Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su [email protected]
Quattro anni da quell’ultimo saluto nell’autodromo che sentiva suo. Suo come era sua la Brianza, la Lombardia in genere, in una radicamento che era tipica dell’uomo, del pilota, del suo stile. E di una appartenenza geografica che per Fabrizio Pirovano era anche distintivo di un carattere. Viene da dirlo, perché questo anniversario cade nel momento più difficile della storia recente di una regione che ci ha talmente abituati alla vitalità da non potersi quasi più permettere di morire. Al punto di fare più notizia.
Viene da celebrarlo, questo anniversario, anche se non fa cifra tonda, perché Fabrizio Pirovano quello spirito laborioso e infaticabile, quella grinta nel fare e nell’arrivare, lo incarnava più e meglio di altri. Almeno nel panorama motoristico. Il re di Monza era solito farsi intervistare nella sua rivendita di pneumatici. Lui che per due volte era stato vicecampione del mondo in Superbike (nel 1998 e nel 1990), lui che aveva legato il suo nome a Ducati (è stato uno dei padri della 916) e Suzuki, vincendo come pilota, come tuttofare, come manager, lui che aveva cominciato a vincere già da ragazzino, al primo colpo, quando quasi per scherzo si iscrisse ad un Campionato Italiano con una moto da cross e senza avere alle spalle alcuna esperienza. Uno che avrebbe potuto darsi delle arie.
E invece no: il mondo in cui voleva essere rappresentato era quella officina, dove curava la logistica e teneva in ordine il magazzino, senza tirarsi indietro quando c’era da dare una mano al montaggio gomme. Il lavoro, la famiglia, la schiettezza anche quando poteva risultare controproducente, principi e valori fermi, inderogabili, uniti a un gran manico quando saliva in sella. Talento che , forse, non ha avuto tutto quello che meritava. Se non quando poteva esprimersi nell’aria di casa, su quel circuito di Monza dove è diventato “il Piro” e dove quattro anni fa l’abbiamo salutato, in una di quelle pagine tristi, ma da brividi, che solo il motorsport sa scrivere. Nella sua Lombardia, dopo un male che lo ha disarcionato dall’esistenza a 56 anni.