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A cavallo tra il Pharaons e il Rally del Marocco, Joan Barreda è il personaggio del momento, l’onda nuova del pianeta Rally. Ed è proprio il Pharaons Rally che pone fine ad un ciclo, quello del Barreda promessa, del Barreda astro nascente, per aprirne un altro, quello del Barreda Campione e Pilota più atteso in prospettiva Dakar. La vittoria in Egitto, che segue a ruota quella ottenuta alla Baja di Spagna, segna lo spartiacque tra due capitoli della carriera del ventinovenne Pilota di Torreblanca e, forse, tra due ere della storia dei grandi Rally.
Come sei arrivato ai Rally?
«Sempre per mano a Juan Juan Lozano. Nell’estate 2009 Pellicer non poté correre la Baja di Spagna per un infortunio. La moto era pronta, Juan mi chiese, due settimane prima della corsa, se volevo correre, ed io accettai. C’erano solo due settimane e non sapevo nulla, di Baja e di Rally, ma passai le due settimane ad allenarmi nel deserto del Monegros. Alla fine non terminai la corsa perchè la moto si fermò a cinque chilometri dalla fine senza benzina. Però ero primo, e lì si vide che questo tipo di corse mi andava a genio e mi piaceva molto. Dopo ci dovemmo accorgere che non era facile far andare bene le cose, non avevamo moto ufficiali, succedeva che non riuscivo a finire la maggior parte delle corse alle quali partecipavo perché il materiale non teneva, e tutto questo si trasformava in maggiori critiche e maggiore pressione su di me. Guadagnarmi il rispetto della gente non è stato facile, persino in Spagna non essendo un Pilota catalano».
Quali persone ti hanno aiutato?
«Parecchie. Molte persone mi hanno aiutato. Nel 2009 partivo da zero, non avevo sostegno né risorse economiche. Juan è quello che è stato sempre al mio fianco, dal primo momento. Jordi Arilla e Joan “Nani” Roma anche, mi hanno aiutato in tutto quello che hanno potuto. Andare a correre i primi Rally costava molti soldi, e tutti loro mi hanno sempre aiutato fornendomi i mezzi necessari. Allo stesso modo non posso dimenticarmi di Filippo Assirelli, che mi ha dato l’opportunità di andare alla Dakar con una Aprilia ufficiale. Anche se non è andata molto bene è stata una grande esperienza per la mia carriera. E lo stesso vale per Fernando Prades, che mi ha sempre aiutato e prestato le sue moto per andare ad allenarmi. Ci sono anche Jordi Zaragoza, il mio preparatore atletico, e ora Wolfgang Fisher… adesso tutti insieme formiamo una grande forza».
A proposito di Wolfgang Fisher, che ambiente hai trovato alla Husqvarna Speedbrain?
«Siamo un gruppo di amici. Siamo partiti tutti da zero e stiamo crescendo con molta forza. Quest’anno, con il sostegno di BMW, avrebbero potuto puntare direttamente ai migliori Piloti, e invece hanno avuto fiducia cieca in me. Per questo li ringrazierò per tutta la vita. Sono felice di aver vinto tre tappe in Egitto, e di essere stato in testa al Rally dall’inizio alla fine, ma sono ancor più contento di aver contribuito al raggiungimento di un successo che dobbiamo considerare storico per il Team e per la Husqvarna».
Come hai trovato il rally dei faraoni?
«Stupendo! È un Rally che ammiro moltissimo e che considero secondo solo alla Dakar. Mi sono divertito molto aprendo la pista e navigando in solitario. Il fatto che non ci fosse Marc Coma mi ha dato un punto in più di tranquillità per navigare senza commettere errori. Ho ancora molto margine di miglioramento, ma so che devo andare avanti un passo alla volta».
Pensi di aver fatto il grande salto?
«Per quanto riguarda i risultati credo di sì. Vincere la Baja in Spagna e il Faraoni in Egitto non è facile, e comunque vada per me è un buon anno. Per quanto riguarda velocità, ritmo e lavoro penso che un salto importante lo avevo già fatto lo scorso anno, quando sono entrato a far parte del Team Speedbrain. Loro stanno facilitando enormemente lo sviluppo del mio lavoro, fornendomi tutti i mezzi necessari».
Io ho sempre scelto di correre il rischio di sbagliare stando in testa, aprendo la pista e andando in fuga. È là che si corrono i più grandi rischi, ma è là che si impara veramente, e in fretta
Ti hanno definito Pilota rapido e combattivo, ma anche propenso agli errori, e a dire il vero non ne hai fatti pochi.
«Sì, certo, questa è la storia, anche recente. Ma io vi voglio dire una cosa. Altri Piloti hanno sbagliato rimanendo nell’ombra delle classifiche, prima di emergere, e di questi non si è parlato molto, non in questi toni, perché hanno avuto lunghi periodi di apprendistato. Io l’ho sempre pensata diversamente. Ho sempre voluto correre cercando di vincere, e talvolta mi è capitato di buttare delle occasioni decenti inseguendo il massimo risultato. Ma per imparare bisogna anche sbagliare, ed io ho sempre scelto di correre il rischio di sbagliare stando in testa, aprendo la pista e andando in fuga. È là che si corrono i più grandi rischi, ma è là che si impara veramente, e in fretta. Direi che gli ultimi risultati sembrano darmi ragione».
Quale è il tuo pensiero sulla Dakar?
«Vorrei che iniziasse oggi stesso. È molto tempo che lavoriamo duramente per riuscire a vincere questa corsa, e vogliamo vincerla. Credo che mi manchi ancora un passo per poter puntare al trionfo, ma non ci fermeremo finché non lo avremo fatto».
Quali sono le tue migliori caratteristiche? e le cose che devi migliorare?
«Credo che le mie migliori caratteristiche siano la voglia di vincere e il fatto che non ho paura di niente e di nessuno. Come sportivo e uomo rispetto molto i grandi dei Rally. Ma in pista mi piace sentirmi rispettato».
Piero Batini