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Il manager del forte team spagnolo ci parla del futuro del trial e della necessità urgente di avere moto più pesanti e utilizzabili da tutti, com'era una volta. Altrimenti, dopo il record negativo del 2012, il Trial moderno è destinato a morire.
Cosa vi aspettate da questa moto?
«Nella moto standard contrariamente a quanto pensava la gente che si aspettava un modello totalmente nuovo, abbiamo lavorato a un corposo restyling concentrandoci maggiorente sul motore che, oltre ad aumentare la cilindrata, ha visto sviluppare questo nuovo sistema di decompressione utile a eliminare di molto l’effetto freno motore tipico dei quattro tempi. Pensiamo possa essere un fattore molto apprezzato dall’utenza in generale».
Avete scelto una strategia di diminuzione del prezzo in questo modello 4RT, come mai?
«Molta gente si è lamentata nel tempo che il motore a 4T rendeva la moto molto costosa e quindi proviamo questa strada. Ora mi piace far notare che nel modello standard abbiamo abbassato il prezzo pur utilizzando delle sospensioni che sono il top di gamma per altre aziende e questo mi pare molto importante.
Comunque anche la situazione difficile del momento e la crisi economica ci hanno fatto pensare ai costi per i clienti, partendo dal presupposto che probabilmente avremmo dovuto intervenire prima con questi aggiornamenti e strategie.
Ma si sa, Honda segue la sua strada; usciamo ora seguendo quello che è sempre stato il nostro mercato, ovvero quello di una moto per tutti; stiamo a vedere come reagirà il mercato a questa nostra proposta. In generale comunque penso sia importate sottolineare il fatto che Honda continui a credere nel nostro settore e noi al momento abbiamo ingranato la prima ripartendo con molta umiltà a ragionare su un eventuale nuovo modello. Ovviamente abbiamo ben presente che cosa significa in questo momento l’investimento necessario per il cambio di motore, tanto è vero che anche le altre aziende montano motori di 10 anni fa, limitandosi a modifiche di telaio o altro. Qui ricordiamoci che parliamo di numeri di vendita molto bassi, e noi ora dopo un periodo di stand-by abbiamo dimostrato che ci siamo ancora e vogliamo continuare, questo è il messaggio importante».
La gente si aspettava una moto più in linea con il nuovo regolamento no-stop che voi aziende avete fortemente chiesto alla Federazione Motociclistica Internazionale, cosa ci puoi dire?
«Noi abbiamo la volontà nel prossimo futuro di tornare a costruire delle moto con le quali si possa circolare in autonomia in montagna, con caratteristiche meno estreme per riavvicinare il grande pubblico al Trial, ci siamo purtroppo resi conto che l’estrema specializzazione di questi modelli ha ridotto il numero di vendite in modo drastico e questo ora non è più sostenibile. Ovviamente sarà un percorso lungo fatto di piccoli passi e di questo ne siamo ben coscienti».
Da dove nasce l’esigenza di un aumento di peso?
«Tutte le ditte tranne qualcuna con più fatica, hanno recepito il fatto che dobbiamo andare nella direzione di moto più robuste; il peso maggiore va incontro al cliente, in generale sappiamo che se costruisci una moto più leggera, diventa più fragile e quindi si rompe. Noi non possiamo pensare che la gente commenti i modelli di una azienda dicendo “no quella no, perché si rompe”, quindi siamo arrivati uniti a un accordo con la FIM perché le moto pesino minimo 70 kg almeno per la gara, poi ognuno sceglierà di produrre liberamente il proprio modello».
Quindi il futuro passa dal no-stop?
«Diciamo che stiamo provando a battere una strada nuova che non sappiamo con certezza essere quella giusta, ma crediamo che debba essere riconosciuta e vissuta non solo come un cambio regolamentare ma come un cambio di mentalità, questo è molto difficile da capire ora, ma siamo certi che senza fare nulla questo sport è destinato a morire.
Dopo l’anno 2012, che ha segnato un record negativo di vendite (5.800 moto per sei ditte e pensate che GAS GAS nel 2005 vendeva da sola questo numero), abbiamo capito che dovevamo intervenire, il mondo è grande e noi non riusciamo a uscire da questo piccolo cerchio di appassionati a causa di una eccessiva specializzazione. Si doveva voltare pagina, non potevamo stare a guardare».
Come ti è sembrato il mondiale in Italia?
«Molto bene considerando la nuova realtà regolamentare, al momento è stata la gara migliore ed abbiamo apprezzato il lavoro dei giudici, anche perché dal Giappone ad ora le cose sono andate migliorando di gara in gara, il livello in Italia è stato molto alto ma d’altra parte siamo al mondiale, penso che sia più facile con un po’ di esperienza tracciare le gare in questa modalità piuttosto che con lo stop, con i quali i piloti riescono a salire fino in cielo! Michaud (Direttore CTR) sta lavorando molto bene e duramente così come Pascuet (Section Advisor) che di gara in gara accumula esperienza, quindi penso che alla fina dell’anno si potrà apprezzare il risultato positivo».
Domanda provocatoria, Grattarola potrebbe avere un futuro in Montesa al fianco di Bou?
«Perché no, è un pilota importante per un mercato importante, chiaro che in questo momento di difficoltà rappresenta un costo e noi vorremmo avere un pilota importante in paesi come Francia, Inghilterra e Italia. La tendenza in questo momento, se non cambiano le cose, è di andare a ridurre piuttosto che aumentare, se pensi che fino al 2007 avevamo quattro piloti, poi tre nel 209 e ora due, ti fa comprendere la strategia».
Perché non esiste un Promoter nel Trial?
«Qualche tempo fa la spagnola Octagon ha provato a gestire con mille difficoltà il campionato Indoor che risulta essere quello più facilmente vendibile, ma per una serie di ragioni non hanno ritenuto conveniente procedere, il problema è l’impossibilità di poter gestire direttamente le località di gara che continuano ad essere di pertinenza diretta FIM».
Andrea Buschi