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Guido Meda vanta un'esperienza giornalistica ventennale; prima di passare all’intervista vera e propria, vi raccontiamo da dove arriva Guido e qual è stata la sua gavetta.
La voce del Motomondiale ha iniziato nel 1985 scrivendo di sport e cronaca per il Giornale di Indro Montanelli e collaborando con l'agenzia Ansa.
Nel 1987/88 ha curato l'informazione per il circuito radiofonico dell’editore Mursia, e nel 1988 è entrato appena ventiduenne, come conduttore e inviato, nella redazione sportiva di Tele Capodistria, che in quegli anni era l’emanazione sportiva delle reti Fininvest.
Con la nascita di Mediaset ha scelto di rimanere legato a Italia1, divenendo uno dei volti e delle voci storiche dello sci nell’era Tomba.
Ha raccontato tredici edizioni della Coppa del Mondo di sci ed è stato inviato a quattro edizioni delle Olimpiadi.
Dal 1993 al 1997 si è dedicato al ciclismo con il Giro d’Italia targato Mediaset. L'estate 1998 e 1999 lo ha visto presentare con successo "Italia 1 Sport A Richiesta", il programma che riproponeva grandi avvenimenti, personaggi e curiosità del mondo dello sport, e "Rewind" che riproponeva immagini che hanno segnato la storia della televisione, dai filmati storici a quelli sportivi.
Guido Meda è uno dei conduttori di "Studio Sport", il quotidiano sportivo di Italia 1 del quale ha gestito in studio più di 1500 edizioni; dalla stagione 2002 ha coronato il suo sogno di motociclista praticante da sempre, approdando alle telecronache del motomondiale.
A TUTTO TONDO
Guido soddisfa le nostre curiosità con la gentilezza e la disponibilità di sempre. Qualità apprezzate non solo dai tifosi, ma anche da tutti gli uomini del paddock.
Prima la cronaca, poi l’informazione sportiva (lo sci, il ciclismo). Come sono arrivate le moto?
Guido Meda: “Con l’acquisizione dei diritti del motomondiale da parte di Mediaset, il candidato naturale alle telecronache era Nico Cereghini che lo aveva già fatto dieci anni prima quando gestivamo Telecapodistria e avevamo le dirette. Nico ha deciso che non voleva più girare il mondo e quindi ha indicato me alla direzione come suo successore. Gli piaceva il mio modo di commentare gli altri sport e sapeva della mia passione per le moto perché non facevo che tormentarlo da un decennio con le mie domande sulla produzione e sulle corse. Hanno deciso di dargli ascolto e di designarmi, pur sapendo che non avrei garantito un modo “ortodosso” di fare telecronaca. Io se c’è qualcosa che mi accende non mi tengo. Credo lo sapessero o lo immaginassero e hanno pensato che potesse essere la strada buona per il motociclismo del nuovo corso. In effetti è andata molto bene a tutti”.
Da giornalista posato a voce tonante del Motomondiale. Quanto conta la passione?
Guido Meda: “Giornalista posato in studio. Del resto se conduci un telegiornale non puoi mica metterti ad urlare. Però quando guardo un qualsiasi avvenimento sportivo se c’è qualcosa che mi fa perdere la brocca la perdo e basta. Salgo sul divano, strillo. La passione conta perché ti immedesimi. E poi il paddock è un paesone accogliente, dove stringi tante amicizie e per più di cento giorni l’anno vivi la tua vita insieme ai protagonisti delle corse (verissimo, il suo calendario segue pari pari quello dei piloti e riuscire a beccarlo in Italia è un’impresa. Ndr). Quando commento un Gp prima di tutto condivido gioie e dolori di persone che conosco personalmente e a cui voglio bene, per cui emozionarmi direi che è quasi automatico. Mi spiace solo che mi si ricordi come l’urlatore quando invece con la redazione facciamo un grande sforzo per disseminare le nostre cronache di notizie e riflessioni che sono poi la parte davvero giornalistica del nostro mestiere. La gente le ascolta e le beve in automatico ma non pensa mai al lavoro che c’è dietro. Meda urla, va bene, ma lavora anche e di brutto col taccuino”.
Hai un fan club. Nel dopo gara si sono visti striscioni a te inneggianti. Come giudichi questo fenomeno? Non starai diventando un fenomeno mediatico tu stesso?
Guido Meda: “Forse in effetti lo sono diventato, mio malgrado. Non pensavo, cioè, che il motomondiale mi esplodesse tra le mani così come è successo e che qualcuno potesse identificare in me una parte del successo. E’ buffo quando per strada vedo i bambini in bici che si fanno la telecronaca imitandomi. O quando magari lo sento fare in certe pubblicità televisive. Però non dimenticare l’altra faccia della medaglia. Quando personalizzi molto il tuo lavoro in tv a molti piaci (grazie a Dio alla maggioranza) , ma ci sono anche quelli che non ti reggono e non ti stimano. Quest’anno ad esempio, il fatto che ci fossero meno sorpassi ha portato me a strillare un po’ meno e alcuni a pensare che io fossi triste perché Rossi non vinceva. Ammesso che sia vero – nel senso che a Valentino voglio bene e lo reputo uno dei più grandi sportivi di sempre – puoi essere triste per lui due o tre gare, mica sempre. Per quelli che ti scrivono “Guido Meda Santo Subito” su uno striscione ci sono anche quelli che ti scrivono “Meda non piangere”. Io non mi nascondo, non amo alterare la mia personalità e vado avanti. Purché non mi si dica che non mi piace la Ducati. Pensa che la mia moto da pista è una Ducati da ormai dieci anni!”.
Il tuo rapporto con le moto. Che “profumo” usi? Voglio dire, che motociclista sei? Un rozzo harleista, un ducatista col giubbotto di pelle o un turista di Goretex vestito? O, perché no, tutte e tre?
Guido Meda: “Guarda, non ho dubbi. Sono tutte le cose messe insieme. Nel mio box ho moto da strada, moto da pista, moto d’epoca e pure la Harley. Ho sia il Goretex con le protezioni ipertecnologiche che i giubbottini in pelle leggera, caschi integrali ultima generazione e Davida per quando vado in giro col Guzzino. Non sono classista, per niente. Non amo le categorie tipo “harleista” o “smanettone”. Ma chi se ne frega. Indosso e inforco quello che mi suggeriscono il cuore, il tempo atmosferico e la disponibilità di ore. Ci sono giorni in cui voglio fare follie e allora programmo la pista, altri in cui mi va di trotterellare”.
Quali giocattoli a due ruote custodisci in garage? Usi abitualmente la moto per i tuoi spostamenti?
Guido Meda: “Uh, nello specifico? Una Triumph Speed Triple, una Ducati 996, una Harley Sportster, un Guzzino del 1949, un Honda Dream, una minimoto, una Ktm exc 250. Senza dirti quelle che mi hanno rubato: una Mv Brutale, una Bmw… Vado avanti? La moto sì, la uso per i miei spostamenti, anche se sto un po’ abbandonando il concetto delle due ruote per forza. Se fa freddo prendo la mia vecchia Bmw M3 del ’97 e vado in ufficio al caldo piazzando qualche derapata qua e là”.
Tassello o saponetta? Un tuo episodio divertente legato a ciascuno dei due mondi.
Guido Meda: “Direi saponetta. Guido sporco, ma preferisco riuscire a velocizzarmi in pista. I progressi li vedo, soprattutto da quando vado a girare con Reggiani. Non l’ho preso, ma non sono nemmeno lontano anni luce.Il tassello è una malattia che ho scoperto 5 anni fa. Ho un guru che si chiama Paolo Bergamaschi, è uno dei miei migliori amici e mi guida con pazienza per fango e sterrati. Episodi ce ne sarebbero un centinaio, non saprei cosa scegliere. Diciamo che essendo scriteriato e avendo una propensione per lo “spettacolo” ogni mia caduta, che sia al Mugello o sia in un bosco, ha qualcosa di tragicomico. Non cado mai in maniera normale. Mai”.
Mi ha molto colpito il tuo ricordo in diretta di Badiali, il povero endurista assassinato col filo spinato. Oltre a essere un giornalista preparato e documentato, hai dimostrato una profonda sensibilità verso il mondo a due ruote. Cosa pensi che si possa fare in concreto per la sicurezza dei motociclisti sulle strade, ma anche per la loro immagine non sempre politically correct?
Guido Meda: “E’ un circolo vizioso. Se tu esalti le corse non puoi avere la certezza che qualcuno gasato per quel che ha visto e sentito in tv non esca a fare il cretino per la strada. E’ una responsabilità che sento, per cui – da padre di famiglia – mi colpiscono molto i dolori degli altri quando è la mia stessa passione a causarli. Però, siamo realisti: pensare di morigerare del tutto i costumi dei motociclisti è impossibile. Il motociclista è di base una brava persona, con dei valori e una strana vena che a volte si chiude al momento sbagliato. Ho solo paura che ci vogliano l’età e le esperienze per mettere a posto gente come noi che di norma si sente invincibile, ma che invincibile non è. Senza dimenticare la latitanza delle istituzioni. Non c’è un politico competente nel nostro campo. Non uno. Ti reprimono con le norme sulla patente, e poi ti lasciano strade e autostrade disseminate di guardrail anacronistici e pericolosissimi. Pretendono che il motociclista pensi al prossimo senza che però nessuno pensi al motociclista”.
Il tuo ricordo più bello legato al motomondiale?
Guido Meda: “Quando a fine 2002 Valentino Rossi ospite di Controcampo intervistato su quale fosse stata la novità più del 2002 rispose “Guido Meda e le sue telecronache”. Mi fece sentire sulla strada giusta e lo disse pubblicamente. Un gasamento difficile da contenere e uno stimolo a non deludere. E poi ogni corsa combattuta, di quelle che ti stracciano la gola. Figata unica”.
Il più brutto?
Guido Meda: “Senza dubbio la morte di Kato nel 2003. Era la prima vicenda davvero tragica che mi capitava di commentare in diretta. Avevo il terrore di dare notizie sbagliate, di affrettare delle conclusioni, di non riuscire ad essere giornalista e uomo al tempo stesso. Pensavo al suo e ai miei bambini. Mi veniva da piangere e pensavo di non poterlo fare. Ci misi cuore e mestiere e ne venimmo fuori. Ma è stata una lezione. A Kato penso spesso”.
Il più bello legato a esperienze motociclistiche tue?
Guido Meda: “Un viaggio in Corsica con tenda e amici appena diciottenni con dentro quel senso costante di libertà e onnipotenza. La prima volta al Mugello sotto il 2 e 10 (qualche mese fa), la prima prova delle MotoGp nel 2004… con me in sella”.
E il più brutto?
Guido Meda: “Sicuramente il mio incidente del 2003. Il 10 novembre. Una signora in macchina fece inversione a U su una statale e io per evitarla andai sul marciapiede in mezzo a semafori e cartelli e mi frantumai tutto. Gambe e braccia. Femori, tibie, un macello, la paura di non recuperare più, un braccio che rimase paralizzato per due mesi, la paura di non tornare più quello di prima. Anche se ricordo distintamente che mentre mi portavano d’urgenza in sala operatoria pensai che forse ero pronto per la Harley. Come dire che la passione c’era ancora. Per fortuna. Poi però la guarigione è stata un’esperienza bellissima, con la famiglia accanto e tutto il paddock, piloti compresi, sempre a farmi visita. Mi hanno fatto sentire uno di loro".
Rossi e Bridgestone. Il dottore ha visto giusto o rischia, dopo un 2007 disastroso, di compromettere il suo finale di carriera? Le nuove leve della Motogp hanno lasciato il segno sui test di Jerez, e Michelin ha tirato fuori gli attributi (leggasi palanche). Che 2008 ti aspetti?
Guido Meda: “Disastroso no, comunque vada Rossi. Perché bisognerebbe intendersi sul significato di disastro. Si può dire che sia stato disastroso il suo 2007? Non mi pare, anche se la percezione è quella. Raramente Rossi ha sbagliato una scelta. Se ha pensato a Bridgestone stai sicuro che ha visto da dietro i gommati Bridgestone e ha fatto le sue riflessioni. Con Michelin non comunicava più e nelle priorità di Rossi la comunicazione è tra quelle fondamentali. Farà bene, anche se Stoner resta il nuovo riferimento. Sogno di vederli combattere ad ogni gara. Loro due, con Melandri, Capirossi, e i giovani e poi vinca chi vuole, ma che lottino fino all’ultimo metro. I giovani sono bravi, ma la motoGp di ora è più facile. Si fa presto ad andare forte per qualche giro. Poi sorpassare o resistere alle fatiche e alla bagarre di una gara è un’altra cosa. I nuovi giovani sono bravi, ma forse non li vedremo subito”.
Non ci resta che attendere l’8 marzo e la gara del Qatar, pronti a saltare sul divano insieme a Guido.
Andrea Perfetti