Sergio Sgrilli: “Mi sono messo il casco e l’ho portato per quattro mesi, abbandonando tutto e tutti”

Sergio Sgrilli: “Mi sono messo il casco e l’ho portato per quattro mesi, abbandonando tutto e tutti”
Vi proponiamo un’intervista particolare, molto intima al comico di Zelig. Sergio ha sei moto e un rapporto viscerale con loro, affronta la vita con "piglio enduristico" | P. Batini
17 dicembre 2012

A Desert Logic incontro Sergio Sgrilli. Sono un po’ in imbarazzo, perché non guardo la TV e non so chi sia la “star” che trovo in mezzo allla carovana di Fabio Fasola. Me ne sono solo fatto un’idea sommaria su Youtube, sfogliando gli album video del Sergio Sgrilli di Zelig. Sono in imbarazzo all’idea di trovarmi di fronte una maschera, un’interpretazione, un ruolo. Invece incontro una persona che vive la vita quotidiana nella più perfetta normalità, ma alla luce di una sensibilità straordinaria. Cioè un artista.


Mi piacerebbe parlare con lui, ma non so cosa chiedergli, in un approccio inizialmente “standard”, gli propongo di parlare dell’argomento che ci ha fatto incontrare: la moto ed il fuoristrada.

«Sì, la motocicletta per me è una cosa importante. Credo che ognuno debba cercare la propria evoluzione personale come può e dovunque se presenti l’occasione, e devo dire che dalla motocicletta ho imparato e continuo ad imparare tanto. A volte mi faccio ridere da solo, perché non vorrei essere considerato uno di quelli che ti vengono dire che la motocicletta è lo zen o qualcosa di esoterico, un dio. Semplicemente trovo che la moto è vita, e da come si guida una moto, da come la si vive si può trarre sempre qualcosa per migliorare la propria esistenza. Io sono attento a questa cosa. Da piccolo ero così povero che non potevo neanche sognarla, poi a vent’anni mi sono comprato la prima, una XT600 4 valvole strausata. Era messa malissimo, ma mi sembrava la più bella del mondo. Da lì in poi, mai più senza moto. Magari senza auto, ma mai senza moto. Adesso ho quarantacinque anni, e nel mio garage ci sono sei moto. Non per fare il “ganzo”, ma perché coprono abbastanza bene, con la loro gamma, la mia personalità. Dico: dammi la macchina più bella del mondo, ma dopo dieci minuti mi sentirò uno sfigato. Dammi invece la moto più brutta del mondo, e dopo dieci minuti so che avrò la sensazione di essere padrone di guidarla, di portarla dove voglio io. Di portarla sulla lunghezza d’onda della mia vita. Magari è un’illusione, ma è quello che la moto mi fa sentire».


Mettere la moto al centro della propria esistenza potrebbe sembrare una dimostrazione di superficialità. Sicuramente non ti si adatta, perché si vede subito e chiaramente che vivi la tua vita mettendo al centro… la vita, non i suoi dettagli o altre cose chiamate per l’occasione. La moto e il fuoristrada, Desert Logic come pretesto?
«Di Desert Logic ho sentito parlare e subito mi ha attratto. Mi è piaciuto l’approccio. Una gara, ma non in senso tradizionale. Una gara a coppie, e il tempo è quello del più lento della coppia. Inutile strafare per

Sergio Sgrilli tra le dune del deserto
Sergio Sgrilli tra le dune del deserto
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arrivare primi, bisogna aspettare il compagno. Poi il deserto, l’Africa. Importantissimo. La preparazione ed il sacrificio necessari per esserci dignitosamente, e per realizzare il sogno di fare il Rally dei Faraoni il prossimo anno. Soprattutto, ancor più importante e un po’ paradossale, il volermi confrontare con me stesso in un esercizio mentale teso a dimostrare che sono più intelligente di quello che sono. So che non posso riuscirci, ma è un buon metodo per migliorarmi, per essere ad ogni occasione migliore di quanto lo ero prima. Il problema vero è che, in questa tensione, a volte mi godo meno le cose migliori. Divento perfezionista come un samurai, e mi concentro fino alla paranoia sulle cose in cui sbaglio. Sono sempre un po’ teso in questa ricerca del miglioramento, e da fuori so che a volte sembra che non mi goda quello che faccio. Ma non è così, è che sento questa necessità di evolvermi continuamente facendomi guidare dalla parte migliore di me».


Vieni da un mondo che ti ha consacrato perché fai ridere. Sei un comico, un artista che fa ridere. Così a Desert Logic forse tutti si aspettavano di incontrare tuoi personaggi. Ma nessuno ti ha chiesto di suonare la tua “chitarrina”. Invece tutti si sono dimostrati appagati del privilegio di condividere un’esperienza con la persona, con l’uomo che c’è prima del comico. I tuoi compagni di viaggio hanno riconosciuto il valore di una persona che cerca di fare bene tutto, anche andare in moto divertendosi.

«Allora. Tendenzialmente c’è questa cosa quasi imbarazzante: io faccio ridere. Non posso negare che molte persone, quando mi vedono, mi chiedono subito della mia “chitarrina”. Ovunque, anche nel fango di una cavalcata sfortunata nella tempesta perfetta o mentre sto mangiando, a tavola o un panino seduto in mezzo alla campagna. La “chitarrina”. Come se io vivessi in simbiosi con lo strumento che uso nei miei spettacoli. L’altra cosa è che io, al contrario di molti altri miei colleghi, sono una persona normalissima, molto seria e, a dispetto del fatto che tutti si aspettino sempre una battuta o l’aggressione di un comico, sono anche timido. Il “cazzone” che sono viene fuori dopo, perché alla fine io faccio ridere ed è un po’ il mio karma. A volte faccio ridere anche quando non vorrei, perché sono uno che tenta di fare tutto e di tutto, e per questo corro il rischio di farlo male. Per questo tendo a migliorarmi. Sono molto, molto felice, quando riesco a far capire alle persone che non rinnego quello che faccio in televisione, ma che quello che vedono in TV è solo una parte del mio essere, della mia personalità, una parte dell’essere artista, creativo, ma fortemente incollato alla persona. Molti mi dicono cose del tipo: “Normalmente uno come te…” come se dovessi fare solo le cose per cui mi hanno conosciuto, ma io non ho mai detto a nessuno “Lei non sa chi sono io”. Magari per qualcuno Sergio Sgrilli è un personaggio, ma io sono Sergio Sgrilli da quarantacinque anni, sono nato e cresciuto Sergio Sgrilli, lo ero quando facevo il saldatore, lo sono adesso come qualche anno fa quando facevo i picchi di ascolto in televisione».


Conferma di uno dei miei sospetti, e cioè che non bisogna temere di andare a scoprire cosa c’è dietro all’artista, e che è molto bello scoprire che oltre il personaggio c’è una super persona con molto dentro, che offre agli altri nell’evoluzione dell’artista.
«Calcolando che tra noi c’è stato un feeling sano e immediato, vuoi per la comune origine toscana, per una certa età o per estrazione culturale, mi sono confidato con te come con un vecchio amico. Devo dire che il deserto aiuta, e porta ad aprirsi. Spesso il creativo, l’artista, ci dà delle emozioni che sono intime e che spesso sono ispirate da altri artisti, attraverso un libro, un disco, un film. Spesso conoscere l’artista è pericoloso,

Sergio Sgrilli
Sergio Sgrilli

perché magari ti sei fatto un film di quell’artista basato su una canzone, ma quell’aria può essere a sua volta stata ispirata da una situazione particolare, non propria della “normalità” dell’artista. Sono situazioni complesse, che fanno altresì parte della vita e che andrebbero prese con maggiore leggerezza. Per fortuna questo problema io non ce l’ho. Io sono un comico e un comico deve far ridere, deve alleggerire la vita, la giornata, il momento dello spettatore. Per questo cerco di lavorare su più piani di lettura. Vengo dal popolo, da una famiglia semplice e semplice è stata la mia vita e la mia istruzione, anche se ho cercato anche lì di evolvermi nel rispetto delle mie origini. Questo non vuol dire che io non possa esprimere dei concetti più profondi. Cerco di usare sempre parole molto semplici, ma di raccontare con quelle stesse parole più cose nella stessa narrazione. Secondo quanto hai vissuto, quanto hai riso o sofferto, girato e lavorato, e secondo quanto sei sensibile, riesci a fare questo male o bene. Io cerco di farlo meglio, ed il complimento che più mi da emozione non è sentirmi dire “Sei il numero 1”, ma “Mi hai fatto stare bene, mi hai fatto pensare”. Sono le conferme che qualcosa è arrivato».


Torniamo a qualcosa di più frivolo, alla motocicletta. È qualcosa di importante per te. E il fuoristrada? Che fai dentro di te quando vai in moto?
«In effetti dentro il casco io faccio cose molto particolari: canto, ballo, recito, piango, litigo, mi perdo. A volte dico una parola e la ripeto per milioni di volte finché non perde il suo significato. Ho vissuto momenti in cui mi sono messo il casco e l’ho portato per quattro mesi, abbandonando tutto e tutti. Il casco mi piace, mi piace perché è un posto dove posso stare con me, da solo, sentendo il mio respiro contro il vento, quell’”assurda” sensazione del vento in faccia. Non sento molto il vento tra i capelli, primo per il casco, poi perché capelli non ne ho. È un rapporto davvero molto intimo quello che ho come me dentro il casco, mi aiuta tantissimo. Andare in moto in fuoristrada è la situazione che mi è più congeniale, la preferita. Vuol dire andare dove non ci sono

Potrei dire che ho vissuto la mia vita con un approccio enduristico, nel senso che anche con poca tecnica, ma con quell’”ignoranza” di chi lo vuole, ho cercato sempre di arrivare in cima a quella mulattiera.

strade e solo su un secondo piano punti da raggiungere. È andare liberi di andare, creare l’incanto delle direttrici e delle mete, tutto insieme liberi di perdersi e di creare il proprio viaggio, inteso come tale e non come il mezzo per raggiungere una metà prestabilita. Potrei dire che ho vissuto la mia vita con un approccio enduristico, nel senso che anche con poca tecnica, ma con quell’”ignoranza” di chi lo vuole, ho cercato sempre di arrivare in cima a quella mulattiera. Ho provato anche la pista, di asfalto o di motocross. Lì sei costretto dalle regole, dall’esecuzione tecnica ripetitiva e precisissima, passando e ripassando più volte negli stessi punti, se possibile sempre più velocemente. In quelle condizioni sei costretto a migliorarti, e per questo quando posso torno sempre in pista. Il fuoristrada è qualcosa di molto particolare, e farlo nel deserto è ancora più importante. Lì non ci sono strade, e se vedi una traccia vuol dire soltanto che di lì è già passato qualcuno, e non è detto che sia la strada giusta o quella da seguire, e neanche quella che porta dove vuoi tu. Su quella sabbia mi sono sentito libero, e sotto la sabbia ho seppellito moltissimi segreti, che sono solo di quel Sergio che va nel deserto, e che quando torna in Italia neanche li ricorda più. Diventa importante, allora, tornare di tanto nel deserto per andare a trovarli e per scoprire quanto è diverso il Sergio che vi torna dopo che è passato un po’ di tempo».


Incontrarci a Desert Logic ha avuto la sua importanza.
«Desert Logic è importante, come tutte le cose che diventano delle occasioni. In questo caso sono contentissimo di aver conosciuto altre persone oltre il loro ruolo e fuori dalla routine della loro vita quotidiana, altre “menti pensanti”, come mi piace definirmi. È stata un’altra bella occasione per verificare come uno più uno può fare tre, quando cioè la somma dei valori è un risultato finale ancora più grande. Quando uno più uno fa due c’è qualcosa che non va, troppo facile».


Piero Batini