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E’ da un pezzo che voglio parlare di Alex De Angelis, la classifica della sua prima gara in pista ce l’ho sulla scrivania da mesi e credo sia emblematica per il curriculum di Alex. Vi spiego il perché.
De Angelis, 26 anni, di San Marino fin dalla nascita, inizia con le minimoto e disputa la sua prima corsa in pista “grande” il 24 maggio del 1998. In quell’anno Piaggio organizzava un trofeo monomarca dedicato al Gilera Runner 180, dall’aspetto sportivo, ma scarsa vocazione pistaiola…
Alla prima gara, a Varano de Melegari, c’erano una ventina di partecipanti, fra cui “piloti di moto” affermati in ambito nazionale, come Marco Dall’Aglio e Andrea Perselli, oltre a una giovanissima Ilaria Cheli. Per me, che con gli scooter non c’entravo nulla, ma ero lì a correre su invito nei panni di “giornalaio”, erano loro i più temibili, ma sbagliavo: i due ragazzini più giovani del gruppo, i fratelli De Angelis, Alex e William, andavano come lepri.
Alex era il più piccino, aveva 14 anni, un fisico sottile da bambino e una statura che non gli permetteva di toccare a terra con tutti e due i piedi quando era in sella al Runner 180. Faceva tenerezza. In realtà, questo pilotino, che per la prima volta vedeva la pista di Varano e il suo Gilera Runner, impressionò tutti quanti. La pole la fece il fratello William, poi c’ero io a 8 millesimi di secondo e a poco più di 2 decimi, appunto, l’altro De Angelis, quello “buono”. Avevano le idee chiare, i fratellini, il gas glielo davano, tenendo dietro gente ben più esperta di loro, compresi gli specialisti dello scooter. Ma in gara le cose cambiano, si sa, bisogna saper controllare di più i propri limiti, interpretare la corsa, i sorpassi, perché se si sbaglia, il week end è da buttare. Alex completò soltanto i primi 2 giri, poi finì per terra. Le condizioni dell’asfalto erano particolari, aveva piovuto alla mattina, ci voleva un po’ di esperienza per fare bene. Capita l’errore, specie quando si è così giovani.
Ma da qui partì la carriera di un De Angelis che, ahimé, negli anni successivi, si trovò spesso ad affrontare gare “replica” di questa: velocissimo in prova, con caduta in gara per eccesso di foga. Da quel 1998, oggi ha collezionato 179 gran premi mondiali, in cui ha totalizzato 10 pole position e 36 podi, con sole 2 vittorie (in 250, con un pizzico di fortuna, e in Moto 2) oltre a un 2° posto in MotoGP ottenuto a Indianapolis. Non si può certo dire che Alex non sia un pilota veloce, ma da qui a diventare campione del mondo manca un pezzo, gli occorre, forse, quel po’ di maturità in più che permette di trovare l’autocontrollo, i “freni” per il momento giusto.
Ma forse quell’ultimo passo l’ha compiuto proprio dopo il maledetto 5 settembre, al GP di Misano. Si trovò
coinvolto nell’incidente mortale di Shoya Tomizawa. Lì l’ho visto toccare il fondo, come uomo, distrutto moralmente, coinvolto in una situazione che l’ha consumato, portato a riflettere in profondità. L’annata nera è sua: prima una stagione in cui la sua squadra ha chiuso i battenti per problemi economici, di conseguenza uno stipendio sfumato, poi le numerose cadute e le ferite, fino al giorno più drammatico, credo io, della sua vita e di quella del pilota giapponese. Lui che ha sempre avuto una certa baldanza e determinazione nell’affrontare la vita e le moto, tipica dei ventenni, oggi è maturato, è uomo, con e senza casco. L’ha ripreso a braccetto Carlo Pernat, per continuare il lavoro da dove l’avevano lasciato. Perché oggi Alex è davvero un’altra persona. Da Misano in poi, parlano i risultati, c’è persino un trionfo: è pronto a vincere la Moto 2 nel 2011, ne sono sicuro. Perché se un ragazzino di 14 anni va forte al primo colpo, non è per caso.
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