Suzuka. La caduta di Stoner e il ricordo di Kato

Suzuka. La caduta di Stoner e il ricordo di Kato
La caduta di Stoner a Suzuka mi ha riportato indietro di 12 anni, alla caduta del povero Kato, forse per lo stesso problema tecnico. Assurdo che si corra ancora a Suzuka, tra muretti e guard-rail
27 luglio 2015

Ero davvero curioso di rivedere in pista Casey Stoner. Nell’anno dei grandi ritorni, questo poteva considerarsi quello più importante, anche perché coinvolgeva un campione che ha deciso di smettere ancora giovane, quando poteva dare ancora molto al motociclismo. Ha smesso perché non gli piaceva più l’ambiente, il mondo che circonda le gare, ma non perché la sua passione per le moto fosse venuta meno. E infatti Stoner ha continuato a lavorare per la Honda in qualità di tester, ma non aveva più partecipato a nessuna gara e di conseguenza la sua partecipazione alla 8 ore di Suzuka era un vero e proprio evento.
 

Suzuka, appuntamento importante per le case costruttrici giapponesi. Una gara che vale un’intera stagione e per la quale si sono sempre scomodati fior di campioni GP o SBK. Ma come sappiamo la gara di Casey è durata poco. Qualche giro e poi una brutta caduta che gli ha procurato una doppia frattura alla tibia ed alla spalla.
 

Una caduta strana, che l’australiano ha subito spiegato su twitter : “Stuck throttle”. Acceleratore bloccato. Una frase che mi ha fatto rabbrividire.
 

Suzuka, Honda, un guasto al ride by wire... Il pensiero è corso a quell’ormai lontano 6 Aprile del 2003. Ero a Suzuka. Non lavoravo ancora per Moto.it ed ero andato in Giappone per un’azienda di caschi. Era la prima gara del campionato e bisognava controllare che tutti i piloti fossero a posto. Dopo aver visto dalla pista la gara della 125, ero tornato nei box per festeggiare la vittoria di Stefano Perugini. Mi ero perso la gara della 250 (ci volevano oltre 10 minuti dai box per raggiungere le tribune a bordo pista) che avevo però potuto seguire dai monitor. La 500 era ovviamente la gara più attesa ed avevo deciso di guardarla dalla tribunetta posizionata davanti all’ultima chicane, quella che immette nel rettilineo d’arrivo.


Nei primi giri mi sembra di ricordare che in testa ci fosse Capirossi, che comandava il gruppone. Dal mio punto di osservazione si vedeva, di fronte, il rettilineo che portava alla variante e poi tutta la esse che immetteva nella lieve discesa, dalla quale i piloti si lanciavano sul rettilineo dei box. Erano passati 5 o 6 giri e mi ero ormai abituato ad osservare i piloti che arrivavano alla staccata e si disponevano quasi in fila indiana, per poi entrare nella chicane. Ma ad un certo punto avvenne qualcosa di strano ed inatteso. Kato non diminuì la propria andatura. Schizzò in avanti prima di scartare e colpire in pieno il maledetto muretto, posizionato a poco più di un metro dalla pista.
 

Fu un’esplosione. La moto del giapponese si schiantò sul muro e sparse pezzi per tutta la pista. Kato terminò il suo volo in mezzo alla pista, leggermente spostato sulla destra. I piloti che lo seguivano evitarono fortunosamente i pezzi della Honda ed il povero Daijiro, sdraiato inanime sulla schiena. Un pilota esanime a terra, una moto esplosa in mille pezzi, numerosi marshall in pista. Bandiera rossa? No. I piloti passarono altre due volte sul luogo dell’incidente. Ricordo che per due volte Yanagawa, che chiudeva il gruppo dei piloti che occupavano le ultime posizioni, riuscì ad evitare per soli pochi centimetri le gambe di Kato, perché Akira era convinto che il suo connazionale fosse stato ormai rimosso. Invece era ancora lì. Solo dopo che i piloti in gara erano transitati per la seconda volta sul luogo della tragedia i marshall si sono avvicinati a Kato e lo hanno riposto sulla barella a cucchiaio. U

n incidente sino a quel momento gestito malissimo, ma che divenne in seguito tragicomico, quando i quattro barellieri si misero a correre, facendo sobbalzare e quasi cadere il povero Daijiro, verso l’ambulanza che non si era avvicinata alla pista (la gara era ancora in corso) ma stazionava a oltre 1000 metri dal luogo dell’incidente. Le condizioni del povero pilota della Honda erano tali per cui ogni tentativo di soccorso sarebbe probabilmente risultato vano, ma i soccorsi furono davvero ed incredibilmente assurdi. Tornai di corsa nei box per capire come stava Kato e pensando di poter rivedere nei monitor la dinamica dell’incidente. Misteriosamente però nessuna immagine fu mai trasmessa dai monitor. La direzione dell’autodromo comunicò che in quel punto le telecamere non inquadravano la pista. Bugia enorme visto che avevo visto dai monitor tutta la gara della 250, compreso quel punto della pista, dove i piloti arrivavano ad alta velocità ed il muretto era a poco più di un metro dall’asfalto.


Non lo vidi con i miei occhi, ma le voci nel paddock mi riportarono che Valentino Rossi discusse sino a sera con la direzione dell’autodromo e con la Dorna, per criticare le misure di sicurezza della pista giapponese, ritenuta da sempre troppo pericolosa. Le sue lamentele ebbero effetto, perché per fortuna quella fu l’ultima gara del mondiale GP corsa a Suzuka.


Tornando a Stoner, l’averlo visto uscire di pista e puntare il guard rail che limita la pista, mi ha fermato il cuore per qualche istante. Per fortuna Casey non ha urtato il guard rail e dalle immagini sembra proprio che l’australiano sia caduto per non andare ad impattare contro quella micidiale barra d’acciaio.


Nel caso di Kato si parlò di un guasto al ride by wire, ma la Honda non ammise mai il guasto tecnico, addebitando l’incidente ad un errore del pilota. In questo caso invece, visto anche quanto aveva scritto Stoner su twitter, la casa giapponese ha ammesso un problema tecnico. Dalle immagini si comprende come la moto di Stoner sia rimasta accelerata, si vede Casey che tira la frizione, mentre l’audio riporta il suono del motore della Honda dell’australiano, che non cala di giri.


E’ incredibile come a distanza di anni si sia potuto ripetere lo stesso problema tecnico, ma è forse ancora più incredibile che non sia bastato il sacrificio di Kato per far si che si smettesse di correre su di una pista così pericolosa.

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