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Ciao a tutti! Per la quarta volta consecutiva Jonathan Rea è campione del mondo della Superbike, mai nessuno ha fatto tanto, è un grandissimo pilota; anche la sua ZX-10RR è una gran moto, ma sono in pochi a dubitare che lui sia attualmente il migliore: la sua guida è precisa e leggera, per costanza e lucidità è il numero uno, concentrazione e motivazione non sembrano calare. Bravissimo Jonathan, e se in Superbike soltanto due piloti -Scott Russel nel ‘93 e Tom Sykes vent’anni dopo- hanno conquistato un titolo per Kawasaki, mi viene in mente che a realizzare il poker con le verdone Rea non è il primo e nemmeno il secondo. E’ il terzo.
Sono passati molti anni da quando la Kawasaki vinceva nel mondiale velocità, eppure quei tempi hanno lasciato il segno e hanno completato il DNA della marca giapponese. Il sudafricano Kork Ballington ha vinto quattro titoli in due anni -1978 e ’79, 250 e 350- perché allora era normale correre in due classi, il tedesco Toni Mang è arrivato dopo e nel triennio 1980-82 ha fatto lo stesso poker. Però Mang ha vinto successivamente anche con la Honda e Ballington no, è sempre rimasto “in verde”, e di lui vi voglio parlare anche perché, alla fine del mese a Phillip Island, proprio lui entrerà nella Hall of Fame del motomondiale e vale la pena di sapere chi è.
Kork oggi vive in Australia con la famiglia ed è un distinto signore che qualche volta si incrocia alle rievocazioni. A quei tempi era un piccoletto molto baffuto, capelli in disordine come si usava, che conosceva la meccanica e parlava poco. Non so perché la Kawasaki prese lui e il biondo Gregg Hansford per guidare le KR bicilindriche in tandem; so che le moto erano potentissime e che gli ingaggi dovevano essere alti: i due furono i primi piloti a presentarsi nel paddock con i motorhome americani Winnebago, motore V8 e dieci centimetri di moquette sul pavimento. Ballington aveva già fatto due stagioni di mondiale con le Yamaha private e si era capito che andava forte. Con le KR di media cilindrata vinse ventisette volte in due anni, battè piloti forti, anche Graziano Rossi sulla Morbidelli, e poi i giapponesi lo misero sulla 500. La KR quattro cilindri in quadrato, telaio monoscocca, era molto interessante ma acerba e così alla fine dell’82, quando la Kawasaki si ritirò, si fermò anche il sudafricano. Una carriera corta, solo sette anni.
Io lo vidi per la prima volta a Imola in una gara internazionale del ’76, che Kork vinse sorprendendo il fortissimo Walter Villa con l’Aermacchi Harley-Davidson. Fu clamoroso: Villa era al comando tutto solo e nel finale si rilassò, Ballington, che era partito male, cominciò a mangiargli cinque secondi al giro. Quando il muretto dell’italiano lo notò era a meno dieci, quando lo cronometrarono era a meno cinque, quando lo segnalarono a Villa già quello gli usciva dalla scia e andava a vincere. “Come mai ti sei fatto fregare?” gli chiese Pino Allievi della Gazzetta. Incavolato nero, Walter rispose: “Pensavo che fosse un doppiato”. Che resta per me la trovata più fantasiosa che un pilota possa inventare per scaricare la responsabilità sul team senza sputtanarlo direttamente.
Nella foto: Ballington con Mang