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Ciao a tutti! Domenica ero a Valenza, famosa città degli orafi e di quell’Amisano Gino che con l’iniziale della sua città fondò l’AGV dei caschi. Amisano è scomparso pochi anni fa, è stato un protagonista della ricostruzione e un precursore, ha infilato i suoi caschi sulle teste di Ago, di Roberts e di mezza F1, ha aiutato Checco Costa con le prime 200 Miglia, ha raccolto l’appello di Claudio Costa per la prima clinica mobile. Era un ometto che non stava mai fermo, simpatico, vivace e intelligente. E se passate da quelle parti sappiate che a Valenza, per un mese, potrete ammirare una bella raccolta dei suoi caschi più famosi, delle moto che ha sponsorizzato, degli oggetti e delle foto della sua professione. Per info: il sito è www.amisanoginovalenza.it.
Bene, c’era molta gente, domenica, e c’erano quattro piloti. Danilo Petrucci, ventiduenne della CRT, poi, per la Moto3, i 17enni Niccolò Antonelli e Romano Fenati, e il non ancora sedicenne Francesco Bagnaia che affiancherà Romano nel team Italia. Tra tante teste grigie –classiche di queste celebrazioni- i quattro non si sono intimiditi e anzi hanno partecipato con molta professionalità e soprattutto con entusiasmo. La storia di Gino Amisano, che ovviamente non hanno mai conosciuto, è piaciuta anche a loro. E a un certo punto è nata una interessante discussione. Da una parte Agostini che metteva in dubbio l’opportunità di mandare in pista i piloti-ragazzini, dall’altra il dottor Costa che introduceva argomenti originali. I quattro, con qualche mamma al seguito, seguivano attenti.
E' nata una interessante discussione. Da una parte Agostini che metteva in dubbio l’opportunità di mandare in pista i piloti-ragazzini, dall’altra il dottor Costa che introduceva argomenti originali
«I bambini – filosofeggiava Claudio- sono al centro del nostro mondo, per loro tutti noi adulti ci appassioniamo e ci impegniamo, e tra pochi giorni, a Natale, ne adoreremo uno molto speciale. Con i fanciulli noi adulti ci comportiamo in due modi, qualche volta mostrando loro la strada della nostra esperienza e altre volte lasciandoli giocare spensierati. Il gioco li fa crescere. Credo che non si possa dire a priori ciò che è buono e ciò che non lo è, ma che sia soltanto questione di trovare la personale misura».
Ago è un uomo solido e concreto, annuiva ma non pareva così convinto. «Siamo tutti felici di vederli correre –ha concluso con una certa saggezza- ma se poi succede qualcosa di doloroso ci chiediamo dove abbiamo sbagliato».
Lui ed io siamo piloti (fatte le debite proporzioni) di altri tempi: i mezzi erano pochi, i genitori avevano altre urgenze, cominciare a correre prima dei vent’anni era quasi impossibile. La nostra generazione oggi si preoccupa che questi ragazzi non valutino a fondo i rischi, e poi noi pensiamo che la fame (di correre, di andare, di crescere) alla fine aiuti anche a coltivare motivazione e talento. Io però ho fatto notare a Giacomo che questi ragazzini corrono già da molti anni, che hanno iniziato prestissimo come capita del resto in tutti gli sport, e che (finché dura) questo è lo spirito di oggi e poco ci si può fare.
Però chissà, l’argomento è di quelli caldi, e mi piacerebbe sentire anche la vostra opinione.