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Il circuito belga di Spa-Francorchamps - da anni bandito alle moto ma patrimonio della F1 di oggi - sta conoscendo in questi giorni una delle pagine più tristi della sua storia: il mitico chalet che da trentasei anni era piazzato in cima alla celebre curva Eau Rouge-Raidillon è stato infatti demolito. Offriva una visuale unica ed eccezionale ai più fortunati tra gli spettatori ed era un dettaglio inconfondibile sullo sfondo di molte fotografie scattate in gara.
La scelta è stata dettata dalla ricerca di migliori standard di sicurezza: gli interventi programmati (spazio di fuga ed una tribuna da 13.000 posti, più arretrata) renderanno meno pericolosa una serie di curve emozionante ma spesso micidiale, come testimoniano i gravi incidenti avvenuti negli ultimi anni, in particolare con la morte di Anthoine Hubert nella gara di Formula 2 nel 2019.
Gli appassionati di auto ricorderanno altri drammi: la morte di Stefan Bellof (Porsche 956 nella 1000 km del 1985), l’incidente gravissimo di tre anni fa nel quale si fratturò entrambi gli arti inferiori Pietro Fittipaldi (nelle prove della Sei Ore prototipi). Ed è recentissimo l'incidente di Lando Norris con la McLaren alla fine di agosto, ultimo di una lunga serie che ha coinvolto nomi come quelli di Jacques Villeneuve, Ricardo Zonta, Mika Salo e infine Alex Zanardi nelle libere del GP del Belgio del 1993.
Le moto hanno corso a Spa dal primo anno del mondiale, 1949, fino al 1990 e con regolarità quasi assoluta. Fino al 1978 sulla vecchia pista originale di 14.100 metri, che usciva dall’autodromo poco oltre l’Eau Rouge, proseguiva sulle strade libere chiuse per l’occasione, rientrava prima del tornante della Source.
Quando si decise di accorciare il percorso a poco più di sette chilometri per trasformarlo in una vera pista stabile, il mondiale passò una volta a Zolder e quindi tornò a Spa nell’81 con la vittoria di Marco Lucchinelli, l’ultimo italiano a trionfare nel GP del Belgio della classe 500. Per le altre classi, il compianto Fausto Gresini vinse ancora la 125 nell’85 con la Garelli, e Domenico Brigaglia l’anno dopo (con la Ducados).
L’ultimo vincitore del GP del Belgio a Spa-Francorchamps (sulla pista ancora leggermente modificata rispetto all’81) è stato Wayne Rainey: quella 50 del ‘90 fu una gara combattuta sul bagnato con quattro Yamaha ai primi quattro posti: Wayne, poi Ruggia, Lawson e Sarron.
Spa, nella versione integrale, era una pista da pazzi: il primato sul giro appartiene a Barry Sheene con la Suzuki RG in 3’50”30 (anno 1977) alla media di 220,7 kmh! Era di gran lunga la pista più veloce del mondiale, molto più rapida della pista stradale di Monza che, nella versione priva delle varianti, ha registrato il giro record nel ’71 con Ago e la MV in 1.41.2 - due decimi meglio di Hailwood quattro anni prima con la Honda - alla rispettabile media di 204,5 orari.
Pista pericolosa Spa, evidentemente, fasciata dai guardrail e con le strade a dorso di mulo. Al centro della carreggiata c’erano le strisce bianche discontinue, praticamente dappertutto, e sul bagnato era un’impresa trovare le traiettorie che non incrociassero i segmenti verniciati e scivolosi…
Pioveva spesso, inutile precisarlo, lassù nella regione delle Ardenne. Ma c’era il sole l’unica volta che riuscii a fare accettare dai belgi la mia iscrizione in 500, nel 1976. Con le Laverda 1000 ufficiali, nell’agosto dell’anno precedente, avevamo portato due moto sul podio della 24 Ore, su quella pista e sotto un diluvio lungo ventidue ore. Direi proprio ‘grazie’ a quel diluvio. Lucchinelli (terzo con Fougeray) ed io (secondo con Gallina) sognavamo di trovare il bagnato anche con le nostre RG al primo anno di 500.
Invece era luglio, c’era un bel sole, e per di più la mia Suzuki aveva mille giri meno di tutte le altre. Proprio in occasione del GP del Belgio 1976, infatti, la FIM aveva preso la bella decisione di introdurre i silenziatori: i miei quattro terminali, costruiti artigianalmente all’ultimo momento, erano evidentemente tutt’altro che perfetti.
Sulla salita dell’Eau Rouge mi toccava scalare una marcia per venirne fuori. Gara buttata per me, che comunque sull’asciutto non sarei entrato nei dieci; non per John Williams che riuscì a battere Barry Sheene che scattava dalla pole (a 218 orari di media), poi Ankone, Rougerie, Lansivuori, Braun, Mortimer, Hennen, Newbold, Kassner. Tutti su Suzuki, praticamente un monomarca.