Via la 125, ipotesi "Supermono"

Via la 125, ipotesi "Supermono"
La 125 andrà a sparire e la più probabile configurazione di questa classe è una trasformazione in 4 tempi, forse da 450 cc, attingendo tecnologia dal Supermotard. Si respira l'aria dei vecchi Supermono | M. Temporali
18 maggio 2010


Con Rewind ’97, facciamo un tuffo tra i monocilindrici da corsa che aprono una finestra sul futuro. Fosse così, al cambio generazionale delle ottavo di litro mi indispettirei solo a metà.
Adoro i Supermono. Ci ho corso negli anni affollati, ’96, ’97 e 2007, con Yamaha, nel Trofeo dedicato, con Ducati e Vun/CR&S, nel Campionato Europeo. Eravamo lo spauracchio di tutti quanti. I piloti delle altre classi non ci volevano con loro in pista, perché i Supermono sporcavano. E chiunque li abbia visti correre, ricorderà guai tecnici e motori “sbragati”. Lasciavano olio dappertutto, ettolitri in giro per la pista, sempre, ad ogni turno. Un incubo.

AI TEMPI DI DAL MASO…


La maggior parte dei preparatori erano “meccanici da cantina”, si arrangiavano con pochi soldi, fantasia e fil di ferro. Il più delle volte prendevano telai di recupero, di una TZR 125, una Cagiva Mito o di una hondina da GP, e ci mettevano un motore da enduro/cross, magari di un veicolo incidentato. Ai manubri di questi “ferri” ricordo il pilota più stratosferico, Luigi Dal Maso. Per lui, telaio Moretti, motore Yamaha XT 600, 58 cv, e via, più veloce della luce. Firmava record su ogni pista. 

Il più delle volte prendevano telai di recupero, di una TZR 125, una Cagiva Mito o di una hondina da GP, e ci mettevano un motore da enduro/cross

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Correva anche nel Trofeo Suzuki, con la GSX-R 750, ma i tempi che spiccava con quella motina non li replicava… Se penso a Dal Maso, lo ricordo solo sdraiato in curva; un’immagine di lui sul dritto non ce l’ho. Nella vita faceva il saldatore, ma mica quello normale: in immersione, si calava giù dalle piattaforme petrolifere in mezzo al mare. In precedenza era stato un’Incursore dell’Esercito. Un over 40 amante degli sport più estremi, che morì fatalmente in un incidente stradale.

LA DUCATI DA 50.000.000 DI LIRE

Pure Vitto Guareschi, raro pilota di lusso senza la paura di sporcarsi le mani di grasso, coi “mono” ci ha corso e vinto un titolo: guidava una Yamaha ufficiale Belgarda. Io avevo una Ducati, ero un privilegiato. Una moto fatta apposta per quella categoria. Costava 50 milioni di lire. Di serie era perfetta, non si rompeva, e quanto era bella ! Era di proprietà di un amico, Alberto Ghioni, una delle persone a cui devo di più nelle corse. Mi vietò di cadere, perché i ricambi costavano un occhio della testa. Dalle foto si percepisce la “normalità” dell’ambiente. A Misano, le vibrazioni ruppero la piastrina in carbonio alla quale era fissata l’asta di rinvio del cambio; puntò sull’asfalto e la sparò nel codone, altezza sella (per poco non faceva centro…), buttandomi gambe all’aria alla prima Curva del Carro. Anche i monocilindrici di razza a volte ti fottevano.
Ducati aveva un mono da 500 cc, girava alto, con poco meno di 70 cv all’albero, un po’ vuoto ai bassi. La ciclistica era professional, Ohlins buoni e tante regolazioni. Non era facile metterla a punto. Offriva quasi le difficoltà di una piccola ciclistica da gran premio.

FRAGILI COME BICCHIERI DI CRISTALLO

Ma i Supermono erano soprattutto fragili. Ad Hockenheim eravamo pronti a varcare i cancelli d’ingresso, casco e tuta addosso. C’era un tizio accanto a me che scaldava il motore di una Honda Dominator, a colpi di gas: drrr-brrr, drrr-brrr. Gli rimase in mano un semimanubrio per le vibrazioni. Perse metà del turno di prova. Questa era la normalità che accettavi imprecando tacitamente. Io fui fermato in gara da una batteria scarica, a due giri dalla fine. Le Villa (realizzate dall’ex campione Walter, ndr) andavano fortissimo ma rompevano di frequente. Le guidavano il nipote Gianluca e Walter Bartolini. 
Luigi Dal Maso
Luigi Dal Maso


Facevano paura invece le Muz, mica belle da vedere, ma in quella categoria erano muli veloci. Coi mono si guidava sempre giù in carena, anche nel curvone del vecchio Hockenheim, dove ci si infilava in quinta marcia, ginocchio a terra, con le vibrazioni dell’asfalto e di una rigida ciclistica da corsa che ti facevano tremare casco e denti. Era come stare sulle piccole 125.




I TEMPI SUL GIRO, SUPERMONO CONTRO 125 GP

Un confronto reale è impossibile, i Supermono hanno corso su pochissimi impianti del mondiale 125, per di più in annate differenti. Dai dati disponibili ci si fa un’idea spannometrica, dove si deduce però che i Supermono erano più rapidi. Certo, i motori migliori passavano gli 800 cc, un bel vantaggio sulle piccole ottavo di litro, che però pesavano oltre 50 chili meno...
Sul tracciato di Hockenheim, ad esempio, il miglior giro nel week end del ’97 (classifica scaricabile in formato Pdf al termine dell'articolo) fu di A. Friedrich (Muz Scorpion), in 2’15”832. Tre anni prima (dal ’95 il mondiale 125 si corse al Nurburgring, ndr) la pole tra le GP fu di N. Ueda, in 2’19”260.
Il caso di Monza è più complesso: l’ultima stagione per le 125 sull’impianto brianzolo risale al 1987, con la pole position di Bruno Casanova in 2’03”820. Dieci anni più tardi, la Over conquistò il miglior tempo in 1’58”585, un livello paragonabile alle più veloci settemezzo del Campionato Italiano Sport Production della stessa stagione. Totale: credo che oggi con un mono 4T da 500 cc (parecchio più evoluto rispetto ai piccoli 125) i tempi possano anche essere leggermente inferiori di quelli delle piccole ottavo di litro.

LA SUPERSONICA OV-20 DELLA YAMAHA

In quel periodo c’era una moto che vinceva costantemente: l’Over Racing Project, un prototipo nato nel reparto corse Yamaha, denominato OV-20
Over Racing Project, un prototipo nato nel reparto corse Yamaha, denominato OV-20
Over Racing Project, un prototipo nato nel reparto corse Yamaha, denominato OV-20


Oltre 800 cc, quasi 90 cv, una velocità che, a Monza, sfiorava i 240 orari, circa 15 km più della mia Ducati. Il pilota che la guidava si chiamava Suzuki. Non era un genio del manubrio, ma con quell’aeroplano non serviva essere un fuoriclasse per vincere. Quella volta, sempre in una prova dell’Europeo, inserita nel calendario del mondiale Superbike, gliela feci sudare però, arrivandogli a poco più di un decimo in gara 2 (la corsa era stata fermata per la pioggia, ndr). Vi dirò: le tribune erano gremite di gente che si appassionava vedere questi prototipi infilare le curve di Monza alla velocità di piccole GP. In staccata, con pista umida, guadagnavo 20 metri sulla OV-20 e la passavo. Poi mi restituiva il gesto su ogni dritto. Così per tutta la corsa. Alla fine della premiazione e dopo la foto di rito con coppa e moto, vidi il mio duca, spinto a mano da un tizio, allontanarsi. Feci ad Alberto: “Ma dove va la nostra moto ?”. “L’ho venduta a un inglese, ha visto la gara e mi ha dato più di quel che l’ho pagata…”. Il campionato per noi terminò a metà stagione.
 

La "carena" di Max
La "carena" di Max


Eravamo parte di un mondo folcloristico, ma povero, romantico e di appassionati, col cuore pulsante per il “mono”, tradizione nord europea (primi fra tutti gli inglesi) e parecchi marchi coniati in garage: Corby Moto, Alpha/Gilex, Moretti, BMR-Suzuki, Harris BMW, Tigcraft, Rapp PCL, AWS Rotax, Villa, Spondon.
Una realtà che potrebbe ripresentarsi, sicuramente più patinata, nel futuro incerto del mondiale 125.




Scarica la Classifica di Hockenheim della Supermono Cup del 1997

Scarica la Classifica della Supermono Cup a Monza
 

 

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