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A torto o a ragione l’Oilibya Rally del Marocco è considerato la prova generale della Dakar. A ragione perché è l’ultima occasione per un allenamento in gara e per un test di verifica, a torto perché non ha niente a che vedere con l’impegno a cui vorrebbe preludere, e perché non c’è quasi niente che si possa sperimentare in Marocco sperando di portare i risultati dell’esperimento alla Dakar. È un fatto, però, che tutti i migliori Piloti, ed i migliori team, sono presenti al Rally organizzato da NPO, che sottintende anche una Baja di due giorni “embedded” nella ben più significativa prova con il road book. In pista per i sei giorni del Rally del Marocco ci sono tutti e di più. Marc Coma e Cyril Despres, Helder Rodrigues che non si vedeva dalla Sardegna, Francisco Lopez e Alessandro Botturi, Joan Barreda e Paulo Gonçalves, David Fretigné e Olivier Pain. È il grande symposium degli ufficiali KTM e Bordone-Ferrari, Husqvarna e BMW, Yamaha e Sherco. Più il grande ritorno di Honda. Honda HRC, che dopo diciassette anni schiera una moto ufficiale derivata, ma c’è da credere solo nominalmente, dalla CRF 450, e una Squadra globale di cinque Piloti provenienti da Portogallo, Argentina, Brasile, Inghilterra (ma di stanza negli Emirati Arabi Uniti) e America: oltre a Rodrigues, Javier Pizzolito, Felipe Zanol, Sam Sunderland e Johnny Campbell.
Il Rally del Marocco non è prova del Mondiale, i Titoli sono già stati archiviati con l’ultima di Campionato del Mondo in Egitto, e la motivazione per correre tra le dune di Erfoud, Merzouga e Zagora è da ricercare nella fame di allenamento in gara che attanaglia, giustamente, tutti quelli che sono un procinto di affrontare l’avventura della Dakar da Lima a Santiago. Che poi, tra le pieghe del programma, qualcuno pensi anche alla vittoria finale, è semplicemente “umano”.
È così, per esempio, che Helder Rodrigues spreme la meccanica della moto debuttante e va a vincere la prima speciale del ritorno Honda, davanti a Marc Coma e Cyril Despres che si sono incaricati di aprire la pista per due terzi della prima tappa, spingendo significativamente solo nella prima parte della Speciale di 271 chilometri sul tracciato di 313 complessivi. Per un inizio di gara più attendista optano
Gli imperativi del Rally del Marocco sono: allenarsi tra le dune contro il cronometrato, non fare errori, non farsi male
Barreda e Gonçalves, il portatore d’acqua di Coma, Juan Pedrero, e i Piloti Bordone-Ferrari Lopez (rallentato dal cambio della sua KTM) e Botturi. I primi tre, le cui motivazioni s’incrociano, sono già in fuga, ma per il momento nessuno degli inseguitori sembra porsi la questione di classifica. Gli imperativi del Rally del Marocco sono: allenarsi tra le dune contro il cronometrato, non fare errori, non farsi male.
Naturalmente, tra il dire ed il fare c’è sempre di mezzo… il “Pilota”, entità talvolta incontrollabile ed incapace di dosare il flusso dell’adrenalina che gli scorre dentro. Il miglior manager, dicono, è quello che riesce a far fare al proprio Pilota cose che solo a lui sembrano sensate. Poi c’è lo scontro dei Titani, Coma e Despres, che non può essere rimandato solo perché il Rally è nel calendario della marcia di avvicinamento alla Dakar. Così Coma parte per primo, veloce, apre la pista e resta al comando da solo per un terzo della speciale, fuori dal campo visivo di Despres che è comunque alle sue spalle, non lontano. Barreda parte più indietro, ed avrebbe l’occasione di riprendere i fuggitivi se solo fosse uscito da una nuvola di polvere sulla pista giusta, e non su quella sbagliata nella quale lo spagnolo perde una diecina di minuti. Per Rodrigues, partire per terzo alle spalle dei fenomeni della storia degli ultimi dieci anni e passa di Rally è una buona opportunità, e quando vede la polvere dei fuggitivi il portoghese realizza che può andare a centrare un bersaglio importante. Forza l’andatura, alza ancora il ritmo e infine, rassicurato dalla risposta del motore, lancia la sua nuova Honda al limite. Raggiunge Coma e Despres, ed a quel punto i tre proseguono insieme fino all’arrivo.
Per Rodrigues e per la Honda è un gran giorno, di quelli che sono di buon auspicio. Sono passati diciassette anni da quando l’ultima Honda ufficiale ha solcato gli oceani di sabbia del deserto africano. Era la EXP-2, un rivoluzionario prototipo monocilindrico a due tempi, portata alla Dakar da Jean Brucy e dall’indimenticabile Richard Sainct. Fu una grande dimostrazione, delle enormi doti d’ingegno dei tecnici del reparto sviluppo di Honda, e della persistente attualità del due tempi. Un’architettura che, allora, era già stata condannata a morte, e per la quale la “grazia” sembra essere arrivata solo ai giorni nostri.
Francisco “Chaleco” Lopez. «Tornare a correre in Africa, “dove tutto ha avuto inizio”, è sempre un’emozione forte. Nel mio caso ancora di più, perché era molto tempo che non calcavo le piste sahariane e negli ultimi tempi mi sono allenato solo in Sud America e sulle dure piste della mia terra! In Cile l’atmosfera è molto diversa, e le gare africane sono caratterizzate da un ambiente per certi versi inquietante. Sei sempre solo, davanti a te l’orizzonte, alle tue spalle un avversario che ti bracca. Non ti puoi permettere di sbagliare, perché l’avversario può raggiungerti e tu farti male. La prima tappa non è andata proprio come avevamo pensato: lontano dai rischi e dalla bagarre, fare chilometri, riprendere il ritmo della navigazione, cambiare terreno più volte, questo sì, e trovare un buon passo. Peccato il problema al cambio. I meccanici hanno cambiato il motore, domani è un altro giorno».
Alessandro Botturi. «Africa, è la parola magica, quella che mi fa venire la pelle d’oca. In Africa sono stato ancora troppo poco per non avere voglia di tornarvi ogni volta che mi è possibile. La gara in Marocco è uno di questi “pretesti”, e l’affronto con la consapevolezza, ancora una volta, di dover accumulare esperienza. Fare chilometri, navigare, passare da un terreno ad un altro all’improvviso, guardare la bussola e dire: “Sono sulla strada giusta!”. Oggi è stato così, anche se, per la verità, un piccolissimo errore l’ho fatto. Il risultato è ancora un obiettivo secondario, ormai da prendere in considerazione in tempi brevi, ma qui in Marocco siamo venuti per un allenamento di lusso».
Piero Batini
Foto: Agenzia ApPhotosport e Bordone-Ferrari