Intervista a Fabio Farioli, manager del Team KTM Farioli

Intervista a Fabio Farioli, manager del Team KTM Farioli
Fabio Farioli, manager del Team KTM Farioli, racconta come si è avvicinato al mondo delle moto, dalla sua prima gara, al suo rapporto con KTM e i giovani piloti, per finire con papà Arnaldo
21 settembre 2011

Punti chiave

Fabio Farioli, bergamasco doc, classe 1970, ha iniziato a correre a 15 anni e ha vinto un mondiale enduro nel '93, ma al suo attivo ha: 14 titoli italiani enduro, 1 supermotard, 2 titoli italiani raid marathon, un trofeo motocross nel 1988 e 4 vittorie a squadre alla Sei Giorni, oltre ad un'altra miriade di vittorie, titoli e risultati.
Non posso non chiedergli – perchè sono davvero curiosa – se si ricorda la prima volta in vita sua in cui vide una moto. Lui ci pensa un po' e poi pensa alla sua prima motoretta, è un ricordo un po' sfocato, ma c'è, ben presente nella sua memoria.
“Avevo una motorettina piccola, con le rotelle dietro, e giravo nel piazzale sotto casa dei miei. Ricordo che mi infilavo sotto i paraurti delle macchine e c'era Pierino, il capo magazziniere, che veniva a tirarmi fuori. Lasciavo lì la moto, lo chiamavo e lui veniva a tirarmela fuori. Avrò avuto 3 anni forse. I ricordi si fanno più nitidi quando, con un Suzuki 80, giravo nella casa di campagna. Questo me lo ricordo molto bene e quindi avrò avuto sei o sette anni”
 

Papà in moto te lo ricordi?

“No, assolutamente. Anche perchè non è mai venuto in moto con me : quando sono nato lui aveva già smesso, e si era concentrato sul lavoro”
 

Non c'è mai stato dubbio che il tuo futuro sarebbe stato nelle moto?

“Direi proprio di no. Sono nato con le moto. Al pomeriggio, dopo la scuola, andavo in officina e stavo lì con i ragazzi. Quando dovevo girare in moto andavo con chi faceva motocross oppure enduro, quindi alla fine per forza di cose...La domenica andavo a vedere le gare di motocross. Diciamo che la mia vita era immersa nelle moto fin dall'inizio”
 

La prima gara?

“A 15 anni ad Erba, gara di campionato regionale di cross 125. Ero già grande perchè papà non mi aveva fatto mai fare il minicross. Mi aveva detto “quando sarai grande a sufficienza deciderai tu se correre in moto, io non ti spingo”. Credo che sia stata la cosa migliore”
 

Risultato della prima gara?

“Non arrivai in finale. Ma alla seconda gara invece arrivai in finale.
Ho corso fino all'89 nel cross, ho vinto un campionato italiano 500, quando c'erano i senior nazionali – allora si chiamavano così. Poi quell'inverno durante un allenamento ho rotto i legamenti del ginocchio e quando ho ripreso a girare l'ho fatto con la moto da enduro. Mi è piaciuto e ho piantato lì il cross e mi sono dato all'enduro”
 

E fino a quando hai corso nell'enduro?

E questa volta le domande le fa Fabio: “Seriamente? Ho smesso diversi anni fa...Meno seriamente? Ho smesso tre anni fa. Sai quando cominci ad occuparti di certe cose il tempo viene meno. Andavo in moto due o tre volte prima della gara e basta. Già io sono uno che non si è mai allenato ai tempi, quando dovevo farlo, figurati negli ultimi anni”
 

Ma ci sono state anche altre gare nella tua vita, Africa? Baja?

“Avevo delle gare a cui ero affezionato ed una di queste era l'Italian Baja, a Pordenone. E credo di averlo vinto 3 volte (1998, 2000 e 2001), Anche Lignano Sabbiadoro, la 12 ore, mi piaceva tanto e penso di essere stato l'unico ad averla vinta così tante volte, sempre con compagni diversi. Avevo le mie piccole manie, le gare che mi piaceva fare. Mi impegnavo e le facevo. Così come il super motard, quando l'ho fatto mi è piaciuto e mi ci sono dedicato. I rally africani invece sono stati un'esperienza a parte. Ricordo che fin dall'inizio Ktm pressava perchè voleva un pilota italiano di punta, io però non avevo l'interesse, visto che già facevo il mondiale enduro. Ero sempre occupato durante tutto l'anno e avrei dovuto in quei mesi che dedicavo al riposo - dicembre, gennaio, e febbraio - continuare ad andare in moto. Sono sicuro che avrei perso l'entusiasmo. Loro spingevano e io dicevo no. Ho fatto due o tre volte il Desert Challenge in Dubai, arrivando anche secondo, dietro a Peterhansel. Ai tempi quando alla Dakar gli ingaggi erano alti e guadagnavi dei bei soldi avevo avuto delle offerte, potevo correre con Yamaha o Gilera, a livello ufficiale, ma non accettai. Per vari motivi: un po' non ero convinto, un po' papà aveva paura, un po' perchè era un periodo che la Ktm era in difficoltà e una serie di importatori, fra cui noi, stavano lavorando per rilanciarla. Sarebbe sembrato un controsenso andare a correre con un'altra marca”
 

Già, KTM, com'è il tuo rapporto con gli austriaci?

“Penso di essere una persona che capisce quali sono i diritti, i doveri, i limiti, cosa bisogna fare e cosa no, sempre tenendo conto che noi corriamo perchè l'azienda deve vendere le moto. Non è che vendiamo le moto perchè dobbiamo correre. Questo è un concetto che mi è stato insegnato – e sorride mentre lo dice – fin da quando eravamo importatori, dalla famiglia, e quindi qualche volta faccio fatica perchè contrasta con il discorso prettamente sportivo. Tu pensi, 'devo vincere, e basta' però io ragiono e mi dico, 'sì è vero, dobbiamo vincere, ma dobbiamo anche vendere le moto'. Quindi quando faccio delle scelte devo ragionare a livello di marketing anche se non sarebbe compito mio...però è più forte di me e lo faccio, e scopro che poi molte volte mi ascoltano. E fa un esempio: C'è stato un periodo in cui in Ktm volevano usare solo i 4 tempi. Convinti che nel cross andassero bene solo i 4 tempi. Gli dissi che noi vendevamo le moto da enduro 2 tempi, 'le abbiamo solo noi, perchè dobbiamo far finta di nulla?' dissi. Ci fu una lunga battaglia ma alla fine capirono e adesso abbiamo sempre un 2 tempi e un 4 tempi”

 

Hanno un modo di vedere le cose un po' “austriaco”?

“Sì, però io ho imparato tanto da loro. Prima andavo dietro all'emozione e al sentimento mentre ora sono più razionale nelle scelte. Credo che ogni tanto serva ragionare in modo “tedesco”. Con loro vado d'accordo, per esempio con Pit Beirer mi trovo bene: quando loro vogliono fare una cosa è inutile mettersi contro, ma quando ci sono cose in cui mi devo impuntare loro mi ascoltano perchè mi conoscono e sanno che non lo faccio inutilmente”
 

C'è stato un momento in cui l'ufficio ha avuto il sopravvento sull'andare in moto?

“Sì c'è stato, anche se quando sei giovane tutto ti sembra più facile. I tempi cambiano: una volta correre era facile. Ricordo che partivamo a pianificare la stagione, se non con l'anno in corso, cioè a gennaio, poco prima di Natale. Invece adesso siamo a settembre e stiamo già lavorando per l'anno prossimo. E' diventato tutto più complicato”
 

Che cos'è cambiato?

“Ma sai che non lo so? Penso che in genere in tutti i lavori, nelle attività, è diventato tutto più complicato. Hai gli stessi risultati ma è tutto molto più difficile. Le cose che prima potevi fare da solo e in un'ora adesso le fai in mezza giornata e ci vuole un'altra persona. Una volta in ufficio eravamo in 15 e facevamo tutto: gestivamo la squadra corse, importazione e rivendita. Ora siamo in 15 e gestiamo la rivendita e una parte della squadra corse, per il resto ci sono altre persone”
 

Ma la tua giornata media allora di quante ore è fatta?

“Ah no, aspetta. Io, tanto per cominciare, non mi alzo mai prima delle 8 e mezza...e ride...poi porto le bambine all'asilo e vado a fare colazione. Non arrivo in ufficio prima delle 9 e mezza. Poi smetto all'una e rientro alle 14,30, ma da lì vado avanti ad oltranza. Finisco alle otto di sera e se devo fare qualcosa con calma aspetto la sera per farlo, o la notte, mi metto davanti al computer – mi accendo il mio sigaro e sto lì a lavorare al computer - e sono capace di restarci fino alle 2, alle 3 o alle 4 di mattina”
 

Parliamo ora dei piloti, ho come l'impressione che a te piaccia occuparti di loro…

Ragiona un attimo e risponde “Sì, mi piace, anche se ho le mie preferenze. Non a livello di piloti, cerco di spiegarmi. Ci sono piloti di cui mi occupo volentieri, ce ne sono altri a cui lascio fare quello che ritengono più opportuno perchè mi complicano la vita. Sotto la tenda sono tutti uguali, ma ci sono piloti per cui io posso decidere determinate cose ed altri a cui lascio decidere. Preferisco che lo facciano da sé perchè hanno sempre delle complicazioni, questo non va bene, quest'altro neanche...e quindi se possono farsi le cose da soli io preferisco. Abbiamo sempre avuto due piloti per ogni categoria e non ho mai fatto preferenze. Magari a livello umano posso preferirne uno, perchè è più vicino al mio modo di essere, ma quando sono sulla moto per me sono tutti uguali. Che vinca uno, o l'altro, per me non cambia niente”
 

Ti piace seguire i giovani? Vederli crescere? Ti da soddisfazione?

“Sì, soprattutto se vedo i risultati. Com'è stato con Oldrati, o quest'anno con Manzi e soprattutto se vedo che ascoltano me o Belometti, in gara ed in allenamento. Con Oldrati e Manzi abbiamo avuto due ottimi esempi, Jonathan non è ancora un campione ma ha tutti i numeri per diventarlo. E' bravo, intelligente e sa quello che deve fare per diventare un professionista. Lavora sodo e non si tira mai indietro, in moto ci sa andare e quando c'è da allenarsi è uno che si fa il mazzo. Poi magari ne vedi un altro che se ne sbatte, oppure pensa che solo perchè ha vinto una giornata è chissà chi e si sente in diritto di parlare male di tutto e di tutti, o ancora si sente in diritto di non doversi allenare come crede e allora ti dici: “ma se non frega niente a lui vuoi che importi a me? Ne prendiamo un altro”
 

Ma quando segui i tuoi piloti in gara sei un ansioso?

“No...anche se, in realtà quando c'è davanti qualcuno dei nostri divento ansioso. Dipende un po' anche dal pilota, ma mi aspetto sempre che succeda l'imprevisto. Nel mondiale c'è più tensione, più nervosismo, è tutto più esasperato...”
 

E' vera questa polemica contro i nostri piloti- vedi la Sei Giorni – che sono un po' viziati?

“Sicuramente sì. Guarda, quest'anno ho visto Hellsten, un ragazzo finlandese che ha vinto le prime tre o quattro gare nel mondiale junior: gli abbiamo fatto noi assistenza in Grecia e Turchia altrimenti non sarebbe venuto. Lui ha una moto, non ha motore di ricambio, ha un set di sospensioni...se vai a dire uno dei nostri piloti italiani di andare a fare un mondiale in queste condizioni...Ti dice 'no, ma non comincio neanche!' Devono imparare a stare un po' più con i piedi per terra, devono capire che alla fine se il gas glielo sai dare il risultato arriva, sia che la tua moto sia ufficiale o standard. Bisogna rimboccarsi le maniche, bisogna andare ad allenarsi, bisogna farlo anche quando piove. Se sei carente nell'estrema devi darti da fare in quel tipo di speciale”
 

Ultima domanda: il tuo rapporto con papà Arnaldo?

“Lui è il capo, ma alla fine rispetta le nostre scelte. Lui ci dice la sua idea, noi possiamo essere d'accordo o meno però alla fine le scelte le facciamo noi, anche se lo ascoltiamo sempre...Perchè lui ha quasi sempre ragione – e scoppia a ridere. Non sempre, quasi sempre!”
 

Fonte: Axiver
 

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