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Ciao a tutti! Jonathan Rea, domenica a mezzogiorno, era abbastanza provato. Per lui sembrava una giornataccia: il giovane turco del team Puccetti lo aveva suonato al mattino nella Superpole Race, anche più sonoramente di come lo aveva suonato in Gara-1 il giorno prima. Brutta faccenda, anche se naturalmente il trend negativo del rivale diretto Bautista, due volte quinto e sempre in difficoltà, gli sollevava il morale. Tre ore più tardi era tutto cambiato. Cinque volte campione del mondo della SBK, cinque anni di seguito, mai successo.
Le cose cambiano in fretta, anche quando tutto sembra congelato. Dopo le undici vittorie di seguito firmate da Álvaro Bautista all’inizio della stagione, si poteva immaginare un epilogo del genere? Nemmeno l’irlandese ci avrebbe creduto, e com’è naturale aveva già iniziato con le proteste; però poi si è messo al lavoro, testa bassa con tutto il suo team, e ne è venuto fuori alla grande.
Dice bene il nostro esperto della SBK Carlo Baldi: questo titolo lo ha vinto Rea con la Kawasaki o lo ha perso Bautista con la Ducati? La seconda che hai detto, mi verrebbe da rispondere di getto insieme a tanti lettori, ma poi ragiono meglio e mi correggo. Sì, la Ducati e il suo pilota di punta hanno commesso (purtroppo!) una serie imperdonabile di errori, ma ciò che ha pesato di più nel bilancio del 2019, quello che passa alla storia, è lo straordinario impegno di Jonathan e della Kawasaki. Rea ha dimostrato ancora una volta di avere qualcosa in più in termini di guida e molto di più in termini di testa.
La testa è tutto. Il fenomenale Toprak Razgatlıoğlu dal cognome impronunciabile ha una gran manetta, un controllo della moto incredibile, e sono sicuro che con la Yamaha sarà nel 2020 una bella minaccia per Rea. Però condivido il commento di Sergio da Vipiteno, Alto Adige: prima ha abbattuto Bautista a Laguna Seca e adesso gli ha dato il colpo di grazia qui a Magny Cours. Vogliamo parlarne? Parliamone: a me ricorda certi grandi talenti del passato, fenomeni naturali come Vinicio Salmi alla fine degli anni Settanta; avevo ed ho la massima ammirazione per la loro aggressiva esuberanza, però anche tanta paura.
Rea mi è sempre piaciuto. Anche se certi aspetti del suo carattere non convincono del tutto gli appassionati, bisogna ammettere che la moto, nelle sue mani, è bellissima. E’ bella per la leggerezza con cui si muove nello stretto, per la sua perfetta stabilità sul veloce, persino come suona negli on board. Sarà al limite? Te lo domandi perché il pilota in pista sembra danzare, sembra giocare. Poi una bloccata traditrice della ruota anteriore in staccata o una scodata in accelerazione ti dimostrano che più di così non si potrebbe fare.
Adesso è il momento di celebrare il quinto titolo consecutivo di Rea – come Doohan, come Valentino, tutti e tre secondi soltanto al grande Ago - perché è giusto così. Giusto celebrarlo. Domani sarà il momento di fare il processo agli sconfitti: al pilota che si è perso, alla moto che effettivamente pare più un dragster che una moto da corsa, alla Ducati, che qualche volta sembra impegnata a bruciare i suoi talenti.