Da Monza, una riflessione sulla Supersport anni '90

Da Monza, una riflessione sulla Supersport anni '90
Insieme alla 125 GP, era la classe più combattuta e spettacolare. La Supersport di oggi non è nemmeno parente di ciò che si vedeva tra la fine degli anni ’90 e primi del 2000. Rewind ‘97 ricorda il valore di quella categoria | M. Temporali
12 maggio 2010


In quest’ultimo week end di gare, ho visto da vicino una classe morente. Povera, senza moto né piloti, con un’anima persa nel tempo. La Supersport è una di quelle categorie con cui è cresciuta la mia passione per il motociclismo. Fino a una decina d’anni fa, per me era la classe più bella, più combattuta, più vicina ai motociclisti da strada. Più della Superbike. E c’erano piloti buoni a dare lustro alla disciplina. Era un po’ la Moto 2 odierna.

Monza è sempre stata la tappa d’assalto per i piloti italiani, che vi partecipavano come wild card.
Ricordo nel 1999, quando correvo nel Team Rumi, la fatica che fecero due buoni manici a stare dentro ai tempi. Uno, l’americano Tripp Nobles, l’altro Marco Borciani. In qualifica, 36 piloti racchiusi in 1” e 8. Il primo entrò in griglia per il rotto della cuffia, Marco rimase fuori. E come lui, altri piloti.

C’era da rischiare l’osso del collo, ai tempi, e l’elenco delle vittime in Supersport purtroppo deponeva a sfavore di quell’eccesso agonistico. Ma che spettacolo! Bagarre ad ogni sessione di prova, partenze a gomiti larghi, temponi sul giro da far paura, trenini di 8-12 piloti a giocarsi in volata la vittoria.
Monza 2010: 20 piloti al via (di solito sono 16), 7 secondi tra la prima e l’ultima posizione in griglia. Il mondiale Supersport sembra diventato uno dei tanti campionati nazionali…sottotitolati.

1997, MISANO ADRIATICO, CAMPIONATI ASSOLUTI D’ITALIA

Sembrava una gara del mondiale, ma era solo una tappa del campionato nazionale SS 600, che veniva sfruttata da piloti e squadre per allenamento e messa a punto delle moto.

Il mondiale Supersport sembra diventato uno dei tanti campionati nazionali... sottotitolati

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Due terzi dei piloti provenivano dal mondiale: Xaus, Casoli, Lucchiari, Guareschi, Meregalli, De Stefanis, Briguet, Cirafici, Panichi….

Me lo ricordo come fosse ieri, era il mio esordio in SS. Mi presentai il venerdì mattina di quel 4 aprile a conoscere la squadra “fantasma”. Trovai una Yamaha Thundercat 600 accanto alle transenne che delimitavano gli spazi per le verifiche tecniche. Sola, su un cavalletto. E un certo Bruno, meccanico assolto dalla squadra, che, puntuale con me, trovai di fronte alla scena con occhi sgranati. Senza divisa e a mani vuote. Non c’era una tenda, una cassetta degli attrezzi, un rotolo di carta, una tanica per la benzina… Niente. Solo moto e cavalletto.

L’entusiasmo dei 23 anni mi spinse comunque a restare lì, anziché incavolarmi duro e telefonare ai titolari del team, per altro già in possesso dei soldi di chi li portava per me. A quel povero meccanico, di Bolzano, al quale non so nemmeno se gli fu pagato il “disturbo”, feci pietà; montò quattro pezzi del kit Yamaha che aveva in auto con sé, facendosi prestare gli strumenti dai vicini di porta. Lavorando lì, sotto al sole, abbandonato lui ed io come zingari. Ma, superato l’impatto, a me importava solo correre in quella Supersport che adoravo per sentirmi meglio. Erano gli anni in cui i piloti, pur di correre e farsi notare in quella classe, avrebbero fatto carte false.

I PILOTI DI ALLORA

Il mio idolo era Paolo Casoli, detto Gasolio: matto come un cavallo e veloce come pochi. Fece la pole, con la sua Ducati 748 del Team GiocaMoto. Guareschi e Meregalli, entrambi Yamaha, erano due piloti regolari e bravi ragazzi, dentro e fuori la pista. Yves Briguet, svizzero, aveva quasi una quarantina d’anni, ed era un duro. Volto vissuto, sigaretta in bocca alla fine di ogni sessione di prova; guidava la Suzuki ufficiale. De Stefanis, il panettiere piemontese, era un razzo sulla GSX-R e vinse tantissimo a livello italiano.

C’era Pasini babbo (Luca, papà di Mattia, ndr), Teneggi, che alternava il lavoro di ruspista a quello di pilota, Marchini, altro talento vero del parmense. Arnoldi, montanaro del Trentino, era conosciuto perché, dormendo in circuito, aveva l’abitudine di farsi il bidet dove gli altri si lavavano i denti… Senza molti scrupoli. Anche Bussei, nipote del signor Umberto Agnelli, quindi di buon partito, era uno dei “nostri” e si accontentava di dormire in auto, su un monovolume della Lancia. Aveva l’abitudine di portare, in maniera poco signorile, la tuta in pelle senza mutande.

Le case motociclistiche erano tutte presenti: Honda, Yamaha, Suzuki, Kawasaki, Ducati e Bimota. Di quest’ultima, pilota eccellente era Michele Malatesta.
Prometteva bene Mario Agnoletti, spilungone e nobil uomo, ma solo fuori dalla pista; ironia della sorte si fece male col windseurf, scontrandosi con una barca sul lago. Pure l’esperto Lucchiari era un osso duro… oggi è purtroppo recluso in Francia. Il più giovane della combriccola era spagnolo, tal Ruben Xaus.

Guidava una Honda Rumi, 5° tempo in prova. Con le Pirelli diceva di non trovarsi, a 18 anni borbottava e prendeva un secondo in prova da Casoli. All’ennesimo lamento, Oscar (Rumi, ndr) lo sollevò
La "carena" di Max
La "carena" di Max

 

di peso: «Niente Michelin, o ti metti a camminare con queste gomme o torni in Spagna».

E sulla pista di casa, l’imbattibile Casoli perse il confronto con un pilota appena maggiorenne. Subendo un sorpasso, in accelerazione e all’esterno, tra la Curva del Carro 2 e 3, che, chi ricorda la Misano vecchia, sa di quale beffa per Gasolio sto parlando...

Se domenica scorsa, nel mondiale, avesse corso un certo Fabrizio Pirovano, ex campione Supersport e oggi più che cinquantenne, si sarebbe piazzato nei dieci. Pronti a scommettere ?

 

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