tutti.
IL LUCKY BASTARDO ALLE ULTIME CURVE
Dalla prima curva dopo la luce verde, fu una bagarre educata a tre, con Morigi a vivacizzare il gioco. Ma la parte eccitante arrivò a tre giri dalla fine, quando caddero le prime gocce d’acqua sul cupolino. “Azz.. !!!”, l’avrò ripetuto una dozzina di volte a denti stretti quella parolaccia, con gli occhi sgranati fuori della visiera del casco. Destino ingiusto. Le condizioni peggiori per correre. Non sai più quanto tiene l’asfalto, sei consapevole che diventa una roulette russa. Le strategie vanno a farsi benedire. Lucky era un mastino, non mollava, anzi, diventava più forte. Che bello vederlo lì a fianco… Fuori dal Tramonto, piegone a sinistra in accelerazione ed equilibrio precario; giù verso la Quercia, curva a destra, rotonda, da seconda. Lì non ero più io che guidavo, era un altro al posto mio che si stava giocando la vita alle ultime due curve. Lucky all’interno, io all’esterno, appaiato. In uscita mi spinse verso l’erba, ci toccammo. Bastardo lui, incosciente io. Non mollai il gas, dentro la terza, Lucky mi costrinse a stare a filo tra erba e asfalto. Non rientrammo nella traiettoria a destra per impostare l’inserimento della Brutapela (doppia curva a sinistra). Eravamo entrambi sulla linea sbagliata, ma stavolta io ero all’interno. Mi chiuse la porta, ma ebbi fortuna ed entrai per primo rimanendo in piedi. Lì non sai più cosa succede, ti muovi a caso e come va, va. Percorsi in qualche maniera l’ultima traiettoria, uscii largo sul cordolo bagnato, senza trazione, ma ero davanti a tutti e Lucchinelli dietro. Una volata a due, l’incoscienza e il non controllo mi regalarono questa sacro santissima vittoria. La sua esperienza lo portò a giocare d’astuzia, con qualche sgambetto, ma senza i miei rischi. Anche adesso a raccontarlo ho il fiatone, mi sembra di averla ripetuta quella corsa.
LA LIBIDINE DI ARRIVARGLI DAVANTI
Il ricordo del podio, con Lucky che mi alza il braccio in segno di trionfo, un gesto sincero. Bello bello bello. E io, via dritto fra chi gode in paradiso. Con quella botta di fortuna (lo dico senza falsa modestia, sarei dovuto cadere per quel che ho combinato…) mi sono guadagnato il suo “rispetto” e, ancora oggi, capita che mi dica candidamente appoggiandomi una mano sulla spalla: “Sei l’unico giornalista che è stato capace di starmi davanti ! Mi sono fatto operare anche al tunnel carpale dopo quella gara…!”. Già, lui che ai tempi diceva peste e corna dei giornalisti… Per una botta di culo ho salvato la categoria. Ma ogni volta che il mito accenna al ricordo, me la godo e apro la coda come un pavone davanti ai presenti.
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