Nico Cereghini. Piloti e Paesi: Italia

Nell'ultima puntata della rubrica scopriamo il DNA dei piloti italiani. Le caratteristiche comuni che li uniscono ma anche i vizi e le virtù che li rendono unici rispetto ai rivali | N. Cereghini
16 marzo 2013

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Giacomo Agostini in sella alla Yamaha TZ700 con cui vinse a Daytona nel 1975
Giacomo Agostini in sella alla Yamaha TZ700 con cui vinse a Daytona nel 1975

Omobono Tenni fu il primo “straniero” a vincere il Tourist Trophy, nel ’37, naturalmente con la Guzzi, 250. Tenni era un fenomeno che parlava poco e andava fortissimo, il suo coraggio e il suo stile di guida erano famosi; morì a Berna, poche ore prima di Achille Varzi con l’auto, il 1° luglio 1948. Mai più circuiti in Svizzera, dopo quella immensa tragedia; il pilota della Guzzi toccò l’asfalto con una pedana, high-side e si ruppe la testa contro un albero. Varzi restò invece sotto la sua Alfa capovolta. E prima di Tenni, Tazio Nuvolari, il “mantovano volante”, che iniziò a vincere nel 1921 con la moto e smise nel 1950 sulle auto, quando già aveva 58 anni. Nel 1925, in un test con l’Alfa P2 sulla pista di Monza, andò a sbattere, si ferì gravemente, e dodici giorni dopo (issato a forza, tutto imbottito di feltro e fasciato, sulla sua Bianchi 350 Freccia Celeste) vinceva il GP delle Nazioni. Imprese così lo hanno reso leggendario. A quei tempi era normale passare dalla moto all’auto e viceversa: Ascari, Varzi, Taruffi sono altri campioni che hanno alternato manubrio e volante.

Poi noi italiani dominammo il mondiale nato nel ’49. Pagani, Ruffo, Ambrosini, Ubbiali, Lorenzetti, Provini furono campioni nelle classi piccole e medie; mentre Umberto Masetti si fece valere due volte in 500 con la Gilera e poi nel ’57 fu il turno di Libero Liberati. Fino al ’57 fu una meraviglia, poi ci fu il ritiro simultaneo delle maggiori case italiane: costi eccessivi e produzioni limitate, gli inglesi invadevano il mondo e noi praticamente non si esportava. Guardate la passione che circondava negli anni Cinquanta le gare di gran fondo, quelle su strada. Eppure a vendere le moto fuori dall’Italia non si pensava.

Il DNA dei piloti italiani, intanto, si era affinato: all’energia e al coraggio di Nuvolari e di Tenni si aggiunsero nuove caratteristiche fondamentali: la conoscenza del mezzo meccanico, la sensibilità di guida, lo stile e l’astuzia. Carlo Ubbiali, Tarquinio Provini, Giacomo Agostini, Walter Villa passano alla storia proprio per questo: per la cura della moto, per la visione della gara, per la lucidità e il bellissimo stile di guida. Gli inglesi, nostri rivali storici, erano “fegato”: notti brave e poi gas spalancato; gli italiani, di solito, più precisi e professionali. Il bergamasco Ubbiali (Mondial e soprattutto MV), secondo nella storia della 125 dietro a Nieto con 6 titoli e tre volte iridato della 250, era famoso per la freddezza con cui si aggiudicava le volate. Il bolognese Tarquinio Provini, due volte campione del mondo, sfiorò il terzo titolo nel ’63: lui era sulla Morini 250 monocilindrica, Redman sulla Honda quattro (bilancio finale, quattro vittorie a testa e due punti soltanto a favore del rodesiano); Provini era un perfezionista, un maniaco dello stile, sempre raccolto in carenatura. E Ago, lo sapete, è stato il primo vero professionista della storia della moto: attento alla forma fisica e alla cura di ogni dettaglio nel setting della sua moto.

Valentino Rossi
Valentino Rossi


Valentino Rossi, ma anche Biaggi, Cadalora, Bianchi, Gresini, anche Dovizioso e Melandri e tanti altri hanno assorbito quel tipo di approccio alla moto, soprattutto quella guida fine centrata sul feeling con la ruota anteriore. Generalizzare, tra così tanti campioni, è difficile; ma il comune denominatore di tanti italiani è proprio lì, anche se non sono mancate le eccezioni, come Capirossi, come l’indimenticabile Sic, con la loro guida muscolare. E i numeri fanno spavento. L’Italia è prima assoluta in tutte le classifiche con 734 vittorie iridate e 75 titoli mondiali.
Vorrei parlarvi delle case, almeno di quelle storiche più importanti a partire dalla Gilera che nacque nel 1909; e anche delle più giovani come Ducati –che fa moto dal ’46- e Aprilia. Perché è dal reparto-corse di quei marchi che sono usciti nel tempo i tecnici e i team che hanno creato il fenomeno dei piloti italiani. Ma non possiamo raccontare qui l’intera storia della moto e devo limitarmi a tre capolavori. La Saturno 500 del ’46, la più bella monocilindrica Gilera: dotata di forcella telescopica nel ’51, fu costruita in 6.000 esemplari tra Turismo, Sport, Competizione, Cross e addirittura Regolarità. Alla fine arrivò anche una versione per i piloti privati, bialbero e leggerissima, la splendida “Piuma”. La raffinata Gambalunga della Guzzi, la monocilindrica 500 da competizione costruita dal ’46 al ’51 per i piloti ufficiali come Lorenzetti e gli assistiti; il motore era un corsa-lunga famoso per la sua coppia, la forcella era originalissima, tanti componenti in lega di magnesio. Un gioiello.

E infine  la regina: la MV Agusta 500 tre cilindri, la preferita di Agostini, quella con cui Mino vinse 7 titoli su 8. Esordì come 350 nel ’65 vincendo subito, e dal ’66 salì gradualmente di cilindrata fino al mezzo litro. Sostituiva la più pesante 4 cilindri, era la moto ideale per esaltare le doti del fine Agostini. Una meraviglia da 118 chili a secco e 270 all’ora.

Tony Cairoli
Tony Cairoli


E se cambiamo completamente terreno, e lasciamo l’asfalto, direi che la sensibilità di guida e la finezza restano i caratteri del DNA italiano anche nel cross, nell’enduro, nei rally: Cairoli, come faceva Orioli, tanto per fare i primi nomi, pare non forzare mai, sistema la sua moto come pochi altri, pugno di ferro in guanto di velluto. Tony, lo sapete, ha già conquistato sei titoli mondiali, gli ultimi quattro consecutivi nella MX1; con la KTM, resta in gioco per migliorare ancora il suo palmares, secondo soltanto al belga Stefan Everts. Il cross ci ha dato dei bei campioni mondiali: dopo Rinaldi nel 1984, Puzar, Chiodi, Bartolini, Philippaerts; ma nessuno aveva finora rivelato la naturalezza del siciliano e altrettanta classe. E forse non è un caso se abbiamo campione mondiale 2012 anche una ragazza, la 18 enne Chiara Fontanesi.

Edi Orioli è invece l’italiano che ha fatto meglio alla Dakar, con quattro successi su Honda, Cagiva e Yamaha tra l’88 ed il ’96. Intelligente e veloce. Era sulle sue tracce il grande Fabrizio Meoni, vincitore 2001 e 2002 con la KTM; fu purtroppo fermato dall’incidente mortale del 2005 in Mauritania, e la Fondazione che porta il suo nome è sempre in gara, per la solidarietà. Anche Picco, anche De Petri non sono da dimenticare se parliamo di raid africani.

Gio Sala
Gio Sala


Soltanto nel trial non siamo ancora riusciti a vincere i titoli. Nell’Enduro ci sono Rossi, Grasso, Pellegrinelli, Gio Sala e Rinaldi nel mondiale, e ai vertici prima di loro Alessandro Gritti, il capo-scuola, e poi Brissoni, Taiocchi, Andreini, Gagni; impossibile citarli tutti ma non è un caso se i primi campioni off-road di casa nostra siano stati i bergamaschi. “Scarpe grosse e cervello fino” si dice da quelle parti. E fini siam fini. E’ forse la prima caratteristica del nostro DNA: siamo i piloti più fini che ci siano. Tecnicamente preparati, professionali, lucidi, sempre alla ricerca del feeling con la moto. Spesso, semplicemente, i migliori.

 

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