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Ciao a tutti! Il mio amico e collega Antonio Privitera vi ha raccontato la sua prima esperienza all'isola di Man, qui sul sito, e lo ha fatto con la passione e l'umanità che traspare da tutti i suoi lavori. Domenica poi ha dialogato con lo Zam, nel podcast che questa volta Giovanni ha dedicato al Tourist Trophy. Ascoltatelo, se già non lo avete fatto, ne vale la pena.
Zamagni non nasconde la sua perplessità. È pieno di dubbi come lo sono io. In sintesi, lui come me manifesta il massimo rispetto per i piloti che vivono per il TT, ma non si accontenta della retorica e si fa delle domande. Tutto questo ha ancora senso? Come si fa a correre a quelle medie su quelle strade? E come si fa ad accettare con fatalismo tutte quelle vittime (oltre 260)?
Antonio ha detto delle cose importanti. Quelle belle. Che c'è un clima straordinario molto coinvolgente; che piloti, pubblico e marshall (che non sono nemmeno pagati) si sentono parte di una comunità speciale e strettamente legata; che ogni appassionato ha la grande possibilità di assistere alla gara da vicinissimo, in posti spettacolari, poi di avvicinare i piloti e dialogare con loro nel paddock. Che non c'è infine alcuna morbosità in chi accorre sull'isola: nessuno ci va per assistere all'incidente, ma solo per partecipare all'evento più coinvolgente dell'anno.
Le cose brutte. La velocità: è altissima e nulle sono le misure di sicurezza, qualsiasi incidente ha esiti potenzialmente drammatici. La morte: fa parte della gara, al punto che persino le famiglie delle vittime accettano queste morti con tranquillità e fatalismo. I soldi: tutto costa carissimo, persino i campeggi sono molto costosi e si capisce bene come l'economia dell'isola di Man si basi sulla settimana di gare.
Ecco, cosa pensate del Tourist Trophy voi lettori? Vi pongo direttamente la domanda perché sui social vedo una vasta partecipazione ai dibattiti sul TT. Dove si fronteggiano fondamentalmente due visioni opposte: c'è chi vede quella gara come la massima rappresentazione del coraggio, della passione motociclistica e della libertà. E chi la vive come una gara anacronistica, fuori dal tempo e inutilmente veloce e pericolosa.
Sull'isola di Man sono morti tanti grandi campioni ai quali ero affezionato, come Santiago Herrero e Gilberto Parlotti. Oggi muoiono i dilettanti: cinque vittime quest'anno, tre (oltre purtroppo a un ferito molto grave) soltanto nella classe sidecar. L'ultimo incidente quello di Roger e Bradley Stockton, padre e figlio, 56 e 21 anni, esperto il papà, al suo primo TT il ragazzo, morti tutti e due. Questi sono fatti.
Sull'altro piatto della bilancia ecco tante imprese che definire affascinanti è quasi riduttivo. Senza scomodare Hailwood, Ago o la stirpe Dunlop, l'ultima è quella di Peter Hickman, che sabato ha vinto il suo secondo Senior TT e ha portato a quota quattro le sue vittorie nella settimana: già aveva dominato la Supertwin, la Superstock e la Superbike... Roba da leggenda.
Non c'è un altro circuito che possa fare concorrenza all'isola. Per fascino, gloria, tradizione, passione. E tragedia. Personalmente, dopo una prima spedizione ai tempi di Ago, me ne sono tenuto ben lontano: ho preferito dedicarmi al miglioramento della sicurezza sulle piste italiane, con la prima associazione dei piloti negli anni Settanta. Il TT e gli altri circuiti stradali, per noi, erano il passato.