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Ciao a tutti! La scorsa settimana Giovanni Zamagni ha raccontato la serata milanese in onore di Roberto Gallina, alla quale purtroppo non ho potuto partecipare, e lo ha fatto con una serie di videointerviste interessanti. Ne è saltata fuori, a mio parere, anche una bella rappresentazione di come gli ex piloti vivono a distanza di tempo la loro carriera e la loro storia. Tre tipologie che riconosco. Gallina è un entusiasta con tanta voglia di farti capire bene quello che si è inventato e ha combinato negli anni d’oro, Virginio Ferrari è un generoso che sa anche fare un passo indietro per rendere onore al suo vecchio manager, Marco Lucchinelli pure, ma poi si è visto che qualcosa gli brucia dentro, come qualche lettore ha capito.
Sono amico di tutti e tre e anzi lo sono soprattutto di Marco, ho sempre ammirato la sua sincerità e se oggi ha il dente avvelenato contro certa stampa, come ha fatto chiaramente intendere, avrà le sue buone ragioni e non è affar mio. Di sicuro non ce l’ha con me né con Zamagni e questo mi basta. Se oggi mi occupo di lui, credetemi, non è per criticare, ma per andare oltre. Vorrei indagare sugli ex e su come vivono il loro passato di piloti. Ne incontro tanti.
La tipologia più diffusa è quella di chi ha l’ansia di ricordare a tutti quanto è stato bravo , quanto di più avrebbe potuto raccogliere se le cose fossero andate per il verso giusto, se quella volta non si fosse rotta la moto e avesse avuto i pezzi buoni come quell’altro e via di questo passo. Devo purtroppo ammettere che talvolta mi ci ritrovo, in questa categoria, anche se tra i migliori ci sono stato solo una o due volte nella vita… Di solito me ne rendo conto un po’ in ritardo e allora taccio. Poi ci sono quelli che non hanno mai chiuso i conti col passato. L’anagrafe purtroppo gioca sempre a sfavore, nessuno migliora invecchiando, in ogni modo ne conosco pochissimi che siano stati capaci di accettare lo stacco e passare veramente ad altro. Franco Uncini è forse uno di quei pochi, e anche Virginio Ferrari.
Marco Lucchinelli ha avuto una vita complicata, ha fatto anche degli errori ed ha sofferto. Restando nell’ambito corse, il suo errore è stato quello di lasciare a fine 1981 la Suzuki e il team Gallina, a titolo appena vinto, per inseguire la Honda che lo pagava molto meglio. Un errore che poi tale non sembrava, io stesso lo incoraggiai: Honda era Honda, anche se aveva un cilindro in meno avrebbe vinto molto presto, e poi soprattutto era impossibile prevedere che quel Freddie Spencer fosse così forte. Lì Marco si è giocato un altro paio di titoli mondiali, secondo lui e anche secondo me: nell’82 sarebbe stato al posto di Uncini, nell’83 chissà, ma difficilmente sarebbe finito con la Cagiva che si metteva in moto al contrario e ogni volta rischiava di partire in retromarcia.
Ecco, anche se è ben conscio che la storia non si fa con i “se” e con i “ma” Lucchinelli vorrebbe che tutti gli riconoscessero qualcosa più di quell’unico titolo mondiale. E’ la mia sensazione e magari mi sbaglio: Marco è scanzonato, guascone, provocatorio, apparentemente è una roccia; ma credo che quel rimpianto sia lì che lavora, come brace sotto le ceneri. Gli ex sono fatti così, hanno delle debolezze come tutti noi, non sono mica dei supereroi. E’ per questo che oggi rompo gli indugi, dimentico per una volta la prudenza e metto nero su bianco una verità che ho sempre pensato però mai scritto: Lucchinelli aveva più talento di tutti i suoi contemporanei. Uncini aveva più testa, Ferrari aveva più fegato, Graziano Rossi aveva più fantasia, ma il miglior talento era Marco.