Nico Cereghini: “Cronometristi, che passione!”

Nico Cereghini: “Cronometristi, che passione!”
Il gesto del pollice che pigia sul cronometro è quasi sparito dal nostro sport. La tecnologia ci offre in cambio una serie di vantaggi, certo, ma un po’ di rimpianto resta. I cronometristi erano dilettanti che lavoravano da professionisti
5 maggio 2015

Punti chiave


Ciao a tutti! Oggi siamo così abituati alla tecnologia da non stupirci più di nulla. Pensate al cronometraggio: con i trasponder sulle moto e l’elaborazione dei dati in tempo reale, noi seguiamo le corse di vertice esattamente come fa, al muretto, il più esigente dei team manager. Tempi parziali, tempi sul giro, distacchi tra un pilota e l’altro, e tutto restando seduti nel salotto di casa. Naturalmente molti di voi preferirebbero fare cambio: Suppo in poltrona e noi al muretto HRC. Ma non tutto è gratis, nella vita, Livio Suppo si è guadagnato il posto e a noi resta un po’ di invidia.


E’ stata la Dorna a dare un bell’impulso al sistema, e in particolare l’italiano Giovanni Pipia, più di vent’anni fa protagonista nel team Olivetti-Longines e poi passato direttamente alla Dorna con Tissot. La figura del cronometrista tradizionale, quello col cronometro alla mano, sopravvive nelle categorie minori e naturalmente in molti altri sport. E pensare che quella era una figura centrale del motociclismo.


Andavo spesso nella cabina di cronometraggio, per lavoro o anche soltanto per curiosità. Per il nord Italia il responsabile era un distinto vecchietto che si chiamava Marchesani, il padre di quel Gian Emilio che fu un valido pilota in sella all’Ala d’Oro e poi tecnico di valore alla Paton. Quello degli specialisti del timing era un gruppo affiatato e di veri appassionati, dilettanti puri, ma con i ruoli accuratamente definiti. Prima dell’avvento della fotocellula sul traguardo (attenzione a non passarci davanti a piedi!), il lavoro era tutto manuale: chi schiacciava il cronometro collegato alla stampante, chi dava ad alta voce i numeri dei piloti che passavano sulla linea del traguardo, chi li scriveva sul foglio in successione. In un secondo tempo si procedeva a confrontare la stampata dei tempi con il foglio dei passaggi, e si faceva la differenza tra i due valori parziali dello stesso pilota. Altro che risultati in tempo reale! Ci volevano ottimi riflessi sul cronometro, occhi buoni per beccare i numeri da lontano; e serviva anche una bella prontezza matematica per calcolare i tempi sul giro in un attimo perché, tanto per complicare le cose, i minuti son divisi in sessantesimi e i secondi in decimi e centesimi. Concentrazione era la parola d’ordine, e veder lavorare quel team era una meraviglia.


Così, quando a Vallelunga nel ’71 i cronometristi andarono in confusione e la gara fu addirittura annullata, non mi arrabbiai più di tanto, anche se “forse” avevo vinto la 500. Era il 24 ottobre, più di quaranta equipaggi al via per la 500 Chilometri, oltre quattro ore di gara, e la prima classifica assoluta dava la Laverda SFC davanti alla Guzzi V7 Sport. Poi Tino Brambilla protestò a voce alta, gli animi si scaldarono, volarono pugni e calci tra gli equipaggi in cabina di cronometraggio, qualche sacro foglio fu anche stracciato, e alla fine la FMI decise di non omologare la corsa. Io ero in coppia con Gianni Belli su una Titan 500 Suzuki e credevo di aver vinto la categoria, ma lo stesso pensavano anche Bonera-Magni con una Titan Daytona e i siciliani Ribolla-Parrinelli con una Kawasaki tre cilindri. Che tempi! Quattro ore a manetta tra i Cimini e la Roma a grattare le espansioni sull’asfalto. E per puro divertimento…

 

 

auidio 281
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