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Ciao a tutti! Dopo la tragedia di Dean Berta Vinales mi sono preso del tempo. Meglio il silenzio –e una preghiera se credete- che scrivere sciocchezze: tante ne abbiamo lette tra sabato e domenica sul web e sui social, confuse -e lo sottolineo- con altrettanti commenti sensati. L’emozione è forte anche perché questo è un anno orribile, per i giovanissimi e le corse di moto: Vinales aveva 15 anni soltanto, due mesi fa era stato travolto e ucciso ad Aragon il quattordicenne Hugo Millan, alla fine di maggio era deceduto a Firenze Jason Du Pasquier, 19 anni, 24 ore dopo l’incidente al Mugello nel GP d’Italia.
Nel luglio del 2018, nel CEV a Barcellona, era morto Andreas Perez, anche lui 14 anni. Sono drammi enormi: un ragazzo che muore investito sulla pista e altri ragazzi della stessa età coinvolti. Ed è a tutti loro che rivolgo il primo pensiero, poi ai famigliari e agli amici, cercando le parole che possano consolarli e che non esistono. Il nostro è uno sport pericoloso eppure lo amiamo, nonostante tutto.
Ora pongo una domanda, tra tante: come siamo arrivati a questo punto? Con quaranta ragazzini, intendo, spesso inesperti, su moto troppo pesanti per loro e su piste troppo veloci? Molti hanno tuonato contro la FIM e certo, in ultima analisi, è la federazione internazionale che approva i regolamenti tecnici e sportivi. Ma trovo che questi attacchi siamo un po’ ipocriti.
Negli anni Settanta e Ottanta non avevo nessuna pietà, per i parrucconi della FIM, che erano perfettamente consapevoli dei rischi che si correvano su piste troppo pericolose, ma facevano la guerra ai piloti anziché ai gestori degli impianti. Forse per interesse, come minimo per superficialità e quieto vivere. Ma oggi le cose sono diverse. Sarà ancora un po’ lenta nelle reazioni, vivrà ancora qualche spazio di ambiguità, ma nel complesso la FIM si muove bene e ascoltando tutti.
Bruciare i tempi, praticare sport da piccolissimi, fare sempre più in fretta. E' lo spirito del nostro tempo e la FIM si è adeguata alla spinta che viene dal basso: innanzitutto dai ragazzini e dai loro genitori, poi dai costruttori delle piccole moto, dai kartodromi e dalle piste che nascono un po’ dappertutto. Poi sempre più su, alla ricerca di spazi più aperti per moto più grosse per i bambini diventati ragazzi. E la passione si lega naturalmente agli interessi.
Tutti noi ci entusiasmiamo davanti a un bimbo con il casco integrale e le protezioni: ci intenerisce vederlo entrare in pista, forse ci identifichiamo addirittura con lui quando è felice perché per la prima volta tocca l’asfalto col ginocchio oppure quando impara a saltare alto in una pista da cross. Le gare dei bimbi sono già una materia delicata. Sulle formule successive occorre fermarsi a riflettere.
Abbiamo dato spazio alla passione. Forse troppo spazio. E’ il momento di ripensare le scelte fatte, di riconsiderare le formule che mettono le moto vere nelle mani di ragazzini inesperti e farli correre quaranta alla volta su piste veloci. E’ certamente il caso di stabilire dei nuovi limiti. So che la FIM lo sta facendo, si è organizzata e ha gli strumenti adatti per farlo. L’unica raccomandazione: facciamo in fretta perché il dramma è insopportabile.