Nico Cereghini. Piloti e Paesi: Germania

Nella quarta puntata della rubrica scopriamo il DNA dei piloti tedeschi. Le caratteristiche comuni che li uniscono ma anche i vizi e le virtù che li rendono unici rispetto ai rivali | N. Cereghini
8 novembre 2012

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Werner Haas
Werner Haas

Mang a parte, per parlare dei veri fasti tedeschi bisogna andare molto indietro nel tempo: ho fatto in tempo a vedere Anscheidt, forte specialista delle 50 negli anni Sessanta; e anche Ernst Degner, pilota e collaudatore della la MZ che poi, fuggito dalla Germania Est con i disegni del motore che del resto aveva in parte fatto lui, campione con la Suzuki: classe 50 nel ’62 e secondo con la 125. O andare ancora più indietro, agli anni Cinquanta con il tre volte iridato Werner Haas (NSU 125 e 250), a Muller campione della 250, a Walter Zeller tre volte vice-campione con la BMW. Oppure cambiare specialità e passare all’enduro, ecco lì sì che i tedeschi hanno dominato a lungo: dal ’68 al ’75 lo squadrone dei piloti Zundapp ha fatto man bassa di titoli e di Sei Giorni con autentiche leggende: come Witthoff, Wolfgruber, Neumann, Brandl. Poi smisero di vincere perché ci fu la risposta dei nostri con Gagni, Brissoni, Gualdi e compagnia. L’ultimo campione germanico dell’enduro è stato Scheffer con la MZ 500 nell’85. Nell’87 la Germania Est ha vinto la Sei Giorni. Dagli anni Novanta più nulla. Quasi quasi zero anche nel cross, e per la prima volta, poche settimane fa, la squadra tedesca ha conquistato il motocross delle Nazioni, grazie a Roczen e Nagl, davanti a Belgio e USA.

I tedeschi sono fortissimi nella imprese collettive. Quelle che contano. Nella tragiche guerre mondiali, nella difficile ricostruzione post bellica degli anni Cinquanta, nell’unificazione delle due Germanie dopo il crollo del muro nell’89, oggi direi nella battaglia sull’euro e sul primato in Europa. In queste operazioni collettive i tedeschi esprimono organizzazione, metodo, impegno, serietà, carattere. Difficile batterli con tutte queste qualità. E lo dice anche la storia dell’industria motociclistica, con la DKW che nel 1929 già costruiva 60.000 moto all’anno quando in tutta Italia ne facevamo 15.000, e la sua RT 125 del ’39 è stata copiata dagli inglesi, dagli americani e dai giapponesi; con la BMW che produce il bicilindrico Boxer dal 1923: la famosa R32 era un 500 da 8 cavalli e mezzo e già aveva il cardano; con la Adler che nel ’49 progettò una favolosa 250 bicilindrica a due tempi che ha ispirato la Yamaha. Tecnologia avanzatissima, qualche volta finita all’est e poi perduta, e soprattutto organizzazione.

La squadra tedesca vincitrice del MXON 2012
La squadra tedesca vincitrice del MXON 2012

Tante le fabbriche storiche tedesche: MZ, Maico, Horex, Megola, Victoria, Hercules, Simson, Zundapp, la Kreidler dei record che ha vinto ben 68 gare mondiali con la sua 50…. Impossibile citarle tutte. Oggi la Horex sta rinascendo, addirittura con una sei cilindri; ma soltanto la bavarese BMW ha saputo superare ogni crisi. Prima della guerra, con la bicilindrica con il compressore, stabiliva mitici record di velocità con Henne –quasi 280 all’ora- e con Schorsh Meier, detto il sergente di ferro, vinceva il TT del ’39 a 144 di media. E dopo la guerra BMW ha dato il suo boxer, motore perfetto per i tre ruote, ai sidecaristi portando a casa 21 titoli costruttori e 19 piloti. Sempre avanti, a testa bassa, coriacea. Oggi ha una gamma completissima e in soli quattro anni, il debutto è del 2009, è arrivata al vertice della SBK.

Avere grandi case ha significato per la Germania anche grandi piste, dalla Solitude a quella mitica della Nordshcleife al Nurburgring, prima pietra nel 1925, 22,8 km poi accorciata di 2000 metri, 172 curve e tutte di raggio diverso. Pericolosa ma affascinante, oggi ancora usata per collaudi e per i corsi di guida. Girarci con la moto è un’esperienza unica. E non è meno imponente il Motodrom di Hockenheim, con 80.000 spettatori comodamente seduti come allo stadio, nelle tribune costruite già negli anni Sessanta.

Mang sulla pista di Hockenheim
Mang sulla pista di Hockenheim

Con uno spirito così votato al gruppo, l’individualismo non viene coltivato. Le eccezioni ci sono sempre, naturale, ma è molto raro trovare in un pilota tedesco che buchi lo schermo o che dia spettacolo. Eccolo, il DNA comune: i tedeschi davvero forti sono pochi e sono piloti generalmente solidi, dotati di molto senso pratico, impegnati a crescere attraverso il metodo. Il talento c’è ma le individualità sono rare anche fuori dalle solite classifiche: come Helmuth Dahne, ingegnere veloce, uomo della BMW e della Metzeler, il re del vecchio Nurburgring; Jutta Kleinschmidt che è l’unica donna vincitrice della Dakar, in auto, ma dopo aver iniziato con le moto. Oggi i tedeschi non contano tra le derivate, Teuchert l’ultimo a vincere con la Yamaha in Supersport nel 2000, e si affacciano nel mondiale pochi giovani tra i quali il più rappresentativo è Jonas Folger, classe ‘93, vincitore di un GP in 125 e oggi tra gli emergenti in Moto3.

 

 

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