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Negli Stati Uniti è considerato il guru delle elaborazioni per moto fuoristrada, famoso tanto per 28 i titoli vinti tra Supercross e National che per avere avuto l’onore di veder correre con i propri kit di trasformazione piloti del calibro di Jeremy Mc Grath, Ricky Carmichael, Chad Reed, Ryan Villopoto, Christophe Pourcel, Ben Townley, Mickael Pichon, Grant Langston. Mitch Payton è il fondatore nonché leader carismatico della Pro Circuit, azienda leader a livello mondiale per i suoi prodotti che fanno tendenza messi a punto sui campi gara da piloti prestigiosi e dal suo team che da anni spopola nei campionati della classe Lites. In occasione della nostra presenza a Corona, abbiamo scambiato con lui una serie di opinioni sul mondo del fuoristrada del c+versante statunitense e di quello europeo.
Mitch, l’ultima intervista l'abbiamo fatta quando erano da poco tornati in voga i motori a 4 tempi. In quel periodo per rendere più breve il periodo di apprendimento necessario per mantenere lo stesso livello prestazionale che avevi raggiunto con le moto a 2 tempi assumesti un tecnico con esperienza addirittura nella Nascar, la Formula 1 statunitense, a distanza di cinque o sei anni sei arrivato alla perfezione o c'è ancora da fare?
«Penso che non si finisca mai di imparare, sono sempre in cerca di nuove cose da applicare. Leggo libri per scoprire cosa c'è di nuovo o anche cose che noi stessi stiamo testando. Il settore più all'avanguardia riguardo la tecnologia è la Formula 1, dopo un anno per loro è già superata, non sanno cosa farne per cui cercano di inserirla nel mercato. Per cui ci sono aziende che producono pistoni, valvole o altri particolari tecnici che propongono questi prodotti già testati da loro e quindi cerchi di stare sempre al passo e sperimenti o esplori cose che vorresti realizzare. Per questo investo molto denaro su cose che crediamo interessanti, anche se poi succede spesso che molti prodotti alla loro applicazione pratica non dimostrato di essere migliori di quello che abbiamo, ma ci hanno comunque portato nuove conoscenze».
Era più difficile fare la differenza sui concorrenti quando c’erano i motori a 2 tempi oppure adesso?
«La situazione è simile. Quando ci occupavamo tutti dei 2T tutti correvano coi 125, le gare erano belle ed era differente il modo in cui si guida perché c'erano certi ostacoli nelle gare supercross che era difficile superare. Comunque 2 o 4T non cambia, specialmente nel motocross, la differenza la fa il tipo di guida del pilota e non la moto. L'equipaggiamento è molto più importante nelle corse su asfalto che nel motocross».
A proposito di piste, è una mia impressione che quelle supercross non siano più così tecniche come in passato?
«Effettivamente credo anch’io che ora siano più facili di quelle di una volta, forse gli organizzatori credono che se il circuito è più impegnativo la gara diventa meno combattuta. Da parte mia ritengo debbano essere più tecniche».
L'introduzione dell'iniezione rende più facile o più difficile lavorare sugli attuali propulsori?
«Per il consumatore medio l'iniezione è un bel vantaggio, perché l’erogazione è più facile e non ingolfa più la moto. Inoltre ha portato comunque nuove possibilità di intervenire a livello tecnico. Dall'altro lato può creare dei problemi elettronici e al carburatore, ma sopratutto mentre con le 2T tempi tutti capivano la moto, la sapevano smontare e sapevano dov'è il carburatore ora tutto è più sofisticato, perché saper lavorare al computer e per l’utente privato il fai da te è diventato quasi impossibile».
Se si ha a disposizione un budget ridotto consigli di investirlo sulla messa a punto delle sospensioni o del motore?
«Dipende dalla categoria della moto, più è piccola e più devi lavorare per aumentare le prestazioni. Quindi per una 250 punterei a pezzi del motore, per una 450 sulle sospensioni per renderla più facile da guidare».
Hai utilizzato o stai utilizzando tuttora prodotti italiani come i pistoni Vertex o le parti WRP, ti piace il made in Italy o è un caso?
«Ho molto rispetto per il mercato italiano. Molte volte negli Stati Uniti se vuoi costruire un pezzo speciale la prima cosa che ti chiedono è quanti ne vuoi, perché non c'è la passione di voler veramente fare qualcosa. In Italia invece la moto è talmente nel sangue della gente e si fa tutto con grande passione, vedi le persone che si dedicano con grande motivazione alla costruzione di moto o di accessori. Qui per trovare qualcosa di simile, devi andare nell'ambiente Nascar, ma anch’io amo le moto e mi piace aver a che fare con gente che prova le stesse cose. Vertex è una buonissima compagnia con cui trattare, perché amano le moto, stessa cosa per quanto riguarda Giandomenico Boni che è nell'ambiente delle moto da tutta la vita e sa come trattare con le persone. Per questo quando posso se trovo parti italiane all’altezza delle mie aspettative mi ci affido al 100%».
La Pro Circuit da due anni supporta anche un team che partecipa al Mondiale, è un'operazione di marketing o c'è altro?
«Il mercato europeo è diventato più importante, ed è necessario essere presenti anche nei GP, ma c’è anche da dire che in passato abbiamo faticato a trovare delle persone affidabili alle quali far gestire il nostro equipaggiamento per un lungo periodo. Poi ho avuto modo di affidarmi a Harry Nolte, il quale oltre ad essere un bravo tecnico che ha lavorato sia nel Mondiale che qui negli Stati Uniti è anche un amico, e ci siamo decisi ad avere una base anche in Europa dove sono tranquillo a mandare le nostre parti speciali del motore o delle sospensioni».
Il tuo team negli Usa ha riportato una quantità sconcertante di titoli nazionali, ben 28 dal 1991, è dovuto per la qualità della combinazione moto/pilota o ha influito anche la fortuna?
«Quando sei fortunato lo sei solo a volte. Certo è necessario esserlo, ma se guardo a tutte le gare che abbiamo fatto la maggior parte delle volte se non le abbiamo vinte siamo arrivati secondi, e non è poco. Il mio obiettivo di ogni anno è di essere competitivo e correre per il titolo, perché ci sono tanti team che hanno vinto un titolo e poi non fanno più nessun buon risultato mentre qualunque cosa accada il mio team ci sarà, sarà nel cuore della competizione».
Il pilota con cui ha lavorato meglio?
«Non posso fare un solo nome, perché ognuno è diverso. Da Jeremy McGrath che avevamo con noi già il primo anno quando correvamo ancora con la Honda, a Jimmy Gaddis che è stato il nostro primo campione con la Kawasaki, poi Pichon che aveva un carattere forte ma mi piaceva e siamo ancora amici, Carmichael, Tedesco, Langston, Townley, Villopoto, tutti bravi ragazzi e devo dirmi fortunato ad avere lavorato con loro».
Pourcel è considerato uno dal carattere un pò difficile, un pò simile a Pichon.
«Christophe è un ragazzo posato, con degli sbalzi di umore, ma è una persona genuina. A volte è difficile gestirlo perché vuole tutto a modo suo, ma non ho problemi per questo a patto che i risultati continuino ad arrivare. Ora che è in Europa se ne avvantaggerà il campionato perché con Cairoli, Desalle, Paulin e Frossard per gli spettatori ci sarà una grande stagione. Il Mondiale è appassionante, ci sono delle gare bellissime».
Sei il primo americano che lo dice così apertamente, di solito agli statunitensi non interessa affatto.
«C’è chi dice che nei GP i piloti dovrebbero essere pagati anche dagli organizzatori, e posso essere d'accordo, ma ogni volta che sono stato a una prova iridata o al Motocross delle Nazioni devo dire la presentazione dell'evento è fatta molto bene, molto meglio di quella del nostro National. Il modo in cui vengono proposti, l'organizzazione, tutto è di classe superiore e c’è da esserne fieri».
Cosa dovremmo aspettarci in futuro dalla tecnologia nel motocross?
«Si inizia a vedere già adesso. Il ritorno alle quattro tempi è stato il primo passo che ha segnato un grande cambiamento, mentre negli ultimi due o tre anni sono le sospensioni che stanno cambiando tantissimo. Stanno sviluppando modelli più leggeri, con migliori prestazioni ed economiche da produrre perché i giapponesi hanno grossi problemi con lo Yen. Anni fa Marzocchi aveva una forcella con da una parte la compressione e dall'altra il ritorno, ora Showa ripreso lo stesso schema diminuendo gli attriti e rendendola più vantaggiosa da produrre perché ha una cartuccia sola. Adesso ci sono voci che dicono che si ritenta con le forcelle ad aria, simile a quelle che c'erano già in passato. Si inizia a vedere l'importanza dell'elettronica nel nostro sport, per via dell'iniezione, e alle gare tutti hanno un portatile e lo usano per cambiare le caratteristiche della moto con l'elettronica come succedeva già da tempo nella MotoGP e in Formula 1, e in futuro quello sarà il modo di gestire la moto. Poi c’è l’aspetto del peso, se guardiamo quello del motore di una 250 e vediamo quanto pesa, dieci anni fa non si sarebbe potuto costruire. Qualità, ingegneria e continue prove hanno fatto diventare tutto così piccolo e leggero, anche se l’obbiettivo principale è tenere bassi i costi. Se bisogna investire troppo per renderle più potente è meglio lasciar perdere, perché dobbiamo essere sicuri di vendere le moto al pubblico».
Qual è la parte più difficile del tuo lavoro?
«Non mi piacciono le scartoffie, mi sfiniscono, e non mi piace la politica nelle gare, è orribile. Sfortunatamente è nella mia natura fidarmi delle persone, ma prima o poi quando ti fidi troppo resti scottato. Vuoi credere e fidarti delle persone, ma poi qualcuno ti frega o fa qualcosa di sbagliato. Alcuni si arrabbiano, ma io ormai non me la prendo più, sono in affari da trent'anni, ho visto di tutto e sono impermeabile».
Come mai il tuo team non si è mai schierato nella 450?
«Mi piacerebbe correre nella classe regina, ma con l’arrivo delle 4T Kawasaki mi disse che preferiva che noi ci concentrassimo nella 250 come era prima con la 125 per non interferire nei loro programmi per cui visto che per imbastire un programma ti serve un costruttore ed uno sponsor, la scelta di rimanere nella Lites è pressoché obbligata. Ci piacerebbe entrare nella classe 450, con forza, con un gran pilota, ma non lo farò finché non sono sicuro di poterlo fare come si deve e che non vada a penalizzare il programma MX2. La Lites è la nostra storia, e l’impegno nella classe Supercross avverrà solo se non distruggiamo quello abbiamo fatto sinora».
Quando preparate la moto per il supercross è fatta in un certo modo, poi la dovete riadattare per il National, è praticamente un doppio lavoro.
«In effetti c'è un sacco di lavoro. Per un po' è stato tremendo, facevamo i test per il supercross, poi quelli per le gare all'aperto, poi li rifacevamo per l'Europa perché ha regole diverse per suoni e carburante. Ai giorni nostri pensavo che AMA e FIM sarebbero arrivati a usare tutti lo stesso regolamento, gli Stati Uniti avrebbero adottato il Two Meter Max come quello che si utilizza nei GP per quanto riguarda la fonometrica e l'Europa le regole americane relative all'utilizzo del carburante. Sarebbe fantastico, vorrebbe dire che non ci sono scuse se un americano va a correre un GP, può portarsi la sua moto senza dover rifare dei test perché i livelli del suono sono uguali, la moto funziona allo stesso modo. Spero che riconsiderino questa faccenda del carburante, e credo che il limiti imposti con il Two Meter Max secondo me sono sufficienti, non credo che per le gare di motocross professionistico il suono debba essere più basso di così. Quando vai a una gara del MotoGP la parte eccitante è il rumore delle accelerate, così come in Formula 1, Nascar, Indy. Capisco che il problema con il rumore nasce perché le moto che portiamo ai GP sono le stesse che vendiamo alla gente per girare in collina, ma il fatto è che siamo andati troppo oltre dalle regole di cinque anni fa. Se vogliono mettere delle regole differenti per le gare degli amatori o le zone libere, va bene, ma per il Mondiale, il supercross o il National direi che ne abbiamo abbastanza».
Dal punto di vista del mercato, ha più valore una vittoria al supercross o al National?
«Direi il supercross perché è strettamente correlata alla stagione delle vendite. Negli Stati Uniti le nuove moto escono tra settembre e dicembre, ma sono comprate anche fino a febbraio o se il tempo è brutto si aspetta la primavera, per cui quando inizia l'outdoor tutti hanno già la loro moto, completata con uno scarico o altri accessori».
Abbiamo capito che il Mondiale ti piace, non è un peccato che quest'anno non ci sia un GP negli Stati Uniti?
«Senza dubbio, e capisco la posizione di Giuseppe Luongo perché lo sforzo lo ha fatto l'anno scorso ma i piloti americani non hanno partecipato. D’altronde arrivavano da diciassette gare supercross, avevano solo una settimana libera e poi l'inizio del National con altre dodici gare. Avere una gara proprio nel loro unico fine settimana libero ha reso difficile la loro presenza, io stesso avevo paura per i miei piloti. Mi sarebbe piaciuto partecipare, ma, se uno di loro si fosse rotto una clavicola, tutti mi avrebbero detto: che cretinata, perché l'hai fatto correre? Se si vuole la partecipazione dei piloti americani si deve tenere conto di alcune regole: prima cosa la pista deve essere da qualche parte nella California del sud, perché ogni costruttore è quaggiù e quindi è più pratico logisticamente parlando mentre andare a Bud Creek è stato lunghissimo, è stato come andare da Parigi a Mosca, e ci siamo andati solo perché la nostra stagione era finita. Secondo: andrebbe fatta a fine stagione, come ultimo GP o qualcosa del genere, un po' dopo il National, in autunno, così i piloti possono decidere se non se la sentono o se vogliono fare ancora una gara e divertirsi. Il massimo sarebbe vedere Giuseppe Luongo della Youthstream e l’organizzatore del campionato outdoor Dave Coombs organizzare un evento che racchiuda sia un GP che un National e che assegni punti per entrambi i campionati. Così hanno interesse a partecipare sia i piloti americani che europei, si potrebbe anche decidere in anticipo quanti piloti possono partecipare, venticinque per tipo, o venti o quaranta, poi fare le qualificazione e la gara. Se arrivi primo hai i punti del primo, e arrivi terzo ha i i punti del terzo, ma puoi decidere se sono punti AMA o GP. Sarebbe una gara fantastica, l’evento dell’anno, tipo un Motocross delle Nazioni. Con i migliori piloti del mondo della 250 e della 450, con tutti gli sponsor e con tantissimo pubblico, come una gara All Star, nel giro di tre anni diventerebbe l’appuntamento dell’anno. Ci vuole solo un po' di sforzo da parte di tutti, ma il successo sarebbe assicurato».