Nico Cereghini racconta la storia di Kenny Roberts

Kenny Roberts era un ragazzo di campagna, classe 1951, avrebbe dovuto fare il cowboy e invece si innamorò delle moto quando era piccolo | N. Cereghini
7 settembre 2011

Punti chiave

Naviga su Moto.it senza pubblicità
1 euro al mese

Kenny Roberts cercò di rivoluzionare il campionato mondiale velocità. Non gli piaceva come venivano trattati i piloti e poi non gli bastavano le pieghe


Kenny Roberts cercò di rivoluzionare il campionato mondiale velocità. Non gli piaceva come venivano trattati i piloti e poi non gli bastavano le pieghe. Lottò contro la federazione della moto, che all’epoca era guidata da vecchietti conservatori e ottusi, tentando di dar vita al progetto alternativo delle World Series. Fu appoggiato da molti piloti, Virginio Ferrari in testa, ma osteggiato da altri e alla fine vinsero i vecchietti; da quel momento però i piloti ebbero un ruolo più centrale. E poi elaborò la guida della moto appoggiando il ginocchio sull’asfalto e facendo sovrasterzare la moto per girare più in fretta.

Oggi è normale avere le saponette -gli slides- fissati alle ginocchia della tuta di pelle, ed è normale farli strisciare a terra quando si va forte. Nel ’78 no, quando Kenny si presentò sul mondiale con la Yamaha 500 gialla e nera gommata Good Year non esistevano. Allora tagliò un pezzo di plastica da un flacone dei lubrificanti e se lo fissò alla tuta con il nastro adesivo. Per lui non si trattava soltanto di proteggere la tuta o il ginocchio; Roberts voleva girare più in fretta, e trasferendo parte del suo peso sul nuovo perno di appoggio riuscì a rendere più sovrasterzante la sua Yamaha e a migliorare ancora un po’. Tre titoli mondiali della massima cilindrata per Roberts, ventidue successi in 500 e due con la 250, poi dovette cedere a Lucchinelli, a Uncini, a Spencer. Ma con la grande soddisfazione di vedere il figlio Kenny jr (Suzuki 500, stagione 2000) campione del mondo e di costruire nuove moto per il suo team personale. Senza molta fortuna.