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Ciao a tutti! Io ero tra quelli che si erano illusi: per me, Marco Melandri avrebbe potuto fare molto bene con la Ducati, e magari ritrovare una seconda giovinezza. Molti lettori mi invitavano ad essere meno ottimista, ma avevo salutato con gioia la sua nuova avventura, dopo due anni di stop e le precedenti esperienze con Yamaha, BMW e infine Aprilia, quattro stagioni di SBK vissute da protagonista anche se con alterne fortune. Invece Melandri ha deluso, inutile girarci intorno: ha centrato una sola vittoria il primo anno con una moto sempre da podio, e non gli è bastato esordire in questo 2018 con la doppietta australiana. Marco ha vinto troppo poco, ha sbagliato tanto, ha impiegato mesi per riuscire a sistemarsi la Panigale, che ondeggiava sul dritto appannando pesantemente l’immagine della moto made in Italy. In questi casi squadra e pilota si dividono le responsabilità. Marco non è stato all’altezza del suo compagno di squadra: Chaz Davies, per la verità già alla quinta stagione al manubrio della bicilindrica bolognese, ha guidato molto meglio di lui e ha vinto ben di più. Probabile che anche questa volta i noti limiti caratteriali e comunicativi del pilota di Ravenna, trentasei anni compiuti ad agosto, abbiano avuto la loro importanza.
Manca la prova che lo spagnolo Alvaro Bautista, di poco più giovane (33 anni e debuttante in SBK dopo nove stagioni in MotoGP e otto tra 125 e 250), sia stato scelto sotto le pressioni della Dorna; anche il nostro Carlo Baldi non ci crede (vedi il suo articolo), ma il sospetto mi sorge quando considero l’atteggiamento dei vertici Ducati: nessuno che abbia voluto metterci la faccia, nessuno che si sia preoccupato di avvertire direttamente il pilota licenziato. Solo un freddo comunicato: nel 2019 sulla Panigale V4 correranno Davies e Bautista, grazie a Melandri per queste due belle stagioni, tanti saluti. Forse, anzi probabilmente, Marco non valeva la riconferma, ma di certo non meritava nemmeno di essere trattato in questo modo. Paolo Ciabatti si è limitato a dichiarare che adesso saranno più forti, e Stefano Cecconi (a.d. di Aruba e proprietario del team Ducati in SBK), dopo aver rassicurato il suo pilota alla fine è sparito, a detta di Melandri.
Non se ne capisce bene la ragione, ma la Ducati si dimostra spesso incapace di gestire il rapporto con i suoi piloti. E’ successo nel lontano passato quando nessun pilota era all’altezza di Stoner: Melandri che si lamentava della moto fu invitato ad affidarsi a uno psicologo, lo stesso Stoner ha in seguito dichiarato di essere stato tradito e Rossi fu accolto da alcuni con atteggiamento di sfida, come dire “adesso vediamo cosa sai fare”). E’ successo ancora in un passato più prossimo, e penso alla lunga “riffa” imposta a Iannone e Dovizioso nel 2016, quando si doveva scegliere chi avrebbe corso di fianco a Lorenzo; evidentemente continua a succedere anche oggi, se Jorge Lorenzo comincia a vincere solo quando viene licenziato e a Melandri non arriva nemmeno una telefonata. Eppure le corse sono parte integrante del DNA Ducati, diretta eredità delle competenze e della passione di gente come Fabio Taglioni e Franco Farnè. E’ questo che mi colpisce: Ducati sa fare le moto da corsa come pochi al mondo, oggi in MotoGP è diventata il riferimento assoluto. Eppure con i suoi piloti sembra troppo spesso in difficoltà.