Dodici anni. Ho messo piede su una pista di Supercross americana come inviato per la prima volta nel 2005, esattamente dodici anni fa. Era Anaheim 1 e ricordo vinse Kevin Windham su una pista fangosissima: lui aveva già la 450 4 tempi quando tutti gli altri top rider correvano sulle 250 2 tempi. È passato un sacco di tempo da quel gennaio 2005 e io ho imparato a muovermi in un ambiente che a tratti non è stato molto amichevole e che sicuramente per anni non ha apprezzato la mia “concorrenza”. Ma anche il più ringhioso tra i cani da guardia prima o poi si abitua alla tua presenza e alla fine ti lascia stare, concentrandosi sui nuovi arrivati.
Sì perché nel Supercross non cambiano solo i piloti. Ogni anno è una girandola di team, meccanici, addetti ai lavori, giornalisti, fotografi. Il Supercross in USA è allo stesso livello mediatico della MotoGP in Europa quindi vi potete immaginare quanta gente voglia far parte di questo mondo luccicante che tanto promette a chi può solo guardarlo da fuori.
Anaheim 1 è l’apoteosi dello stile di vita californiano, o meglio, del sud della California. Mentre i meccanici pensano solo a preparare le moto e i piloti si concentrano sulla gara, un incredibile numero di “intortati” vaga per il paddock, ognuno con il suo scopo ben preciso. Molti cercano un lavoro e spesso trovi quello che non ti ha mai cagato nemmeno di striscio che adesso è tutto gentile e ti fa un sacco di domande su cosa fai, per chi lavori, chi conosci. Poi c’è il nuovo arrivato, che solo perché il suo biglietto da visita c’è il logo di una ditta importante del settore si aspetta che tutti si gettino ai suoi piedi in adorazione. Poi ci sono i ragazzini di primo pelo, quelli con ancora una passione enorme che farebbero di tutto pur di passare qualche ora nell’ambiente che li ossessiona fino a non farli dormire di notte. Sinceramente sono quelli che preferisco perché il loro entusiasmo è contagioso e spesso mi rivedo in loro. Sono quelli che mettono in piedi siti e blog all’ultimo secondo per provare a scroccare un pass, oppure regalano foto e video a destra e sinistra sperando un domani di poter finalmente tirarci fuori qualche dollaro.
Ma i numeri uno in assoluto sono quelli che io chiamo gli “usa e getta”. Li riconosci subito perché innanzi tutto non si capisce bene cosa facciano o perché vogliano esserci, ma caschi il cielo devono avere il trattamento VIP, sedersi tutte le hospitality e fingere familiarità con quelli che contano (secondo loro). Hanno i tatuaggi più fighi, le acconciature di grido, i cappellini più “in” e l’abbigliamento più “giusto”. Ma forse il vero marchio di fabbrica è il profumo: non so perché ma sembra che tutti gli usa e getta facciano il bagno nella stessa colonia, tanto che li annusi a un chilometro di distanza… come se non ti desse gia fastidio vederli adesso sei anche costretto ad annusarli! Il modus operandi è lo stesso per tutti, e sinceramente non sono tanto diversi da quelli che conoscevo in Europa, solo che qui hanno raggiunto il livello “Master Jedi”.
Sono quelli che non senti per un anno ma che ti chiamano per sapere se hai dei pass per A1. Sono quelli che non ti hanno mai rivolto la parola per più di tre monosillabi ma adesso ti vedono sotto la tenda Honda e fanno gli amiconi. Sono quelli che all’ora di pranzo girano come squali attorno alle hospitalty sperando di incrociare lo sguardo di qualcuno e di conseguenza infilarsi in coda al buffet con la scusa di fare due parole. La lista è lunga ma non vorrei essere frainteso perché in effetti ho molti amici nel paddock e fuori che mi fa sempre piacere vedere, ai quali do volentieri qualche scatto gratis (o quasi) del loro pilotino, per i quali mi sbatto come una scimmia per trovargli un pass o un biglietto o che infine tiro dentro in qualche hospitality in modo che possano mangiare qualcosa prima del programma serale. La caratteristica fondamentale dell’usa e getta, come dice il nome stesso, è il fatto che scompaiano completamente dopo che ti hanno usato per ottenere quello che gli serviva. Come un fazzoletto sporco ti buttano nel cestino e non li rivedi più… finché, con una faccia tosta incredibile, si rifanno vivi nello stesso esatto periodo dell’anno successivo: “Hey Pietrone…”.
MENO MALE che ad Anaheim ci sono anche le gare! E quest’anno sono state fior di gare, incerte e combattute. Se nella 250 la vittoria di Webb era più o meno scontata (nonostante sia arrivata in modo meno facile del previsto) la 450 ha visto talmente tanti colpi di scena e sorprese che varrebbe la pena salvare un video dell’intero weekend per riferimento futuro.
La prima vittoria di Husqvarna nella classe regina coincide anche con la prima vittoria di Jason Anderson, che sta finalmente raccogliendo i frutti della cura Aldon Baker. Personalmente mi ha impressionato la facilità con cui è andato a riprendere Seely in testa (poveraccio, Anderson è la sua nemesi anche in 450!) dopo aver passato e staccato la maggior parte dei top rider da cui tutti si aspettavano una super prestazione. Il tutto dopo essersi stampato malamente in prova, con la moto imbizzarrita che è andata a colpire gli altri piloti in attesa di entrare in pista.
Dungey come al solito è una garanzia, ma il suo recupero, dopo la caduta causata dal contatto con Canard, ha del miracoloso: arrivare secondo dopo essere stato risucchiato dal gruppo (e che gruppo!) vale quasi quanto una vittoria. Anche per Ryan il weekend non è stato dei più facili e l’ufficiale KTM è dovuto passare dalle semifinali dopo una caduta nella sua heat di qualifica. C’è poi la vicenda del contatto con Stewart al primo giro del Main Event, che ha richiesto bandiera rossa ed una nuova partenza. JS7 come sapete non ha potuto riprendere per un trauma cranico (dalla mia postazione l’ho visto restare incosciente, con gli occhi chiusi per almeno un minuto) e probabilmente salterà anche la prossima gara di San Diego. La mia opinione sull’incidente? Per il tipo di pilota che è Dungey non credo sarebbe capace di “centrare” nessuno anche se lo volesse. Dai video si vede come Stewart abbia chiuso la curva molto in anticipo nel tentativo di incrociare traiettorie ed attaccare Anderson, ma a quel punto Dungey era già in volo e non poteva fare nulla. Addirittura si vede che nel tentativo di frenare Ryan va a sbattere con la ruota posteriore sul dente dell’atterraggio, riducendo ulteriormente le possibilità di evitare il contatto. Questo è quello che penso io e come dicono qui: le opinioni sono come il buco del c…, tutti ne abbiamo uno.
L’altro pilota che mi ha impressionato è stato Roczen, anche lui vittima di un weekend quasi da dimenticare dopo una caduta in partenza nella sua heat e una brutta prestazione in semifinale che gli ha dato una pessima posizione al cancellato. Il tedesco ha corso con il coltello tra i denti e ha portato a casa un quinto posto che viste le premesse non si aspettavano in molti.
Quello che però sembra essere chiaro da questa prima gara è che il ritmo è salito ancora rispetto allo scorso anno e molti top rider si sono trovati con il fiato corto già a metà gara. Barcia, Tomac, Canard, Reed e soprattutto Seely hanno ceduto sulla distanza, lasciando che gli avversari li riprendessero senza nemmeno opporre troppa resistenza. A dimostrazione che da solo sul test track puoi anche volare ma in gara, quando tutti danno il 120%, si finisce per spendere molte più risorse del previsto e la benzina finisce in fretta.
Sarà interessante vedere se nelle prossime gare il fattore fisico sarà ancora cosi determinate, anche perché non credo che a questo punto si possano risolvere problemi di preparazione fisica: potrebbe gia essere troppo tardi, dunque come al solito saranno i singoli piloti a dover dare fondo alle proprie risorse ed è proprio in queste condizioni che solitamente sono i veri campioni ad emergere.
Chiudo con due parole sul teatrino messo in scena da Weston Peick e Vince Friese: l’ufficiale Yamaha ha passato il segno e si è lasciato guidare dalle emozioni, ma quello che non si capisce è come mai Friese l’abbia passata liscia. Il pilota MotoConcepts già aveva buttato fuori Peick nella heat di qualifica e nessuno gli aveva detto nulla, nonostante il rulebook AMA preveda sanzioni e reprimenda per chi guidi in modo pericoloso o metta a repentaglio l’incolumità di piloti o ufficiali di percorso.
C’è poi da dire che i due erano già venuti alle mani nel National un paio di anni fa proprio per lo stesso motivo: Friese aveva centrato e buttato fuori Peick. Non giustifico Weston ma lo capisco, Friese è riconosciuto da tutti come pilota “dirty” e sinceramente non capisco come l’AMA non abbia ancora preso provvedimenti nei suoi confronti, a prescindere da questo episodio. Fatto sta che Peick dovrà pagare una multa di $5.000 e saltare la gara di San Diego mentre Friese la passa liscia, almeno per quanto riguarda le sanzioni. In pista però le cose sono andate diversamente visto che nel LCQ, l’ultima chance di qualificarsi per la finale, Vince è stato letteralmente preso di mira da quasi tutti i piloti in pista, finché gli si è spento il motore in curva e ha dato addio ad ogni speranza. Karma is a bitch!