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Un vecchio adagio del mondo delle corse sostiene che un Mondiale lo si può vincere per caso, ma due no. Figuriamoci quando due titoli – su tre totali – un pilota li conquista nello stesso anno. Freddie Spencer è una leggenda, ultimo della storia del motociclismo a laurearsi due volte in una stagione (a parte Jorge Martinez, che però lo fece nel 1988 con 80 e 125, categorie poco più che doppioni) con l’incredibile doppietta 250/500 del 1985.
Fast Freddie, così lo battezzarono all’epoca gli addetti ai lavori, fu protagonista di una carriera-lampo che lo vide affermarsi sul palcoscenico mondiale nel 1983 sconfiggendo sua maestà Kenny Roberts al termine di una stagione in cui i due si giocarono tutto fino alla storica gara finale di Imola.
Un 1984 rovinato dall’incidente di Goiania, per la rottura del cerchio posteriore Comstar della sua Honda, non fece che rafforzarne la determinazione portando alla già citata doppietta del 1985 per poi vederlo sparire. Annunciò il suo ritiro alla vigilia della stagione 1988, dopo aver passato ’86 ed ’87 lontano dalle piste, fra estemporanee partecipazioni ed altrettanti rientri ai box per problemi tra il fisico e lo psicologico mai perfettamente chiariti.
Anche i deludenti rientri delle stagioni successive – particolarmente dolente quello del 1989, in sella alla Yamaha YZR del team Agostini – non sono riusciti ad appannare troppo il ricordo sfolgorante di un pilota che vanta ad oggi tantissimi primati. Primo a portare alla vittoria la Honda NSR500, la moto poi diventata la più vincente dell’era 500; primo ad annichilire gli avversari (come poi seppero fare anche Rainey, Kocinski e Stoner) con ritmi insostenibili in partenza; primo ad impostare traiettorie tutte spigolate e a chiudere le curve in derapata – grazie anche all’arrivo delle Michelin radiali – e ad introdurre quella guida che avrebbe contraddistinto “la scuola americana”, parola di Barry Sheene.
Primo, purtroppo, a soffrire di quella tendinite tradottasi nella sindrome compartimentale che tante carriere sta rovinando oggi, ma ai tempi d’oro tale e tanta era la sua superiorità da far nascere la teoria che godesse della “visione rallentata”, ovvero percepisse la velocità in maniera diversa dai suoi avversari. Marco Lucchinelli, iridato nel 1981, non esitò a dichiarare che Spencer fu il motivo principe del suo ritiro dalle corse al termine della stagione 1982, in cui fu suo compagno di squadra.
Oggi Frederick Burdette Spencer è un tranquillo cinquantaquattrenne (è nato a Shreveport, Louisiana, il 20 dicembre 1961) dentro cui continua a bruciare una grande passione per le due ruote. Titolare di una scuola di pilotaggio e guida sicura negli States, Freddie è un attivo promotore dello sport motociclistico ed acuto osservatore del Motomondiale.
In occasione di ASI Moto Show 2015 a Varano de’ Melegari, Spencer ha riportato in pista la sua NS 500 tricilindrica con cui vinse il primo titolo mondiale nel 1983 e si è gentilmente prestato ad uno scambio di battute su passato, presente e futuro del motociclismo. E rompiamo il ghiaccio naturalmente chiedendogli come sia tornare in sella alla tre cilindri dopo tanti anni.
«Mi piace molto guidare le vecchie moto da corsa – per me è molto facile, ho una grande familiarità con loro, soprattutto con le Honda che ho contribuito a sviluppare. Le moto di quella generazione sono davvero uniche – sono molto leggere e molto reattive grazie al motore a due tempi, e quindi davvero divertenti da guidare soprattutto su una bella pista come quella di Varano».
«Sono davvero agili perché sono incredibilmente leggere, soprattutto a confronto delle moto moderne. Una MotoGP di oggi pesa dai 153 ai 156kg, la mia tre cilindri stava poco sotto i 120. E poi c’è il motore a due tempi, l’accelerazione che offre – è sempre una gran bella emozione, ma bisogna saperlo trattare».
Di tutte le moto con cui hai corso, qual è quella di cui serbi il ricordo migliore?
«Beh, la tre cilindri per me sarà sempre speciale, perché ho svolto la maggior parte del lavoro di sviluppo ed è stata la prima moto costruita dall’HRC per correre nella 500 – di fatto è la capostipite di una stirpe di moto che parte da lei, la NS 500, ed arriva fino all’ultima RC-V con cui corre Marc Marquez. Ma la mia GP preferita è la NSR 500 del 1985, la prima V4 a schema convenzionale, quella che è poi diventata la moto da Gran Premio più vincente della storia nei successivi sedici anni».
Continuiamo allora a parlare di Gran Premi. Freddie, cosa ne pensi del Mondiale di quest’anno, con Marquez e Valentino impegnati in una lotta tanto incerta?
«Beh, è grandioso. Da una parte c’è il pilota più anziano ed esperto, dall’altra quello più giovane – relativamente parlando, perché Marc ha comunque già vinto quattro titoli. E’ uno scontro interessantissimo, per diversi motivi credo che Valentino stia guidando bene come non mai: la gara in Argentina è stata un vero capolavoro d’esecuzione. Sarà un Mondiale davvero interessante – mi ricorda un po’ lo scontro fra me e Kenny nel 1983, anche se allora io ero molto meno esperto di Marc, ma le proporzioni sono comunque quelle, e curiosamente anche le marche, Honda e Yamaha. Per Marc la gara di Jerez è stata molto importante: mantenere il secondo posto davanti a Valentino, senza permettergli di batterlo un’altra volta o magari commettere un errore è stato psicologicamente fondamentale per il resto della stagione. Ripeto, sarà un Mondiale interessantissimo».
Sarà anche l’ultimo Mondiale con pneumatici Bridgestone. Cosa ne pensi del regolamento monogomma?
«Una delle cose che mi piaceva dello scontro che ho vissuto fra Honda e Yamaha, Michelin e Dunlop, era il tipo di spinta che dava allo sviluppo tecnologico. Certo, Bridgestone ha fatto un ottimo lavoro creando uno pneumatico che lavora bene su Yamaha, Honda e Ducati, ma ogni volta che ci si ritrova con un solo costruttore, finisce che questo è costretto a fare un prodotto che vada bene per tutti – manca quella costante ricerca per trovare il limite e spingerlo oltre che si verifica quando due Case si sfidano. Certo, da un punto di vista economico devo ammettere che la soluzione ha un suo senso».
Il regolamento cambierà anche limitando il contributo dell’elettronica. Una tua opinione a riguardo?
«La strada che stiamo prendendo, di fatto, assomiglia a quella della Formula 1 in termini di volontà di controllo sulla competitività dei singoli per mantenere un equilibrio globale. Credo che sia tutto un tentativo di rendere lo scontro più equilibrato, per dare maggior competitività a tutti mantenendo il controllo dei costi. Il punto è cosa ne pensano i Costruttori – Honda e Yamaha cercano sempre di trovare vantaggi competitivi attraverso soluzioni uniche, e difficilmente possono gradire qualunque limitazione a riguardo».
«Con le debite proporzioni, la situazione ricorda un po’ l’acquisizione di Daytona Motorsport Group – la società che gestisce la NASCAR – dei campionati statunitensi. Di fatto hanno allontanato i costruttori. Il nostro sport è pesantemente dipendente dai costruttori: bisogna sperare che Dorna sappia mantenere il giusto equilibrio fra spettacolo, equilibrio e coinvolgimento delle Case, che hanno bisogno di poter sviluppare tecnologia nelle gare».
Abbiamo parlato di DMG e di sport statunitense. Cosa ne pensa Freddie, che a tutt’oggi è ancora coinvolto nello sviluppo e nella promozione del motociclismo, dell’attività di MotoAmerica, KRAVE – di fatto, di Wayne Rainey e dei suoi soci?
«Credo che stiano facendo un ottimo lavoro, che mancava da molto tempo. La gestione DMG sfortunatamente ha distrutto i campionati statunitensi, anche se la situazione economica non ha certo aiutato. Stanno facendo un grande lavoro per dare ad un maggior numero di piloti americani la possibilità di competere ai massimi livelli, ma anche per tornare ad attirare le Case costruttrici verso campionati che non erano più interessanti – di nuovo, il nostro sport dipende tantissimo dall’impegno delle Case, ed è fondamentale che ci sostengano per garantire un futuro al motociclismo».