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ragazzini.
Santiago Herrero quand’ero al liceo colpì la mia immaginazione. Santiago sulla monocilindrica 250 Ossa che riusciva a impegnare e qualche volta a battere le V4 Yamaha di Read ed Ivy. Ma al TT volò via, due giorni dopo morì. Era il giugno del ’70 e aveva 28 anni. Mi piaceva la foglia a sei petali che portava sul casco a scodella, allora la adottai: bianca su fondo rosso. Angel Nieto era già famoso, quel giorno aveva 23 anni, il numero 1 sulla sua Derbi 50 e il secondo titolo in arrivo. Avrebbe vinto addirittura 13 titoli mondiali, solo due meno di Ago; avrebbe dominato le piccole cilindrate per sedici anni.
Il Coraggio. Herrero e Nieto hanno tracciato il Dna dei piloti spagnoli di ieri e di oggi, come hanno fatto Agostini e Provini per noi. Per lasciare un’impronta indelebile nell’immaginario collettivo bisogna guidare una moto nazionale e poi vincere gare epiche. Però Ago e Provini puntavano sullo stile di guida e sulla tecnica, erano raccolti e composti in carena e attenti ai dettagli; mentre Nieto ed Herrero hanno
Gli spagnoli hanno il senso del tragico dentro, nel profondo, la corrida è sangre e muerte, alle cinque della sera. Pathos e motocicletta
cantato un inno al coraggio. Di più: alla temerarietà, alla tragedia. Gli spagnoli hanno il senso del tragico dentro, nel profondo, la corrida è sangre e muerte, alle cinque della sera. Pathos e motocicletta. Ci vuole coraggio a guidare una zanzara da 12 cavalli e 170 all’ora. Nieto ha conquistato sei titoli mondiali della 50 con Derbi, Kreidler e Bultaco; poi sette titoli della 125 guidando anche Minarelli e Garelli. Novanta vittorie in 23 anni di carriera. I piloti spagnoli che l’hanno seguito si sono dovuti confrontare con il suo coraggio e non tutti hanno retto il confronto.
Crivillè era veloce ma ha vinto poco: un titolo della 125 nell’89 e la 500 dieci anni dopo con la Honda ufficiale. Ha pesato di più Jorge Aspar Martinez, il ciabattino, pilota tosto e oggi uomo d’affari; suo è il mega team che partecipa a tutte e tre le classi del mondiale. Jorge ha collezionato quattro titoli da pilota (tre nella 125 e uno nella 80) tra l’84 e il’94.
Il catalano Sito Pons pareva altrettanto ambizioso: vinta la 250 due volte (88 e 89) ha tentato anche la 500, poi ha creato una sua squadra e gestito Crivillè, Checa, Barros, Capirossi, Biaggi, Bayliss, con ottimi risultati. Adesso è rientrato con Pol Espargaro in Moto2. Correva per lui anche Alberto Puig, quando a Le Mans cadde rovinosamente rischiando la vita, nel ’95. Aveva appena vinto il suo primo GP in 500, Puig, e prometteva bene, ma le conseguenze lo indussero al ritiro. Ora è il potente manager di Dani Pedrosa e della Honda dopo aver scoperto il talento di Stoner. Quasi tutti i piloti spagnoli, appesa la tuta al chiodo, provano a diventare manager di qualcun altro perché quella è la strada tracciata da Nieto.
Tra gli spagnoli campioni del mondo vanno ricordati anche Ricardo Tormo, Manuel Herreros, poi Alzamora, Bautista, Simon, Elias, naturalmente Carlos Checa campione 2011 della SBK. Sete Gibernau non ce l’ha fatta, eppure il catalano aveva i mezzi, era nipote del fondatore della Bultaco; ha impiegato un mucchio di tempo per farsi valere: dal primo titolo nazionale della 125 alla prima vittoria internazionale sono passati dieci anni. Poi con la Honda del team Gresini è stato il rivale più consistente di Valentino dal 2003 al 2005. Due volte vice-campione, non aveva però la personalità di Nieto o di Santiago Herrero. Ha perso il confronto anche con Rossi ed è naufragato con la Ducati.
Il nonno di Sete era appunto Francisco Paco Bultò. Montesa e Bultaco, marchi catalani, tutti li conoscono. Ma pochi sanno che prima nacque la Montesa, nel ’44: soci Permanier e Bultò, che era un progettista più che valido; moto piccole, motorini come faceva del resto anche la Derbi che vinse ben 9 titoli costruttori e 11 piloti con le sue GP50, 80 e 125 di Nieto e Martinez. Bene, alla fine degli anni Cinquanta Francisco Bultò se ne andò dalla Montesa con trenta dipendenti e fondò la sua Bultaco. Montesa salì alla ribalta internazionale quando uscì con la prima Cota 247 nel 1967, Bultaco invece già aveva nella Metralla una stradale 250 che si faceva apprezzare anche negli USA, ma quando arrivò la Sherpa da trial fu un trionfo. La Sherpa dominò il mondiale dal ’75 al ’79 cancellando le quattro tempi inglesi. Del resto già la Ossa, quella là di Herrero, aveva vinto il massimo torneo, allora europeo, nel biennio 71 e 72 con Mick Andrews. Poi la crisi cancellò le fabbriche iberiche: Montesa è finita alla Honda, Bultaco è risorta come Sherco, Ossa ha ripreso fiato da poco e produce sette modelli tra enduro e trial.
Il trial. Dagli anni Ottanta i campioni del trial nascono in Spagna. Una specie di magia. I piloti sono Toni Bou che ha iniziato a vincere con la Montesa-Honda nel 2007, prima di lui Adam Raga due volte iridato con la Gas Gas (nata sulle ceneri della nostra SWM), e prima ancora Jordi Tarres, il maestro, il più grande di tutti con sette titoli dall’87 al ’95, con Beta e Gas Gas. Gli iberici dominano anche il trial delle Nazioni e Laia Sans è la regina del femminile. Ma c’è anche tanta Spagna nei rally, fin da quando Jordi Arcarons vinceva 27 speciali alla Dakar con Cagiva e KTM. Sulla sua scia arrivò Nani Roma, il primo spagnolo a vincere
la corsa più dura, nel 2004; adesso corre in auto, ma ha vinto anche il Tunisia, il Faraoni, le Baja e la Sardegna. E il fenomeno moderno è Marc Coma, stella della KTM, cinque volte mondiale rally e tre Dakar: 2006, 2009 e 2010. Nell’enduro c’è Ivan Cervantes quattro volte iridato, c’è Viladoms che ha appena vinto il Sardegna; e nel cross promette bene, tra gli altri, Carlos Campano.
La Spagna sarà anche in profonda crisi, oggi, ma ha seminato tanto negli ultimi venti anni e adesso ha in pista piloti fortissimi: Dani Pedrosa che sembra avere ereditato la tragedia più del trionfo, sorride poco, ha vinto tanto con le piccole (tre titoli tra 125 e 250) ma nella top class ancora quasi niente; si frattura le ossa, recupera, torna veloce e poi sul più bello si elimina da solo. Tragico come i toreri tristi. Jorge Lorenzo no: lui ha più o meno lo stesso talento, però ha già vinto un titolo della MotoGP dopo i due nella 250; lui, che è uno dei pochi non catalani, ha preso da Nieto tutta la cattiveria e la convinzione del campeon. Adesso sta arrivando anche il temerario Marc Marquez e nuovi fenomeni crescono: Bautista, Barbera, i due Espargaro, fino a Vignales e Rins.