Nico Cereghini: "L’ultimo circuito cittadino"

Nico Cereghini: "L’ultimo circuito cittadino"
Si corse nella zona industriale di Pesaro, una città piena di passione: dalla 50 alla 500 tra migliaia di balle di paglia. Miracolosamente tutto filò liscio, ma poi si voltò pagina | N. Cereghini
31 dicembre 2014

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Ciao a tutti! Mi è capitata tra le mani una vecchia fotografia scattata a Pesaro, roba dell’estate ’78, e subito ho rivisto un film. La trama è interessante perché si parla della sicurezza, quella che proprio in quegli anni stava diventando centrale nel motociclismo.

A quei tempi c’era la prima associazione dei piloti italiani, l’APIM dei modenesi Dante Ascari e Walter Villa. Sempre stati avanti, i modenesi. Ebbene salta fuori che a Pesaro vogliono organizzare una corsa cittadina, un azzardo che da anni non si fa più; non sullo storico tracciato di Villa Fastiggi dove aveva vinto anche Saarinen, ma più a monte, nella nuova zona industriale sul Foglia. Il presidente del moto club si chiama Goffredo Tempesta, e tempesta si annuncia perché tra capannoni, muri, ringhiere e pali della luce avevamo giurato di non correre più. Ascari mi telefona e mi dice però che la federazione ha dato l’ok, che l’organizzatore ha promesso duemila balle di paglia e che l’unica cosa che possiamo fare è andar giù in anticipo e sistemare al meglio queste protezioni. Prendo la mia brava Laverda 1000 e parto il mercoledì. Il furgone dei fratelli Sacchi con la RG 500 Suzuki arriverà due giorni dopo.

Le gare di moto restano purtroppo pericolose. Meglio saperlo, meglio ricordarsene

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Quanto peserà una balla di paglia di quelle là? Quaranta chili almeno. Non sto a raccontarvi quei due giorni da matti, a scaricare e spostare queste tantissime e maledette balle, con il filo di ferro che mi tagliava le mani. Nemmeno i guanti da lavoro, avevo. Gli uomini del moto club erano efficienti e disponibili, me lo ricordo bene, ma anche pronti a lasciar fare a noi dell’APIM e a scaricare le responsabilità. Brutta faccenda, arrivai alla gara che ero uno straccio, le mani sanguinanti. E pensare che il tracciato era bello e mi piaceva parecchio. Partito ultimo, rimonta possibile, quinto al traguardo, l’unica gara della mia vita di cui non ricordo nemmeno il vincitore. E per fortuna non ci furono troppe cadute sul veloce, né incidenti gravi, perché in quelle condizioni, balle o non balle, il rischio era altissimo. Tant’è vero che quella resta l’ultima corsa cittadina della storia della moto in Italia.

La foto tecnicamente non è granché, però è tra le mie preferite. Mi piace la moto, la mia posizione raccolta, il giro di nastro americano sul ginocchio come faceva Kenny Roberts, l’esafoglio di Santiago Herrero sul casco Nava. Un bell’inserimento in curva senza sforzo, si vede bene che sulla moto tutto funziona a meraviglia.

Quando arriva il momento della gara non pensi più ai pericoli, ma solo ad andare più forte possibile. Oggi corriamo su piste quasi perfettamente sicure, ma il rischio non può essere annullato. La moto non è protettiva come l’auto né lo può diventare. Certamente tanto si è fatto, sulle piste e anche sulle protezioni individuali; e tanto c’è ancora da fare, e dobbiamo ringraziare mille volte tutti quelli, e sono tanti, che lavorano sodo sulla sicurezza. Ma le gare di moto restano purtroppo pericolose. Meglio saperlo, meglio ricordarsene.

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