Hayden. Una persona speciale

Hayden. Una persona speciale
Difficile mettere in fila delle parole sensate, in momenti come questo. La paura è quella di dire cose ovvie o di cadere nel banale, ma voglio correre il rischio
23 maggio 2017

Difficile mettere in fila delle parole in momenti come questo. La paura è quella di dire cose ovvie o di cadere nel banale, ma voglio correre il rischio, e mandare il mio personale saluto ad una persona speciale quale era Hayden.


Hayden, non Nicky. L’ho sempre chiamato per cognome, perché lui è stato campione del mondo MotoGP, ed è quindi entrato nell’Olimpo del motociclismo, quello popolato dai miti del nostro sport. Quando lo incontrai per la prima volta eravamo alla fiera Eicma di Milano, e da pochi giorni era diventato ufficiale il suo passaggio al team Honda Superbike. Tutti lo cercavano e volevano parlare con lui, ma nonostante i suoi mille impegni trovò dieci minuti per me. Ormai qualche intervista l’ho fatta, ma vi garantisco che ero davvero emozionato all’idea di incontrare Hayden. Un emozione che durò pochi secondi. Il tempo di vederlo sorridere e rispondere con estrema naturalezza e sincerità alle mie domande. Perché lui era così, spontaneo e schietto. Era una di quelle persone “luminose”, che ti fa sembrare tutto semplice e logico, tanta è la serenità e la forza con la quale ti parla. Una forza ed una serenità che gli derivavano principalmente dalla sua famiglia e dai suoi affetti.


“Voglio essere il primo pilota a vincere entrambi i campionati, MotoGP ed SBK”. Me lo disse in quella prima intervista, e me lo ha ripetuto anche pochi mesi fa, quando l’ho incontrato a Salisburgo, alla presentazione del team Red Bull Honda. Un ricordo che ora fa male, perché sappiamo che il suo desiderio non si potrà realizzare.


Era passato in Superbike perché voleva tornare a vincere. Non ci aveva pensato due volte a gettarsi in questa nuova avventura, con tutta l’umiltà e la grande professionalità di cui era capace. In quasi due anni nei quali ho avuto la fortuna di incontrarlo nel paddock della Superbike, non l’ho mai sentito lamentarsi una sola volta. Mai una critica nei confronti della moto o del team. Mai una scusa. Eppure avrebbe potuto farlo, specialmente quest’anno, con una moto nuova che non ne vuole sapere di diventare competitiva. Ma lui era Kentucky Kid, e non conosceva il significato della parola “arrendersi”. Sin dai test di Phillip Island ha lavorato a testa bassa, come l’ultimo dei collaudatori. Lui che ha strappato un titolo mondiale a Valentino Rossi. Anche per questo ha sempre avuto il rispetto dei suoi avversari e di chiunque lo abbia conosciuto. Arrivederci Campione, avrai sempre un posto speciale nei nostri cuori.

 

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