Nico Cereghini: "Da Suzuka a Le Mans, storie di amore per la moto"

Nico Cereghini: "Da Suzuka a Le Mans, storie di amore per la moto"
L’Endurance è uno spettacolo per palati fini. Bisogna essere davvero appassionati per correrla e per guardarla. E Kevin Schwantz è un motociclista autentico | N. Cereghini
30 luglio 2013

Ciao a tutti!
Alla otto Ore di Suzuka, domenica scorsa, c’era anche Kevin Schwantz. Naturalmente in sella a una Suzuki, una GSX-R 1000 ufficiale, con Nory Haga e Yukio Kagayama; e l’equipaggio totalizza 126 anni, perché i due giapponesi sfiorano la quarantina e il texano ha appena fatto i 49 anni.
Mitico Kevin, il più simpatico degli americani che ho conosciuto, fermo da 18 stagioni e ancora amatissimo dagli appassionati per il suo modo di guidare generoso e spettacolare.

Schwantz ha dato un bell’impulso alla gara, che un po’ stenta. L’Endurance ha sempre avuto bisogno di storie e personaggi, perché non è una competizione facile da leggere e se chiede passione ai piloti – che faticano un bel po’ - ne chiede altrettanta al loro pubblico. La bellezza delle maratone in pista, in fondo, è proprio qui: protagonisti e spettatori si sentono uniti dallo stesso fuoco, e dopo tutte quelle ore di veglia condividono sonno, stanchezza, testa piena di suoni e uno struggimento analogo.

La bellezza delle maratone in pista, in fondo, è proprio qui: protagonisti e spettatori si sentono uniti dallo stesso fuoco, e dopo tutte quelle ore di veglia condividono sonno, stanchezza, testa piena di suoni e uno struggimento analogo

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Quello che sento ancora guardando le tre fotografie che vi passo. Era il 1974, eravamo a Le Mans per correre il Bol d’Or, equipaggio Giancarlo Daneu ed io (vedi foto in apertura, sulla sinistra).
La moto mi pare bellissima ancora adesso, molto raffinata: è la fiorentina Segoni K 900, con il suo bel telaio monotrave ed il motore Kawasaki quattro cilindri preparato da Termignoni.
Guardo la gomma posteriore, Dunlop K91, e mi si stringe il cuore.

Era il mio terzo Bol, le ambizioni erano abbastanza alte
, c’era un mucchio di gente, il tempo era bello. Giancarlo, nella foto, ha un atteggiamento da guascone che non gli apparteneva ed io, vero cespuglio umano, sono accanto a Roberto Segoni, il fratello di Giuliano. Roberto era un quotato designer, uno che progettava i treni, mentre Giuliano era tutto per la moto, credeva nei suoi telai speciali, non stava fermo un minuto.

Lo vedete nella seconda fotografia, la più bella, scattata nel freddo delle prime luci del giorno: dopo la lunga notte di gara la divisa bianca del team Segoni risultava leggerina. Giuliano e Lelio (meccanico per passione) sembrano resistere, mentre un terzo componente, di cui non ricordo il nome, si aiuta con una coperta di lana.
E’ un quadro: nel sorriso stanco dei due fiorentini e in quella figura di spalle c’è per me tutta l’essenza dell’Endurance, la fatica e l’amore. Noi si correva gratis, felici di farlo, e ci sentivamo apprezzati e coccolati come mai più ci è capitato.

Giuliano Segoni e Lelio
Giuliano Segoni e Lelio


E la terza fotografia lo chiarisce bene (vedi gallery a destra). E’ il momento dell’arrivo, alle 16 della domenica il pubblico si è radunato nella zona box, ha invaso la pista, aspetta i suoi piloti. Non c’è minaccia, in questa immagine, non si respira preoccupazione. Solo un abbraccio. Chi ha la fortuna di concludere la corsa ha già rallentato da un po’ di giri per rispetto alla meccanica, sfilerà a bassa velocità, forse avrà un nodo alla gola. Oh, beh, i GP hanno tutta un’altra energia, ma l’Endurance contiene una poesia speciale.
E lo sa bene anche Kevin Schwantz che si è rimesso in gioco a quarantanove anni.

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