Nico Cereghini: "Perché lasciammo Monza negli anni Settanta"

Nico Cereghini: "Perché lasciammo Monza negli anni Settanta"
La tragedia del maggio 1973 portò al trasloco del Nazioni, a Imola e poi sul nuovo Mugello. Con altre vittime, purtroppo, perché la sicurezza allora non esisteva. Ma fu la nascita di un nuovo motociclismo | N. Cereghini
29 gennaio 2013

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Ciao a tutti! L’argomento Monza ha interessato molti lettori e però uno di voi mi ha mosso una critica particolare. Non l’ha fatto sul sito, mi ha affiancato al semaforo sulla sua Speed e ha esordito così: “Sì, Monza era pericolosa, niente spazi di fuga e l’avete boicottata dopo il ’73. Ma per andare dove? Al Mugello, dove Buscherini e Tordi hanno perso la vita nel ’76. Ne valeva la pena?”. Pareva ferrato, ma se n’è andato senza aspettare e allora rispondo qui.

Vero, dopo due turni del Nazioni a Imola, nel 1976 ci fu l’esordio iridato del Mugello, circuito completato due anni prima dall’ACI Firenze e che nel ‘75 aveva ospitato una 1000 Km a luglio (con una vittima di ventidue anni: il mio amico Carlo Fiorentino) e una gara internazionale a settembre. Anche lì, allora i pericoli c’erano. E in particolare, come avevo personalmente denunciato sul quindicinale “Il Pilota Moto”, per ovviare alla carenza di spazi erano state sistemate delle reti, come del resto si usava anche al Castellet per fermare i piloti prima delle barriere. Solo che le reti francesi erano studiate per cedere, mentre quelle toscane erano sostenute da pali di legno praticamente indistruttibili.

Grippai tre pistoni su quattro sia il sabato sia la domenica, con la mia RG, volando via alla Bucine e poi alla staccata della San Donato a 200 all’ora

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Fu un fine settimana particolarmente difficile, con qualcosa come novanta cadute in tre giorni, quasi tutte provocate dal grippaggio dei motori. Personalmente, ricordo che grippai tre pistoni su quattro sia il sabato sia la domenica, con la mia RG, volando via alla Bucine e poi alla staccata della San Donato a 200 all’ora. Raccolsi una voce, anni dopo: ci sarebbero state infiltrazioni d’acqua nella cisterna del distributore. Solo i piloti ufficiali si portavano il loro carburante da casa. Io me la cavai con qualche ammaccatura, ma Otello Buscherini in 250 e Paolo Tordi in 350 non si rialzarono dopo le loro cadute. Sfondamento della cassa toracica per entrambi, purtroppo. Fu aperta un’inchiesta, venni anche ascoltato da un magistrato a Roma insieme ad altri piloti, ma poi non si seppe più nulla.

Nessuna pista era completamente sicura, negli anni Settanta; la nostra fu una battaglia dura, gli standard migliorarono progressivamente. Ricordo che a Imola, dove tra le altre cose mancavano spazi alla Piratella, gli organizzatori un bel giorno ci chiamarono per verificare i lavori di sbancamento. Walter Villa ed io trovammo finalmente un’ampia area esterna all’ingresso della curva. Era il 1975. Due mesi dopo, per il GP delle Nazioni, su quell’area avevano tirato su una nuova tribuna in tubi Innocenti. Per dire che razza di gente dovevamo affrontare.

E la federazione italiana a quei tempi era sorda. In qualche caso addirittura complice dei gestori e opposta ai piloti. Insomma, lasciare Monza non risolse il problema della pericolosità delle piste, come sottolineava il lettore con la Speed al semaforo. Però da lì è partito un movimento che ha trasformato il motociclismo. Anche se purtroppo le garanzie della sicurezza assoluta e dell’incolumità non ci sono oggi e non ci saranno mai.

 

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