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Sono le 22.30 di sabato 22 novembre 2014. Sotto la tenda Husqvarna, Pela Renet ha un sorriso amaro: dopo due delle tre, infinite, frazioni della Novemberkåsan è stato costretto al ritiro dal riacutizzarsi della tendinite mentre era al terzo posto di una delle gare più dure ed impegnative del mondo, staccato di una manciata di minuti dal favorito – Joakim Ljunggren, già cinque volte vincitore di questa misconosciuta ma meravigliosa classica dell’Enduro.
Flashback. Facciamo un passo indietro tornando alle nove di questa mattina quando a Vimmerby, nel sud della Svezia, il paddock inizia ad animarsi del rumore dei motori. Sta per partire la Novemberkåsan, moto e piloti si preparano ad affrontare 360 chilometri divisi in tre frazioni da sei speciali l’una. Quest’anno non ci sono neve e ghiaccio, tanto che la direzione gara non ha autorizzato l’uso di pneumatici chiodati, ma la corsa si snoda comunque in mezzo a un inferno di pietre e fango che non lasciano scampo: il minimo errore fa finire moto e piloti lunghi distesi.
Nata nell’ormai lontano 1915 – l’anno prossimo compirà cent’anni – la Novemberkåsan è stata fin dall’inizio una gara massacrante, con distanze che nei primi anni 30 raggiungevano i 6/700 chilometri, speciali articolate su fondi estremamente variegati, tanto diurne che in notturna, e disputata ogni anno in un posto diverso. Unico denominatore: lunghezza, tanto freddo e buio per buona parte della gara. Condizioni che non scoraggiano il pubblico presente in massa (quasi 20.000 gli spettatori nella foresta lo scorso anno) che assiste alla gara scaldandosi con falò, consumando quintali di carne e birra e godendosi l’evento in una sorta di Elefantentreffen a contorno di una gara di Enduro.
Insomma, una Enduro estrema ante litteram, che ha trovato perfetta collocazione nella definizione odierna (nonostante distanze quasi dimezzate) pur non essendo considerata fra le classiche alla stregua del nostrano Hell’s Gate, Erzberg o Gilles Lalay Classic. Al di fuori della Svezia, infatti, quasi nessuno conosce la Novemberkåsan, il cui ordine di partenza contiene solamente nomi scandinavi. Ma all’interno dei confini nazionali è una gara da leggenda: la televisione nazionale segue in diretta integrale l’intera manifestazione, e i vari motoclub fanno a gara per aggiudicarsi l’edizione dell’anno successivo.
Qui una vittoria vale quanto un Mondiale, e un trofeo che passa di mano anno dopo anno. Unica eccezione per le leggende: chi riesce a vincere tre edizioni riceve il trofeo per sempre. E’ incredibile che una gara del genere, tanto particolare e ricca di tradizione, sia praticamente sconosciuta al di fuori della Svezia, soprattutto in un momento storico in cui gli sponsor più quotati sono alla costante ricerca di eventi più genuini ed emozionanti rispetto al mondo ormai troppo asettico dei campionati tradizionali. Certo, l’organizzazione della Novemberkåsan è piuttosto gelosa della sua particolarità, ma ci sembra un evento troppo bello perché continui a restare confinato in una nicchia tanto ristretta.
Il favorito della gara è Joakim Ljunggren, cinque volte trionfatore e pilota del team ufficiale Husqvarna Bel-Ray; quest’anno siamo qui per seguire l’avventura della sua squadra, che al suo fianco schiera il fresco campione del mondo “Pela” Renet. Fresco di titolo mondiale, Renet ha tutti i motivi per pensare di poter compiere un’impresa: essere il primo pilota non scandinavo a portare a termine la Novemberkåsan. Possibilmente nelle prime posizioni.
Il palmarès di Renet è di quelli con cui non si scherza: iridato nella MX3 nel 2009, tre volte campione nazionale E2, due volte Mondiale nella stessa categoria. L’ultima volta nell’appena conclusa stagione 2014, in cui si è scambiato di posto con il nostro Alex Salvini. L’anno scorso era stato il bolognese a relegare al secondo posto l’asso francese, quest’anno Renet gli ha reso il favore.
Francese di Cherbourg, classe 1984, “Pela” Renet (all’anagrafe Pierre Alexander) è sulla cresta dell’onda. Dopo l’esordio nel cross, che lo vede conquistare il titolo mondiale MX3 a 25 anni, passa all’Enduro con KTM l’anno successivo, nel 2010. Parte forte, perché diventa campione francese all’esordio, e non si ferma più. Passato a Husaberg vince il Mondiale nel 2012, nel 2013 termina secondo e torna sul gradino più alto del podio l’anno successivo, con il team ufficiale Husqvarna Bel-Ray.
Alle nove e trenta, quando la gara prende il via, il sole è già sorto anche a queste latitudini, ma non resta alto per molto: la prima frazione di gara è l’unica che si corre con la luce. Il paddock offre una vista atipica. C’è più gente in abiti da sci che non con abbigliamento tecnico motociclistico, e la popolazione è incredibilmente variegata. Qui, come nei boschi su cui si snoda il percorso, il pubblico è fatto di appassionati di ogni genere: in mezzo a chi viene a seguire la gara spostandosi da una speciale all’altra in sella alla moto o alla mountain bike ci sono tantissime famiglie con bambini di ogni età, a dimostrazione di quanto una disciplina come l’enduro sia lontanissima dallo stereotipo antisociale ed antiecologista che tanti benpensanti puntano ad appiopparle. Diversa cultura, diversa civiltà.
Le speciali si snodano veloci alla luce del giorno: dalla pista da cross della PS1 si passa ai veloci pratoni della 2 fino ad arrivare nella terribile fangaia della PS4, che costituirà il punto più difficile della gara, quello che separa i veterani dai debuttanti. Al termine del primo giro la classifica è incoraggiante: Renet insegue Ljunggren, staccato di poco meno di un minuto. I piloti rientrano al paddock per sistemare la moto assieme ai meccanici prima di lasciarla al parco chiuso.
Basta un po’ di pulizia generale per togliere i quintali di fango accumulatisi ovunque e qualche accorgimento per prepararsi agli stage in notturna: si prepara il casco con i faretti supplementari, e sulla moto si monta il kickstarter. Se anche la batteria dovesse mollare, una bella scalciata e si riparte. Parafango anteriore, paramani e mascherina vengono sostituiti con elementi neri, per evitare che “sparino” la luce dei fari in faccia al pilota.
Una pausa permette ai piloti di rinfrancarsi: la partenza della seconda frazione è alle 17, quando il sole è già tramontato da qualche ora. Se con la luce l’arrivo dei piloti in Speciale è preannunciato dai motori che arrivano a tuono di notte il tifo del pubblico, fra urla e trombe da stadio, fa sì che sia la luce dei fari l’unico segnale dell’approssimarsi dei concorrenti. La PS4 è ridotta ad un lago di fango, tanto che i commissari fermano i piloti per indicargli il passaggio e cercare di non farli piantare: c’è un ponticello di fortuna che sembra ricavato da un pallet, e mettersi di traverso lì sopra significa rischiare di volare nel fiumiciattolo sottostante o anche solo bloccare il passaggio per i piloti che seguono. Un pilota particolarmente determinato se ne frega del ponticello e guada direttamente il fiumiciattolo, diventando istantaneamente l’idolo del pubblico.
Ma piantarsi è normale: dopo il ponticello, al passaggio del quinto concorrente c’è già una fossa in cui sparirebbe qualunque animale di taglia inferiore al bovino adulto. Poco male, visto che in un attimo arriva la compagnia della spinta che cava d’impaccio anche i meno capaci. Per il pubblico ricoprirsi di fango fa parte del divertimento, chi crea più schizzi viene applaudito ed incoraggiato. L’entusiasmo e qualche bicchiere di troppo rendono tutto una grande festa. I guai, per i piloti di fondo classifica, iniziano al terzo giro – il pubblico inizia a sfollare verso l’una, quando il freddo si fa pungente e i primi sono ormai vicini al traguardo finale, e gli ultimi non trovano più luce né aiuto. Abbiamo visto un marshall rientrare stravolto in albergo verso le sei del mattino dopo aver aiutato una manciata di piloti completamente piantati nel fango della quarta speciale.
Però comincia a fare freddo, tanto che i piloti ogni due speciali passano per il paddock a cambiarsi i vestiti fradici e gelati. Renet è terzo, a pochi minuti di distacco, nonostante sia partito per la prima PS in ritardo e senza faretti supplementari per un problema elettrico. Una vittoria alla terza speciale con un buon margine lo rimette in gioco. Tutto sembra andare bene quando, al termine della seconda frazione, entra al paddock e si ritira. La tendinite spuntata nel corso della stagione, riacutizzatasi per la fatica, il freddo e l’umido, gli impediscono di continuare. Peccato: fosse finita così ci sarebbero state tre Husqvarna sul podio.
«Era troppo doloroso, non ce la facevo più e ho preferito fermarmi» commenta il Campione del Mondo con il tono di chi sta lasciando un conto aperto. «Le speciali qui alla Novemberkåsan sono lunghissime, e fisicamente è davvero impegnativa: pietre e fango dappertutto, non si ha un attimo di tregua» E guidare di notte? «Sinceramente credevo peggio. Pensavo che i tempi sarebbero saliti tanto rispetto alla frazione diurna, mentre guardando i tempi non c’è una grossa differenza, però sicuramente serve una concentrazione incredibile»
Renet è seccato ma non ha perso il buon umore, tanto da riuscire a scherzare sul fatto che… è ancora un ragazzo. La tradizione locale vuole che per essere uomini si debba finire una Novemberkåsan, ma ci sembra una valutazione troppo dura: su una media di 160 partenti normalmente meno di 50 riescono a finirla – dal passaggio del primo sul traguardo della terza frazione restano due ore per concludere, dopodiché la classifica si congela. Nelle edizioni particolarmente dure si sono visti ordini d’arrivo con soli cinque piloti all’interno del tempo limite. E il fatto che un Campione del Mondo arrivi al ritiro perché impegnato a tal punto da far riemergere problemi fisici la dice lunga su quanto sia dura questa classica svedese.
Alla fine, come da copione, Ljunggren trionfa. E appena arriva sul palco inizia a piovere, come se gli organizzatori avessero preso accordi precedenti anche con il meteo. La Novemberkåsan non è mai facile, ma questa del 2014 è stata considerata un’edizione non particolarmente impegnativa proprio per le condizioni meteo stranamente favorevoli – pensate che la temperatura non è praticamente mai scesa sotto lo zero – e Joakim ha dominato la gara con relativa facilità. Tanto da arrivare a deconcentrarsi («Stavo già pensando ai festeggiamenti, mi sono distratto e sono scivolato come un principiante») nell’ultima speciale ed incappare in una caduta senza conseguenze. Il suo vantaggio era tale che la vittoria – la sua sesta – non è mai stata realmente oggetto di incertezza fin dall’inizio della terza frazione.
Al secondo posto ha chiuso (sempre su Husqvarna) Carl Johan Bjekert, eroe locale che ribadisce quanto contino esperienza e conoscenza del tracciato. Su cui, vale la pena sottolinearlo, la gente del posto è abituata a girare in notturna, perché anche qui nel sud del paese le ore di luce per gran parte dell’anno si contano sulle dita di una mano sola. In una gara tanto particolare e tanto lunga gestire correttamente le energie e sapere cosa vi aspetta costituisce un vantaggio non trascurabile. Ma non è che l’esperienza faccia tutto, sia chiaro: il manico è indispensabile, se è vero che dopo oltre nove ore di gara il terzo posto si è deciso per soli quindici secondi.
Sul palco Ljunggren ha la faccia tirata ma non stravolta: mentre stappa lo champagne Joakim ha la faccia di chi pregusta l’accoglienza del secondo trofeo permanente nella propria bacheca personale. Renet è già partito per prendere l’aereo che lo porterà a Jerez per il Gran Galà della Federazione riservato ai Campioni del Mondo 2014. L’appuntamento, Pela l’ha già detto, è per l’anno prossimo (a proposito: si correrà a Uddevalla, dove si trova la pista che ha ospitato più volte il Gran Premio di Svezia del Mondiale Cross, in caso voleste organizzare un viaggio). Gli avversari sono avvisati.