Trial. Riflessioni da Mondiale… no-stop

Trial. Riflessioni da Mondiale… no-stop
Il giro di boa del Campionato Mondiale Trial, tenutosi lo scorso week-end ad Alagna, nella splendida Valsesia, mi offre lo spunto per una riflessione sulla deriva agonistica che ha preso questa disciplina | A. Buschi
4 giugno 2014

Punti chiave

Il giro di boa del Campionato Mondiale Trial, tenutosi lo scorso week-end ad Alagna, nella splendida Valsesia, mi offre lo spunto per una riflessione sulla deriva agonistica che ha preso questa disciplina, dopo il passaggio alla regola no-stop, voluto dalla Federazione Motociclistica Internazionale con il sostegno di alcune case costruttrici.

Per i non addetti la F.I.M., a fine 2012, ha deciso arbitrariamente in questo cambio regolamentare, di imporre al pilota nella zona controllata l’obbligo di non fermarsi pena l’attribuzione della massima penalità ovvero il famigerato e temutissimo “5”.

Sotto un certo punto di vista una scelta coraggiosa che nelle intenzioni avrebbe dovuto smuovere l’ambiente ed il mercato in costante declino, con gare orchestrate su percorsi necessariamente adeguati all’impossibilità di fermarsi per preparare l’ostacolo e teoricamente con una più bassa difficoltà relativa; una scelta che avrebbe dovuto essere condivisa da tutti gli attori della disciplina dalle federazioni nazionali ai semplici amatori passando per gli agonisti, insomma una vera e propria rivoluzione utile a ridare linfa alla disciplina.
Come si potrà ben immaginare, lo stravolgimento di una disciplina agonistica con un cambiamento di tale portata, ha immediatamente diviso il mondo tra favorevoli e contrari con da subito una netta maggioranza di questi ultimi sostenuti da Federazioni importanti come Italia e Spagna. Ora, dopo Alagna e giusto ad un anno dalla prova mondiale di Barzio, abbiamo raccolto sufficienti elementi di giudizio, per promuovere o meno questo assetto regolamentare.

Pur riconoscendo ai promotori la buona fede nella scelta del cambiamento, il regolamento no-stop purtroppo tradisce quelle che sono le peculiarità tecniche del trialista, andando a contrastare il naturale sviluppo tecnico-atletico che in questi anni ha portato alla spettacolarizzazione delle discipline motociclistiche e non solo.

La capacità di recupero dell’equilibrio in situazioni di aderenza precaria sono vanificate dalla necessità di mantenere una velocità minima che eviti la massima penalizzazione, ciò purtroppo va ad uniformare al ribasso l’espressione tecnica dei piloti, togliendo conseguentemente spettacolarità e fantasia nell’esecuzione della zona, pur paradossalmente aumentandone la pericolosità.

L’impossibilità poi di valutare oggettivamente lo stop nella zona controllata, alimenta l’incertezza di giudizio nell’assegnazione della stessa creando stress al pilota, al giudice oltre ad una palese incomprensibilità verso il pubblico in generale.

Lo stesso pubblico un tempo attratto dalla possibilità di visionare ogni zona come sugli spalti di una arena sportiva con una visuale di 360°, si trova ora assiepato lungo percorsi interminabili privi di spettacolarità di 300 metri minimo, con tutti i disagi che ne conseguono.

Ultimo aspetto non trascurabile è l’aumento di cadute con conseguenze anche gravi, causate dall’impossibilità per il pilota di prepararsi con sicurezza per affrontare l’ostacolo.

La somma di questi elementi unitamente al sostanziale calo di pubblico verificatosi, purtroppo per gli organizzatori anche in questa prova, mi fanno credere che questa soluzione non sia quella utile a risollevare una disciplina che probabilmente, pur vivendo una crisi in termini di numeri, è composta da uno zoccolo duro di praticanti ben felici di farlo in piena libertà senza costrizioni di questo genere; da sempre l’atteggiamento del trialista è indirizzato nella ricerca della massima libertà d’espressione tecnica ed interpretativa delle difficoltà, sia questa in ambito agonistico piuttosto che nell’esercizio ludico o moto-alpinistico.

In conclusione, anche nel rispetto della pura tradizione agonistica della disciplina, che vuole come peculiarità una costante evoluzione nella ricerca della migliore condizione per superare l’ostacolo, sia questa tecnica che meccanica, risulta auspicabile la necessità di un ripensamento nell’applicazione della regola no-stop, in favore magari di elementi di maggiore incisività promozionale ed in ossequio all’evoluzione cresciuta attraverso la passione di generazioni di trialisti che con i relativi mezzi a disposizione sognavano di poter spostare sempre un poco più avanti i propri limiti, gratificati da poche regole certe, in zone dure ma non pericolose disegnate da tracciatori intelligenti e preparati. In fondo per chi ama il fuoristrada duro, esiste già l’Enduro Extreme!


Andrea Buschi

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