La FIA vieta messaggi politici ai piloti di Formula 1: e se la nuova restrizione arrivasse anche in MotoGP? [SONDAGGIO]

La FIA vieta messaggi politici ai piloti di Formula 1: e se la nuova restrizione arrivasse anche in MotoGP? [SONDAGGIO]
La FIA, con una modifica al Codice Sportivo Internazionale, a partire dal 2023 vieterà ai piloti di Formula 1 la divulgazione di qualsiasi messaggio politico, personale o religioso che non sia stato pre-approvato dalla stessa Federazione. Una scelta che limita in modo pericoloso la libertà di espressione dei piloti, da sempre impegnati sul piano sociale. E se questa nuova restrizione arrivasse anche al mondo delle due ruote?
23 dicembre 2022

È arrivato senza preavviso, l'articolo 12.2.1.n del Codice Sportivo Internazionale della FIA. Una modifica piccola, almeno all'apparenza, nel complesso mondo che regola la Formula 1. Un cavillo che non è però passato inosservato e che nel giro di pochi giorni si è trasformato nell'ennesimo polverone mediato contro la Federazione Internazionale.

Dopo il cambio ai vertici e l'insediamento del nuovo presidente Mohammed Bin Sulayem, la gestione del licenziamento di Michael Masi in seguito allo scandalo di Abu Dhabi 2021 e le controversie sul caso budget cap, una nuova ventata di malcontento colpisce ora la FIA. Perché la modifica al regolamento presentata alla fine di questo 2022 e l'inserimento dell'articolo 12.2.1  impedirà di fatto ai piloti di Formula 1 a partire dal 2023 "la diffusione e l'esibizione di dichiarazioni o commenti politici, religiosi e personali, in particolare in violazione del principio generale di neutralità promosso dalla FIA nel quadro dei suoi statuti". Una sola eccezione lascia libertà ai piloti ed è quella che prevede che i messaggi siano stati "preventivamente approvati per iscritto dalla FIA per le gare internazionali o dagli organi nazionali competenti per le gare nazionali". 

In sintesi quindi i piloti non potranno parlare di nulla che non sia strettamente relativo allo sport salvo prima avere l'ok della FIA e della nazione ospitante. Risultato? Nessuna iniziativa sarà approvata nei luoghi in cui sarebbe davvero importante parlare. Non ci sarà un casco per i diritti umani in Turchia, come quello indossato da Lewis Hamilton nel 2020, non si parlerà della libertà delle donne in Arabia Saudita, come fatto da Sebastian Vettel, non si discuterà di omosessualità in Medio Oriente o in Ungheria, dove non sarà consentito indossare magliette o slogan a favore della comunità LGBTQ+. 

Sebastian Vettel
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Un passo indietro preoccupante per la FIA e per la Formula 1 stessa che con Liberty Media, l'azienda statunitense proprietaria del circus, nel 2020 aveva lanciato il motto "We race as one", invogliando piloti e addetti ai lavori a combattere ingiustizie sociali e aprendosi alle minoranze. Quello messo in atto dalla Federazione in vista del 2023 è un controllo che limita in modo preoccupante la libertà di espressione dei protagonisti del paddock, atleti che da sempre hanno il diritto di utilizzare la loro posizione mediatica per veicolare messaggi sociali e per mettere sotto i riflettori tematiche che ritengono particolarmente importanti. 

Viene dunque sponteo porsi una domanda: e se la scelta della FIA, arrivata in un momento di grande interesse da parte del pubblico nei confronti della Formula 1, venisse estesa anche ad altri sport? Se, ad esempio, anche il mondo delle due ruote attraverso una decisione della FIM decidesse di imporre una limitazione della libertà di espressione ai piloti di MotoGP e li obbligasse a evitare discorsi e commenti personali di ordine etico, religioso o politico? 

Sarebbe una censura ingiustificata e ingiusta o semplicemente un modo per togliere la politica dallo sport ed evitare polemiche? Vi chiediamo di dirci la vostra, qui sotto nei commenti e sui nostri social, su questo tema così dibattuto. 

Lewis Hamilton
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