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Ciao a tutti! Spicca una notizia tragica, nel fitto fine settimana motoristico: la morte a Misano, in Coppa Italia, di un giovane pilota che si chiamava Emanuele Cassani. Ne abbiamo dato riscontro domenica: una dinamica perfida, la carambola subito dopo il via della Bridgestone 600, Emanuele finisce a terra con la sua Yamaha R6, i piloti che lo seguono non riescono ad evitarlo. Questo povero ragazzo faentino avrebbe compiuto 26 anni a giugno: una passione enorme per la moto, diverse vittorie, andava forte e anche qui scattava dalla prima fila con il secondo tempo. I quotidiani d’informazione e i telegiornali hanno usato toni pesanti, accade sempre in questi casi, ma d’altra parte non si può dar loro torto. Anche voi, in alcuni commenti, avete evidenziato quanto sono pesanti i bilanci del nostro sport; e se siamo colpiti dalla dura contabilità delle vittime persino noi –che pure condividiamo la passione e comprendiamo la spinta a correre- figurarsi chi si sente estraneo a queste ragioni e a queste emozioni.
Purtroppo lo sport che amiamo è pericoloso. Inutile girarci intorno. Non il più pericoloso, ma comunque uno dei numerosi sport pericolosi. E io dico che ignorare il rischio, sottovalutarlo, anche soltanto far finta di niente, è ancora più pericoloso. Parto da una nota amara: ad Austin, diverse ore dopo la morte di Emanuele Cassani, la Dorna non ha sentito la necessità di fare qualcosa per esprimere il suo lutto e la sua partecipazione, nonostante la passione sia la stessa che accomuna i piloti grandi e quelli piccoli. Questo silenzio è stato vergognoso. E non perché servissero discorsi sulla retorica del sacrificio, ma proprio perché, almeno dal mio punto di vista, questo silenzio riflette una impostazione che fa del male a tutto il motociclismo. Io penso che il pericolo vada prima di tutto riconosciuto, e soltanto così si può poi affrontarlo e risolverlo in tutti i suoi aspetti. Dorna e FIM qualcosa fanno e le piste per esempio sono migliorate tanto, ma entrambe restano su terreni ambigui e di sicuro non fanno abbastanza.
Ignorare il rischio, sottovalutarlo, anche soltanto far finta di niente, è ancora più pericoloso
So quel che dico. La federazione internazionale dello sci, per dirne una che si occupa di altri sport pericolosi, ha una struttura specifica che si chiama ISS (Injury Surveillance System); qui, con importanti università, medici prestigiosi e aziende, la FIS affronta la problematica della sicurezza in modo continuativo e professionale, tanto che recentemente ha cercato un accordo con Dainese per realizzare un air-bag specifico per i suoi sciatori, da rendere obbligatorio. Ebbene, tanto per fare un confronto impietoso sullo stesso argomento delle lesioni al tronco, la FIM non prevede nemmeno l’obbligatorietà del paraschiena, che a norma di regolamento è attualmente –e parlo del campionato mondiale piloti- soltanto “suggerito”.
Qui siamo a livello della Piaggio, che negli anni Settanta, nel tentativo di arginare l’obbligatorietà del casco per la Vespa, ancora commissionava uno studio al Politecnico per dimostrare che il casco… era pericoloso! Non ci credete? Io alla conferenza stampa di presentazione di tale dotta relazione c’ero, e rimpiango soltanto di non averla conservata.
Detesto chi, magari pensando di non appannare l’immagine del nostro sport, finge di non vedere e non sapere.